Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XXVIII

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CAPO XXVIII.

Belisario aringa i Romani chiedenti battaglia. — Instruisce l’esercito su d’una equestre pugna. — Indotto dalle parole di Principio accoglie nell’ordinanza i fanti.

I. In appresso tutti i Romani boriosi delle riportate vittorie furono smanianti di combattere coll’intero gottico esercito, persuasi di venire ad una decisiva giornata campale. Belisario e converso vedendo il grandissimo divario esistente ancora tra’ suoi ed i barbari esitava di continuo a cimentarsi con tutte le truppe, e con maggiore attenzione adoperava di batterli sempre alla spicciolata. Vinto finalmente dai rimproveri e dell’esercito e degli altri Romani si risolvea a secondarli, [p. 131 modifica]di guisa tuttavia che la battaglia consistesse in sole scorrerie. Tentatolo più volte e respinto, e costretto alla dimane di rinunziare ad un assalto, avendo trovato i Gotti, fuor d’ogni suo credere, prevenuti dai disertori e pronti a riceverlo, stabilì di tenzonare in campo aperto; e di buon animo gli altri apprestaronsi alla difesa. Ordinate pertanto da quinci e da quindi ottimamente le cose, il duce romano parlamentava come sono per dire le sue genti. «Da una giusta battaglia, o guerrieri, non era già l’animo mio avverso perchè giudicassi voi pusillanimi, o temessi le forze nemiche; ma perchè, avuta propizia la fortuna nelle piccole avvisaglie, estimava non volersi abbandonare la cagione a cui andiamo debitori del felice loro successo; parendomi che un’impresa ove proceda giusta i desiderii nostri abbia a patir danno per un variar di consiglio. Ma giacchè vedovi colla massima ilarità disposti a combattere, pieno anch’io di ottima speranza non raffrenerò più a lungo la smania vostra, sapendomi a fondo che il volere dei combattenti ha gran possa nelle fazioni, e che soglionsi produrre opere mirabili dal vivo desiderio loro. Nè uom di voi, istruito non dalla fama, sibbene dal giornaliero uso di trattare le armi, può ignorare che uno schieramento povero di numero, ma ricco di valore, è d’assai per battere immense frotte di nemici. Dipenderà così da voi il non menomarmi turpemente la prima lode pe’ miei stratagemmi, e la speranza infusami dalla vostra prontezza; dovendo gli eventi di questo giorno decidere del già operato nella presente guerra. Ed a ciò [p. 132 modifica]mirando benissimo conosco avere dalla mia il tempo; non potendosi a meno che ora più di leggieri otteniamo vittoria sopra i nostri nemici avviliti e depressi per le trascorse vicende: e come per verità uscirebbero preclare geste da un petto di frequente scoraggiato da contraria fortuna? Del resto niun di voi la perdoni al cavallo, all’arco, o ad altra maniera comunque d’arme, promettendovi dopo la battaglia risarcimento delle perdite in essa fatte.»

II. Terminata questa esortazione il duce condusse fuori l’esercito per la minor porta Pinciana e la maggiore Salaria; fe’ uscirne ad uno picciol mano da quella Aurelia con ordine di venire al campo di Nerone in aiuto di Valentino comandante della cavalleria, e già consapevole di non cominciare battaglia, nè di soverchiamente accostarsi al gottico steccato; farebbe invece mostra ognora di volere senza indugio assalire il nemico, e bene attenderebbe ad impedire che la schiera dei barbari a sè di contro non corresse, valicato il vicino ponte, a rafforzare gli altri corpi. Conciossiachè postatasi gran copia di essi, giusta il detto, sul campo di Nerone, sembrava d’assai al condottiero l’obbligarli a non prendere tutti parte in quel cimento, ed a rimanersi lontani dai loro compagni. Alcuni del popolo eransi uniti siccome volontarj all’esercito; ma il duce miseli fuori dell’ordinanza per tema non recassero impauriti dal pericolo generale nell’azione scompiglio, essendo una turma di vili operai, ed affatto ignoranti delle cose di guerra. Formatone pertanto un corpo separato li mandò alla porta Pancraziana di là dal Tevere, ove rimarrebbonsi in [p. 133 modifica]attenzione di nuovi suoi ordini. E per vero avea preveduto quanto in realtà avvenne, vo’ dire che i Gotti di stanza sul campo di Nerone al mirare costoro e le truppe di Valentino, mai più avrebbero osato partirsi dagli steccati ed assalire unitamente agli altri le genti imperiali, riponendo il maggior vantaggio nella speranza di riuscire a tenerle divise dalle turbe, ch’egli proponevasi disfidare alla pugna.

III. Era intendimento di Belisario il battagliare in quel giorno colla sola cavalleria, essendo molti de’ suoi fanti, levatisi dalla prima loro condizione col togliere i cavalli ai nemici, addivenuti cavalieri, ne’ male correvano questa nuova carriera; ed i rimanenti pedoni, pochi di numero, giudicava inetti a comporre un ordinamento di qualche forza, nè di tanto animo da reggere al bollor della mischia; ma soliti nel principio di essa a volger le spalle, e’ non potevansi con sicurezza collocare lontano dalle mura: si fornirebbe loro in cambio idoneo posto schierandoli vicino alla fossa, acciocchè se i nostri cavalli per mala sorte dessero di volta, e’ in nulla peranche danneggiati stessersi pronti ad accogliere i fuggitivi, ed in uno con essi a ributtare il nemico. Se non che Principio, sua benaffetta lancia, e Termuto isauro, fratello di Enna capitano degli Isauri, fattisi innanzi tennergli questo discorso. «Non volere, o duce sopra tutti fortissimo, separare dalle schiere pedestri un sì piccolo esercito per esporlo da solo a combattere contro miriadi di barbari, nè operare in modo che sia apposta nota d’ignominia ai fanti romani, ai quali dalla fama venne dato tributo di lode [p. 134 modifica]per quella grandezza cui ascese già tempo il costoro imperio; che se li vedesti nella presente guerra ristarsi dal fare azioni meritevoli di memoria, non è uopo attribuirlo a tralignamento degli animi loro, ma tutta la colpa ne ricade su’ duci, i quali nell’ordinanza seduti in arcione rifiutansi di sottostare alla comune fortuna delle armi, sol buoni a darsi alla fuga anche prima d’imbrandire la spada. Tu non ignori essere cotesti duci da fanti passati ora cavalieri, nè volersi più rimanere nella prima ordinanza: eglino adunque abbiano pure il tuo consenso di parteggiare presentemente con gli altri in sella, ma non ricusare a noi di condurre la pedestre soldatesca; a noi diciamo, che da fanti e de’ fanti alla testa farem petto alla moltitudine de’ barbari nella brama di eseguire contro il nemico quanto sarà del volere divino.» Belisario porto orecchio a tali parole in sul principio ricusò di secondarle, amando entrambi fuor misura in grazia del sommo valore, nè opinando opportuno il mettere a ripentaglio sì piccola mano di gente. Non di meno vinto alla fine dalle premurose istanze loro dispose che parte della romana plebe vegliasse alla difesa delle porte, de’ merli e delle macchine, e schierò i fanti presso la battaglia con ordine di obbedire a Principio e Termuto, acciocchè intimoriti dal pericolo non isgomentassero il rimanente esercito, o se qualche drappello de’ cavalieri voltasse le spalle non potesse vie maggiormente dilungarsi, ma fattovi corpo tornasse a respignere il nemico.