Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/143


LIBRO PRIMO 133

tenzione di nuovi suoi ordini. E per vero avea preveduto quanto in realtà avvenne, vo’ dire che i Gotti di stanza sul campo di Nerone al mirare costoro e le truppe di Valentino, mai più avrebbero osato partirsi dagli steccati ed assalire unitamente agli altri le genti imperiali, riponendo il maggior vantaggio nella speranza di riuscire a tenerle divise dalle turbe, ch’egli proponevasi disfidare alla pugna.

III. Era intendimento di Belisario il battagliare in quel giorno colla sola cavalleria, essendo molti de’ suoi fanti, levatisi dalla prima loro condizione col togliere i cavalli ai nemici, addivenuti cavalieri, ne’ male correvano questa nuova carriera; ed i rimanenti pedoni, pochi di numero, giudicava inetti a comporre un ordinamento di qualche forza, nè di tanto animo da reggere al bollor della mischia; ma soliti nel principio di essa a volger le spalle, e’ non potevansi con sicurezza collocare lontano dalle mura: si fornirebbe loro in cambio idoneo posto schierandoli vicino alla fossa, acciocchè se i nostri cavalli per mala sorte dessero di volta, e’ in nulla peranche danneggiati stessersi pronti ad accogliere i fuggitivi, ed in uno con essi a ributtare il nemico. Se non che Principio, sua benaffetta lancia, e Termuto isauro, fratello di Enna capitano degli Isauri, fattisi innanzi tennergli questo discorso. «Non volere, o duce sopra tutti fortissimo, separare dalle schiere pedestri un sì piccolo esercito per esporlo da solo a combattere contro miriadi di barbari, nè operare in modo che sia apposta nota d’ignominia ai fanti romani, ai quali dalla fama venne dato tributo di lode