Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XXI
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XXI.
Apprestamenti di Vitige per la espugnazione di Roma. Descrizione dell’Ariete. Balista e Lupo, altre macchine guerresche.
I. Gli ambasciadori di ritorno ai loro campi interrogati da Vitige qual uomo si fosse Belisario, e come disposto l’animo di lui alla partenza, risposero che i Gotti indarno spererebbero d’incutere timore in quel duce. Alle quali parole il re pigliò consiglio di porre mano ad un’ostinata oppugnazione, e di tal modo approntò l’occorrente per isconquassare di tutta forza quelle mura. Costruì all’uopo torri di legno dell’altezza loro, avutane la misura dal confronto spesso fattone, ed agli angoli della base vi sottopose ruote, col discorrere delle quali potevano i combattenti ben di leggieri trasferirsi ovunque bramassero, venendo esse da buoi aggiogati condotte. Allestì inoltre moltissime scale lunghe sì da giugnere a que’ merli, e quattro macchine dette arieti, delle quali passo a fare la descrizione. Innalzate ad intervalli eguali quattro colonne di legno, in tutto simili tra loro e le une di contro alle altre, v’incastrano di traverso otto travi, quattro ciò è alla sommità, e quattro alla base. Quindi siffatta maniera di camera quadrangola è coperta all’intorno con cuoia, in cambio di assi o di muro, per renderne più lieve il traino e per guarentire chi ne ha il maneggio dalle nemiche offese. Appendonvi inoltre per entro alla metà, o in quel torno, della sua altezza una trave orizzontale raccomandata a catene pendenti dalla parte superiore, la cui estremità aguzza come spada o punta di dardo rivestono di molto ferro tirato, quale incudine, a forma quadrangolare. Tale macchina sostenuta da quattro ruote al di sotto delle colonne è mossa da non meno di cinquanta uomini chiusi nel suo interno, i quali avvicinatala al muro fanno retrocedere coll’opera di non so che ordigno la trave da me ricordata per ispignervela tantosto di tutta forza contro. E quest’urto più e più volte ripetuto è di tanta efficacia che in qualsivoglia parte vada a colpire la scuote di botto e precipita al basso. La macchina poi fu nomata ariete perchè la testa prominente della sospesa trave, diretta ovunque, è bene spesso nel percuotere così impetuosa come vedi impetuosi i maschi delle pecore nel dare di cozzo. I Gotti ammanirono similmente fasci di legna e di canne senza numero per valersene gettatili nella fossa ad agguagliare il terreno, acciocchè le macchine potessero a tutt’agio trascorrerlo, e con tali apprestamenti sapeva loro mille anni di procedere all’assalto.
II. Belisario poi collocò sopra le torri alcune macchine dette baliste, le quali sono foggiate a guisa d’arco, sporgentevi al disotto in fuori un vuoto corno, retto da lenta catena e sostenuto da ferrea sbarra. Coloro adunque che vogliono usarne per ferire il nemico, annodata alle teste del legno che figurano le due estremità dell’arco forte cordicella, adattano nel vano del corno una saetta, lunga solo metà di quelle solite porsi nelle faretre, ma quattro volte più larga, nè guernita delle consuete penne, sì bene di sottili legni inseritivi di maniera da rassembrare al tutto una freccia. Dopo avervi da ultimo conficcata una punta grande in ragione dello spessore di lei, molte braccia da’ suoi lati con idonei artifizj tendon la corda; il perché di poi col repentino rallentamento di questa un tale ordigno avventa la saetta con tanta forza quanta agguagliar potrebbero per lo meno due tiri di balestrieri, cosicchè giunta a colpire alberi o pietre di subito le spezza. Tale si è la macchina che trasse il nome suo dal lanciare con impeto grandissimo gli strali. Costruirono parimente sulle merlature altre macchine da gittar sassi, ed onagri sono appellate. Posero di più alle porte fuori del muro i cosiddetti lupi formati del tenore seguente. Scelte due travi che dal suolo giungano all’altezza de’ merli appongonvi da ambe le parti de’ legni alternatamente gli uni orizzontali, di traverso gli altri, ed unisconli di guisa che tra le commettiture loro abbianvi fori al tutto corrispondenti, da ognuno de’ quali sporge una maniera di spada ben simile a grosso pungolo. Inchiodati quindi a una terza trave i legni di traverso e discendenti sino alla metà dell’altezza delle due perpendicolari fanno appoggiar queste alle porte; ed allorchè il nemico vi giugne dappresso, le guardie del soprastante muro, pigliatene le estremità, con impeto gettanle abbasso. Ora esse cadendo a un tratto sopra coloro, che stanvi a distanza brevissima, quanti ne incolgono con le prominenti spade, tanti issofatto gittanli a terra privi di vita. Le prefate cose operaronsi dal condottiero imperiale.