Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo VIII
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO VIII.
Belisario entrato in Italia strigne amicizia con Ebrimut, genero di Teodato; quindi assedia Napoli. — Risponde a Stefano, originario di quella città, il quale stoglievalo da tale impresa. — Fermatosi dai cittadini l’arrendimento, Pastore ed Asclepiodoro induconli co’ loro discorsi a cangiare sentenza.
I. Belisario guernite di truppe Siracusa e Panormo venne coll’esercito da Messana a Regio, dove i poeti fingono accaduti i famosi portenti di Scilla e Cariddi. Frotte di paesani accorrevano senza posa a lui, non volendo pigliare la difesa delle proprie città perchè smantellate da lungo tempo di muro, ma soprattutto perchè erano gli animi loro adiratissimi contro ai barbari, e di ragione, in causa dell’aspro governo cui viveano suggetti. Dei Gotti Ebrimut, addivenuto genero di Teodato collo sposarne la figliuola Teodenanta, con tutto il suo corteo disertò ai Romani, e subito dopo itosene a Bizanzio fu dall’imperatore, passando con silenzio le altre onoranze conferitegli, accolto nell’ordine de’ patrizj. Da Regio l’esercito con viaggio pedestre corse le piagge dei Bruzj e de’ Lucani, seguito dai vascelli a breve distanza. Messo piede nella Campania giunse ad una marittima città (Napoli ha nome) assai forte, e guardata da grosso presidio di gottica gente. Quivi il condottiero, dato ordine ai vascelli che entrati nel porto gittassero le àncore a un tiro d’arco dalle mura ed eretti gli steccati, ebbe a patti un castello de’ sobborghi; accordò poscia ai cittadini, secondandone la preghiera, che inviassero ne’ suoi alloggiamenti alcuni degli ottimati, per manifestargli col mezzo loro quanto e’ sapessero bramare, e per averne risposta. E di subito vide al suo cospetto l’ambasciadore Stefano, il quale espose in questi termini la sua mandata: «Operi ingiustamente, o duce, nel guerreggiare innocenti Romani abitatori d’una cittadetta, e per guisa tenuti in freno da presidio di barbari padroni, che pur volendo in nulla possono contraddirli. Eglino di più col venire alla difesa delle nostre mura nelle mani di Teodato lasciarono i figli, le mogli, ed ogni preziosissima suppellettile; il perchè se unissersi ben anche a noi per tendergli qualche insidia, estimerebbonsi meglio traditori di loro stessi che non della città nostra. Aggiugnerò in oltre, se m’è dato confessarti liberamente la verità, essere a voi medesimi perniziosa la fatta risoluzione di assalirci; imperciocchè riusciti una volta ad impossessarvi di Roma, addiverrete similmente e con tutto vostro agio padroni di Napoli, e rispinti da quella non potrete aver sicurezza neppur tra noi; laonde assediandoci spendereste indarno il vostro tempo.» Così l’ambasciadore.
II. Rispondeva il romano duce all’orazione di Stefano. «Se bene o male, se con prudente e diritto consiglio noi siamo qui venuti nol sommettiamo all’esamina de’ Napoletani; bramiamo solo che voi attentamente ponderiate le conseguenze della nostra deliberazione, e quindi abbracciate quanto sarà di vostro maggior profitto; e certo lo rinverrete accogliendo l’esercito dell’imperatore spedito a voi, non meno che a tutti gli altri Italiani, all’uopo di rendervi liberi, e non anteponendo ai buoni consigli i pessimi. Gli uomini intolleranti della servitù o d’altra infamia comunque volgonsi alle armi, e se la fortuna arride loro ne traggono doppio frutto, la vittoria dico e l’andar liberi delle sofferte molestie; e sia pure che rimangano sconfitti nella pugna, confortali impertanto almeno quel seguire a malincorpo un’avversa fortuna. A chi per lo contrario è dato scuotere il giogo senza i pericoli della guerra, ove a questa ricorra lo riterrà più fortemente, imperciocchè la stessa vittoria, se per ventura giunge ad acquistarla, addiverragli di gravissimo nocumento; se poi ritraggasi perdente dal campo, a cumulo di tutte le altre sciagure avrà eziandio la riportata strage; ciò valga a’ Napoletani. Quanto è a Gotti con voi di stanza, sia in facoltà loro il voler piuttosto d’ora in avanti unitamente a noi obbedire al grande imperatore, o il tornare sani e salvi ai loro focolari. Abbiate poi voi tutti fermo nella mente che se, rigettate queste proposizioni, oserete venire con noi a battaglia, non potremo a meno, coll’aiuto del Nume, di accogliere ostilmente chiunque ci farà contro. In fine quando i Napoletani amino seguire le parti di Augusto io sono pronto a riceverli ed a conceder loro la somma de’ beni che facemmo dapprima sperare ai Siciliani, e su de’ quali ora eglino a torto accuserebbonci di falso giuramento.»
III. Il duce ordinò in pubblico a Stefano di riferire questa sua diceria ai Napoletani, ma da solo a solo promisegli grandi premj ov’e’ riuscisse a volgere gli animi loro all’amicizia di Augusto. L’ambasciadore tornato a’ suoi narrò le cose udite da Belisario, ed aggiugnendovi il proprio consiglio dichiarava pernizioso il guerreggiare i Romani, e seco lui ne conveniva Antioco originario della Siria, ed a motivo del commercio marittimo stabilitosi da gran pezza in Napoli, ov’era tenuto in molta estimazione per la sua bontà e prudenza. Dimoravano similmente colà Pastore ed Asclepiodoto, oratori d’assai rinomanza presso quel popolo. Costoro intrinsichissimi de’ Gotti e contrarj ad ogni novità nella repubblica, concertato insieme di sturbare l’impresa, sollecitavan la plebe a proporre di molte gravi condizioni, e ad obbligare con giuramento il condottiero de’ nemici all’immediata esecuzione delle sue promesse. Scritte di questo tenore sopra un foglio tutte le domande loro, in guisa forti che disperava ognuno di vederle accolte dai Romani, consegnaronle a Stefano, il quale introdottosi nuovamente nel campo cesareo e presentato al duce il foglio interrogòllo s’e’ volesse aderire ad ogni parte del contenuto in esso, e nell’affermazione sagramentare la sua parola? Belisario promettendo che verrebbe il tutto adempito gli dà commiato. I Napoletani fatti partecipi della risposta cominciarono ad alta voce a dichiarare il consentimento loro; a gridare che si ricevesse l’esercito imperiale; a spacciare con sicurezza malissimo fondato ogni sospetto di frode, mettendo fuor di timore l’esempio de’ Siciliani, i quali or ora francatisi dai barbari tiranni per fidarsi a Giustiziano godono di presente una libertà scevra affatto di molestie: e sì dicendo tutti correvano tumultuariamente ad aprire le porte. Incolloritisi i Gotti nè forti abbastanza da resistere si partivano; quando Pastore ed Asclepiodoto ragunati i cittadini ed i barbari tennero il seguente discorso: «Nulla v’ha da stupire che una popolazione metta a gravissimo ripentaglio sè stessa e le cose sue; ed in ispecie quando, non fatto partecipe de’ proprj divisamenti alcun saggio ottimate, vuol erigersi in arbitro de’ pubblici affari. Ma noi, sendo imminente la comune rovina, non possiamo contenerci dal prestare almeno l’ultimo servigio alla patria con questa esortazione. Voi dunque, o cittadini, procacciate in tutti i modi, come vediamo, di assoggettare le vostre persone e la città a Belisario, il quale vi promette monti e mari d’oro con santissimi giuramenti. Nessuno per certo negherà convenirvi tali offerte, quando egli unitamente a queste possa eziandio obbligarsi di soggiogarvi colla guerra; conciossiachè riterremmo dementissimo chiunque non adoperasse di amicarsi al futuro signore. Ma se per lo contrario dubbia è l’impresa, nè mortale può entrare idoneo mallevadore per la fortuna, non porrete voi mente alle calamità che cercate di vostra posta trarvi addosso? Egli è certo innanzi tutto che i Gotti se usciranno dell’arringo trionfanti ci danneranno, quali odiosissimi loro nemici, ad acerbe pene, consapevoli che non da necessità costretti, bensì da perfida codardia lusingati demmo opera al tradimento. Belisario anch’egli se mai giunga a vincere ne riputerà infedeli e traditori de’ nostri principi. Che più, Giustiniano stesso a diritto ci terrà ognora in freno, come disertori, con forte presidio; essendo che l’uomo trovato l’esecutore de’ suoi pravi disegni all’ottenere il compimento loro compiacesi del benefizio ricevuto; ma ben presto addivenendogli sospetto per la frode commessa l’odia e lo teme, avendone le pruove d’infedeltà nell’animo suo. All’opposto se ora noi ci serberemo leali co’ Gotti valorosamente combattendo, questi riusciti vincitori ne ricolmeranno di grandissimi beni; ma quand’anche la vittoria si dichiarasse pel nemico, e’ non ci negherà il perdono, dovendo essere al tutto inumano chi punisce un amore disgraziatamente fedele. Senza che, viva Iddio, qual motivo è in voi per temere cotanto un assedio dalla parte romana? Non difettiamo qui entro di vittovaglia, nessuno ci vieta o impedisce il foraggio, e tutto il dover nostro si riduce a rimanere in pace nelle proprie case, avendovi piena sicurezza mercè di queste mura, e del presidio che veglia alla difesa loro. E sì che il duce imperiale ove nutrisse qualche speranza di espugnarle non avrebbe mai più aderito, come va intorno la voce, alle nostre gravissime condizioni. Oltre di che s’egli avesse fermo intendimento di osservare la giustizia e di procurare i nostri vantaggi non sarebbesi indotto a sbigottire i Napoletani, ed a consolidare il suo potere contro ai Gotti col mezzo d’una nostra furfanteria: chiamerebbe in vece a battaglia Teodato e le genti di lui, venendo seco loro a composizione che la città fosse il premio della vittoria, senza nostro pericolo e tradimento.» Messo termine all’arringa Pastore ed Asclepiodoto invitano i Giudei a comparire innanzi per attestare che sono quelle mura provvedute di tutti i bisogni della vita, ed il presidio colla maggiore asseveranza dichiara che non le cederà mai al nemico; il popolo adunque persuaso da tali affermazioni manda a Belisario intimandogli di levarsi a tutta pressa da là. Costui nondimeno attese all’assedio, e venuto più volte agli assalimenti dovè sempre tornare indietro con perdita di molta e valorosissima truppa; imperocchè erano di grave imbarazzo all’accostarvisi da quinci il mare, da quindi i burrati, e sì per altre cagioni, sì per l'ertezza dei baluardi non aveavi di che temere dagli assalitori. Nè tampoco il duce apportò grave danno ai Napoletani col tagliare l’acquidotto della città, non potendo la rottura di esso recar loro che lieve disagio, avendovi là entro pozzi sufficienti ad ogni occorrenza della vita.