Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo III
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO III.
Schiatta, costumi e risoluzione di Teodato. Ambasceria al romano Pontefice in Bizanzio. Giudizio di Procopio sulla religione. — Allo infermarsi d’Atalarico la genitrice, tenendosi mal sicura co’ Gotti, si vale ascosamente dell’opera di Alessandro per cedere a Giustiniano l’Italia. — Carteggio all’uopo tra’ due monarchi sotto coperta di scambievoli rimprocci. — Tornata dell’ambasceria in Bizanzio. L’imperatore manda Pietro in Italia.
I. Aveavi tra’ Gotti un Teodato figlio di Amalafrida sorella di Teuderico, uomo di età provetta, versato nella lingua latina e nella platonica filosofia, ma ignorantissimo dell’arte guerresca, pigro al sommo e d’avarizia enorme. Questi possedendo gran parte dell’agro toscano recava di continuo molestie ai confinanti proprietarj acciocchè si partissero, estimando infelicità l’aver che fare con de’ vicini. Se non che tanta sua ingordigia venendo frenata a tutta possanza da Amalasunta, erasi egli ridotto a portarle implacabil odio, e vinto dall’impazienza macchinava di sommettere a Giustiniano Augusto la Toscana, sperandone molto danaro in guiderdone, e di essere ascritto all’ordine senatorio per quindi passar la vita in Bizanzio. Mentre egli escogitava il mezzo di compiere la sua vendetta presentaronsi al romano Pontefice gli ambasciadori Ipazio vescovo degli Efesj, e Demetrio de’ Filippensi, macedoniche genti, per convenire seco intorno a un domma di religione, sul quale dissentivano tra loro i cristiani; ma di questa controversia, avvegnachè benissimo informatone, tralascio di far parola, riputando un pazzo orgoglio il voler noi indagare la divina essenza, quando, a mio avviso, non pur lei, ma nemmeno la nostra n’è dato conoscere perfettamente; il perchè io giudicando miglior partito il passare con silenzio tali arcani, che soltanto voglionsi con pia fede venerare, contenterommi di ripetere la bontà infinita dell’Ente supremo, ed il suo dominio sopra tutte le cose: ognuno poi, o sacerdote o secolare, ne parli secondo la propria opinione. Teodato del resto abboccatosi con quell’ambasceria, esposele in aperto l’animo suo, e la incaricò di partecipare a Giustiniano Augusto il formato disegno.
II. Atalarico intanto abbandonatosi fuor misura alla crapula cominciò a patire di consunzione: il perchè Amalasunta caduta in gravi pensieri, non potendo fidare nell’animo d’un sì tristo figlio, nè rimanendone priva tener più la propria vita sicura, in causa del mal trattamento fatto degli ottimati de’ Gotti, deliberò per la sua conservazione ridurre il regno e gl’Italiani sotto l’imperiale corona. Il senatore Alessandro a quei dì erasi trasferito in Italia, viaggiando co’ prelati Demetrio ed Ipazio, per commissione di Giustiniano, il quale consapevole che il vascello di Amalasunta pervenuto nel porto d’Epidanno ivi attendeva, e costei sebbene trascorso lungo tempo proseguiva a dimorare nella sua reggia, avea ordinato al senatore d’investigarne minutamente gli affari per quindi informarlo di tutto. Apparentemente poi e’ mandava quest’ambasceria all’uopo di significarle che di mal animo soffriva la repulsa avuta a Lilibeo, come narra il precedente mio libro 1, l’operatosi dal comandante di Napoli, Uliare, accusato di avere accolto col regale consenso dieci Unni disertati dall’africano esercito e condottili nella Campania, e finalmente le barbarie commesse dai Gotti, in guerra co’ Gepidi, presso di Sirmio contro Graziana città posta nei confini dell’Illirio. L’imperatore adunque inviò il foglio apportatore di tali rimbrotti col mezzo di Alessandro, e costui arrivato a Roma ed accomiatatosi dai vescovi colà rimasi per dare compimento alla mandata loro, corsa la via di Ravenna ed ottenuta udienza da Amalasunta d’ascoso comunicolle i segreti colloquj di Giustiniano, ed in palese le presentò la lettera imperiale che qui riportiamo.
III. “Il forte di Lilibeo toltoci ingiustamente è tuttora guardato dalle vostre armi, nè sin qui vi siete compiaciuti renderci i nostri disertori da voi accolti; per colmo poi d’ogni oltraggio arrecaste danni gravissimi alla mia Graziana. È forza quindi che tu ponga mente dove andranno a sboccare tali faccende.» Amalasunta, letto il foglio, così riscrisse: «È più dicevol cosa ad imperatore grande e magnanimo il proteggere un fanciullo orfano di padre ed all’oscuro affatto di quanto s’opera, che non il dichiararglisi nemico; essendo che d’un ingiusto conflitto non possiamo tampoco uscir vittoriosi con onore. Minaccevolmente rimproveri ad Atalarico e Lilibeo e i dieci fuggitivi, ed i mali per ignoranza arrecati ad una città amica dai nostri guerrieri nel correr dietro a’ nemici loro. Lunge da te, o Giustiniano, cosiffatto procedere; sovvengati piuttosto che noi, anzichè opporci alla tua impresa contro de’ Vandali, accordammo di buon grado il passo e la compera della vittuaglia sul tener nostro alle truppe dirette a guerreggiarli, e con tante altre cose le fornimmo di cavalli in sì gran numero da volersi meglio attribuire a questi, che non a tutto il rimanente, la tua vittoria sopr’essi. Ha diritto in fine al nome di confederato e di amico non pur chi d’armi il vicino, ma eziandio chi d’ogni altra occorrenza si fa palesemente suo aiutatore. Nè di grazia obbliare che in allora i soli porti della Sicilia erano aperti al tuo navilio, e che questo, ove fosse stato impedito dal vittovagliarvisi, non potea volgere mai più sue prore contro dell’Africa. Laonde tu devi ascriverci tutta la vittoria, addivenendo colui che appiana la via alle imprese meritevole di riportarne, condotte a felice termine, gloria e premio; ed in fè mia qual altro bene, o imperatore, è si apprezzato dall’uomo come il soggiogare i proprj nemici? Su di noi per lo contrario ne ricadde non mediocre danno, esclusi, in opposizione alle leggi della guerra, dal partecipare al bottino, e di presente spogliati del nostro dominio sopra Lilibeo, scoglio per verità da farne pochissimo conto, ma che impertanto se fosse stato da prima in tuo potere, lo avresti per lo meno dovuto ora cedere ad Atalarico, qual guiderdone dell’essersi per te adoperato in cose di gravissimo rilievo.» La regina pubblicamente in tal foggia rispondeva a Giustiniano, scrivendogli poi di soppiatto che farebbelo padrone dell’intiera Italia.
IV. Tornati gli ambasciatori in Bizanzio Alessandro consegna all’imperatore il foglio avuto ascosamente dalla regina, e Demetrio ed Ipazio gli riferiscono i discorsi tenuti loro da Teodato, dichiarando ch’agevol era a costui l’adempiere alla promessa mercè della somma autorità sua nella Toscana, possedendone la parte maggiore. Lietissimo Giustiniano di tutte queste cose manda subito in Italia Pietro da Tessalonica nell’Illiria, protettore 2 in Bizanzio, e personaggio di non comune prudenza, di piacevoli e bei modi, e valentissimo nel persuadere.
Note
- ↑ Guerre Vandaliche, lib. II.
- ↑ Di questo personaggio chiarissimo parla Teod. nell’epistola all’imperatore Giustiniano (Cass. lib. IX, Variarum ec.); Stefano Bizantino alla V. Ακόναι, e Vigilio papa nella sua lettera enciclica alla chiesa universale. Vedi i frammenti della sua Istoria nel Vol. III degli Storici minori pubblicati in questa Collana.