Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo I

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Libro primo Libro primo - Capo II
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CAPO PRIMO.

Zenone imperator di Bizanzio, Augustolo di Occidente. — Morto di ferro il costui padre Oreste, regna Odoacre. — Teuderico, re dei Gotti, dalla Tracia muove contro l’Italia per istigazione di Zenone. — Assedia Ravenna. — Uccide Odoacre — Padrone della penisola ne regge i popoli con lode. — Reo della ingiusta morte di Simmaco e di Boezio, sembratogli vedere in un piatto il capo del primo, inorridisce, e piangente sen muore.

I. Così nell’Africa le romane bisogne:1 ora passo a trattare della gottica guerra2, facendo innanzi tutto [p. 8 modifica]precedere la narrazione delle cose avvenute ai Gotti ed ai Romani prima di essa. Mentre Zenone dominava in Bizanzio imperò nell’Occidente Augusto, nomato dai Romani vezzosamente con voce diminutiva Augustolo3, sendo asceso al trono fanciulletto, succedutovi al genitore Oreste principe di ben rara prudenza. Per lo avanti, nè molto, i Romani fiaccati dalle stragi sofferte da Alarico ed Attila, come si legge ne’ miei precedenti libri, avevano fermato lega cogli Scirri, cogli Alani e con altre gottiche genti; ma sì operando quanto innalzavano la potenza e dignità delle barbariche truppe, tanto scemavano l’onore delle proprie, e coll’onesto nome di confederazione lasciavansi tirannicamente opprimere dagli stranieri. E di vero la costoro alterigia tal crebbe che dopo ottenuto di forza mal nostro grado più e più altri profitti, voleano sin compartecipare di tutte le italiane terre, e perchè Oreste loro ne rifiutò la terza parte, com e’ pretendevano, venne di colpo spento. In allora uno di essi, per nome Odoacre e già lancia imperiale4, si fece innanzi promettendo compiere ogni lor desiderio se ne avesse aiuto a salire il trono. Giunto di questo modo alla tirannide non peggiorò la sorte dell’imperatore; lasciando ch’e’ privatamente in ozio si vivesse; accordata poscia la terza parte dei colti ai barbari al tutto se li affezionò, corroborando in simigliante guisa per anni dieci l’usurpatosi impero.

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II. Sotto a quel tempo i Gotti di stanza, con imperiale permesso, nella Tracia e capitanati dal patrizio e consolare Teuderico ribellarono dai Romani. Ma Zenone Augusto sapendo trarre ottimo partito dall’accaduto indusse il duce loro a venire in Italia, ov’e’ portando le armi contro Odoacre procurerebbe a sè stesso ed ai Gotti l’imperio occidentale, addicendoglisi vie meglio, come senatore in ispecie, il discacciare un tiranno, ed il costitursi re dei Romani e di tutta la penisola, che non il guerreggiare con suo grave pericolo Giustiniano; ed il ribello careggiato un tale consiglio batte la proposta via con sua gente e con molte carra piene di fanciulletti, di donne e di tutta la suppellettile, quanta poteane ognuno condurre seco. Pervenuti costoro al seno Ionico, nè avendo mezzo di valicarlo per mancanza di navilio, girarongli all’intorno calcando le terre dei Taulanzj5 e degli altri abitatori di que’ lidi. Fattesi in questa le truppe d’Odoacre ad affrontarli, e dopo molti combattimenti sbaragliate, ripararono col duce loro in Ravenna, e ne’ vicini fortissimi luoghi, che poi, cinti d’assedio, in molto numero ed in varie fogge, come la ventura di ciascheduno si volle, furono espugnati: Cesena tuttavia, castello a trecento stadj da Ravenna, e Ravenna stessa, ov’era Odoacre, non poteronsi vincere con la forza, nè averle a patti. [p. 10 modifica]Sorge Ravenna su di pianura all’estremità del golfo Ionico, e soli due stadj lunge da esso: non è città marittima, e sembra arduo cimento lo accostarvisi non meno con armata di mare che con eserciti, dal suo littorale tenendo indietro i vascelli sterminate sirti, che trenta stadj, e forse più, dilungansi in mare, e colle aggirate loro forte impediscono il proceder oltre ai naviganti, avvegnachè standovi di contro e’ veggansela ben dappresso. Chiudonvi poi l’entrata agli eserciti di terra le acque con che il fiume Po, o vuoi Eridano, disceso dai gallici monti, ed altri fiumi navigabili, e laghi attorniano dappertutto le sue mura. Ivi poi cotidianamente un che avviene, di vero stupendissimo. Col partirsi delle tenebre il mare a simile di fiume per tanto spazio trabocca sul continente, quanto ne puoi trascorrere camminando un intero dì con ispeditezza, e permette alle navi di procedervi nel mezzo: ritoglie quindi alla sera l’accordato traggetto, e con eguale riflusso tira a sè nuovamente le acque6. Il perchè le genti bramose di portar dentro quelle mura, o per viste commerciali o per cagione comunque, i bisogni della vita, o di là trasferirli altrove, collocate le merci sopra barche, e spinte queste laddove sogliono effondersi le acque, attendonvi il marino flusso, al principiare del quale sollevasi a poco a poco il navilio dal suolo, ed i marini posta mano all’opera compiono l’uffizio loro. Nè quivi solo ciò accade, ma pur anche incessantemente su tutta [p. 11 modifica]quella spiaggia sino alla città di Aquileia7, sebbene non sempre in egual modo e coll’eguale misura, imperciocchè al cominciar della luna più mite ribocca il mare, addivenuto poi risplendente per metà il disco di lei sinchè torna questo altra fiata con la stessa misura a noi visibile, e’ più cresce; ma di ciò basti.

III. Era già il terzo anno che i Gotti aventi a duce Teuderico cingevano indarno Ravenna, quando la noia da quinci dell’assedio e la difalta della vittuaglia da quindi costrinsero e gli assediatori e gli assediati a patteggiare, mediante il vescovo della città, che Teuderico e Odoacre viverebbero di pari sorte là entro. Il quale accordo ebbe qualche tempo il suo pieno vigore, ma poscia Teuderico scoperta, come si narra, una frode macchinatagli contro da Odoacre, invitò con mentita amicizia costui alla mensa, e tra le imbandigioni l’uccise; amicatisi di poi quanti eranvi de’ barbari nemici, ebbe in poter suo i Gotti e gli Italiani. Ed avvegnachè non s’arrogasse il nome di romano imperatore, nè gl’imperiali ornamenti, pago del titolo di re, voce usata dai barbari per indicare i supremi capi loro, nondimeno tal governò sua gente da non lasciar desiderio alcuno di quanto si conviene agli animi virtuosi degli Augusti, appalesandosi coltivatore insigne della giustizia, e difensore zelante [p. 12 modifica]delle leggi. Guardò inoltre ognora le sue provincie dalle offese de’ vicini barbari, pervenuto essendo all’apice non pur della prudenza che della fortezza, nè fece mai torto a sudditi, o perdonò a’ rei di simigliante colpa; se non che permise ai Gotti il partimento fra loro dei colti da Odoacre accordati alle genti di sua fazione. Laonde fu egli di nome tiranno, ma in fatto vero imperatore, cui non sapremmo anteporre altro di quelli che sin dal principio dell’imperio salirono ad altissima fama in così onorevole grado. Al pari de’ Gotti amavanlo assaissimo gl’Italiani, contro la consuetudine delle umane menti; imperciocchè nel maneggio delle cose civili nutrendo chi l’uno chi l’altro desiderio, il rettor sommo piace cui vanno a’ versi le tue deliberazioni, ed incresce alle genti che veggono delusa ogni loro speranza. Vivuto anni trentasette, formidabile mai sempre a tutti i suoi nemici, partì di questa vita desideratissimo dai popoli governati8. Vo a dirne la morte.

IV. Simmaco ed il costui genero Boezio, consolari entrambi e di nobilissima schiatta, riscuotevano i primi onori nel senato; nè aveavi chi li agguagliasse nelle filosofiche scienze, nell’amore della giustizia, e nella molta liberalità con che soccorrevano ai bisognosi, cittadini e’ fossero o stranieri. Saliti pertanto ad alta gloria trassersi addosso l'invidia di funestissimi personaggi, dalle cui frodi persuaso Teuderico, al venirgli accusati di amore per le civili novità, sentenziolli di morte, [p. 13 modifica]ponendone il patrimonio nel fisco. Trascorsi pochi giorni dalla terribile esecuzione, messa dai famigliari sul desco mentre e’ cenava la testa d’un grosso pesce, in lei parvegli scorgere quella di fresco spiccata dall’imbusto di Simmaco, la quale col bieco ed orribil suo cipiglio e coll'addentarsi del labbro inferiore pigliato avesse la sembianza di chi gravemente minaccia. Spaventato il re dal tremendo prodigio, e gelatogli fuor misura il sangue nelle vene corre tosto al suo letto, e fattovi distender sopra qualche numero di coltri, vi si tenne avvolto. Narrò poscia l’occorsogli ad Elpidio medico piangendo la commessa scelleraggine contro que’ due; e tal crebbe a cagione di ciò l’afflizion sua e l’ambascia, che non guari dopo mancò ai vivi; fu questa la prima ed ultima ingiustizia di che si contaminò negli animi de’ sudditi, e vi cadde profferendo la mortale condanna, fuor della propria consuetudine, senz’aver prima ben ponderato le accuse.


Note

  1. Con esse termina la storia delle guerre contro i Vandali
  2. Tali geste ebbero principio nell’anno 487, e terminarono col 554 dell’era volgare.
  3. Anni dell’E.V. 475. Ultimo imperatore romano.
  4. Δορυφόρος astato, lancia, propriamente guardia del corpo.
  5. Strabone così parla di questi popoli. «Cominciandosi da Epidanno e da Apollonia fino ai monti Cerauni abitano i Bullioni, i Taulanzii, i Partini ed i Frigi.» (lib. VII, trad. Ambr.) In oggi sono detti Tallanti.
  6. . Le cose medesime sono riferite più laconicamente da Strabone (v. lib. V, cap. 1).
  7. «Aquileia, che più d’ogni altra è vicina all’ultimo recesso del golfo (Adriatico), la fondarono i Romani, e fortificaronla contro i barbari abitanti nelle parti superiori» (Strab. lib. V, cap. 1, trad. di F. Ambrosoli). Questa città fu distrutta da Attila nel 452 dell’E.V.
  8. V. il suo Elogio in Suida v. Θευδεριχος