Io per soverchia età piedi ho mal pronti
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LXIII
PER CINZIO VENANZIO DA CAGLI
Vincitore ne’ giuochi del pallone celebrati in
Firenze l’estate dell’anno 1619.
Io per soverchia età piedi ho mal pronti
Sull’Alpe a far cammino:
Tu muovi, Euterpe, e d’Apennin su’monti
Ritrova il vago Urbino,
5Ed ivi narra, come
Un bramoso d’onor germe di Cagli
In bel teatro di gentil travagli
S’inghirlandò le chiome;
E fe’ sull’Arno rimaner pentita
10Ogni possanza a contrastarlo ardita.
Altri usci di Venezia, altero albergo
Dell’aurea libertade;
Altri per qui venir lasciossi a tergo
Milan dall’ampie strade.
15Ebbe il desire istesso
Nobile gioventù d’Osmo e d’Ancona.
E ne mandasti tu cara Verona,
Di Marte e di Permesso,
E con sembiante a rimirar sereno
20Firenze mia ben gli raccolse in seno.
Gente quadrata, e che nervoso il braccio,
I piè quasi ha di piume,
E se corre Aquilon, padre del ghiaccio,
Sprezzarlo ha per costume:
25Ma se dall’alto rugge
11 Leon di Nemea ne’ caldi mesi
Va per le piagge aperte, e i lampi accesi
Fra selve ella non fugge;
E pure di valor Cintio la vinse,
30E dell’Acero illustre il crin si cinse,
Deh che fa rimirarlo arso la pelle,
E dimagrato il busto
Portar sul campo le vestigia snelle, Vir
Indomito, robusto?
35E nel fervor del giorno
Dar legge al volo delle grosse palle,
E tutto rimbombar l’aereo calle
Alle percosse intorno;
Qual se Giove talor fulmini avventa,
40E squarcia i nembi, e i peccator sgomenta.
Qual uomo i vezzi di Ciprigna ha cari,
Tratti dadi malvagi;
Ma chi diletto ha ne’ guerrieri affanni
Non paventi i disagi:
45Costui con aspro legno
Rivesta il braccio, e di sudor trabocchi,
E del popolo folto a’ cupid’occhi
Divenga altero segno,
Se rinforzando negli assalti duri,
50E minaccia di febbre egli non curi.
Cintio, sentier di desiata gloria
Ha passi gravi e forti:
Ma pena di virtù, siati in memoria,
Non è senza conforti;
55E tu se ’l corpo lasso
Lavar desii, e rinfrescar le vene,
Non ricercar quaggiù fonti terrene,
Figlie d’alpestre sasso;
Che a ristorar delle fatiche oneste
60Altrui versi di Pindo acqua celeste.
Deh che promisi? In sal formar gli accenti
Quasi cangiò sembianti,
Che darli alla bilancia delle genti,
È risco a’ nuovi canti;
65Ma sia vano il sospetto,
In sulla cetra vo’seguir mio stile,
Esser cosa non può, salvo gentile,
Ove Cosmo ha diletto:
Invidia taci, e le rie labbra serra:
70Il re dell’Arno in suo piacer non erra.