Invito a Lesbia Cidonia ed altre poesie/Al signor N. N.

Al signor N. N.

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All'abate don Aurelio De' Giorgi Bertola All’ornatissima dama
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AL SIGNOR N. N.


Mentre tu forse le crinite code
De le accese comete in cielo insegui,
Esaminando se tremar cotanto
Debba a la vista lor la nostra terra;
5Io le garrule fole de’ poeti,
Fole piene talor d’un util vero,
Leggendo passo i neghittosi giorni.
Felice te, cui di sottile acume
La mente armata può cercar le vie
10Dell’immortal Newton, del grande Eulero;
Che di novelli calcoli sull’ale,
L’ampio azzurro del ciel rapido corre!
Io resterommi nella bassa valle,
Posta a pie del Parnasso; e la sua cima,
15Ondeggiante di lauri, a’ miei desiri
Meta farò; finchè benigna stella
Forse più alto il mio pensier non chiami.
Non però ch’io le celebri scoperte
Dell’età nostre, e i decantati arcani
20Della filosofia pregi cotanto,
Che riverente e umil, l’ombra n’adori.
Sempre umano è l’ingegno; e folta nebbia
Dal nascere al morir s’avvolge e cinge.
V’ha chi talor fanatico raccoglie
25I lievi filosofici sospetti
Dai famosi volumi; e ne fa leggi.
Cui fora contrastar scorno e delitto.
Deh quanto meglio tu, cui diede il cielo
Accorta mente, anco laddove sembri
30Franco il Saggio dettar le sue sentenze,
Dei gravi nomi e titoli superbi.
Sotto il peso non gemi; e sempre ardisci
I primi ingegni interrogar del vero!
Tanto non è concesso al cieco volgo;
35Nelle utili scoperte, e negli errori,
Destinato a seguire i passi altrui.
No, che lode non è solo di questi
Secoli tardi, il risaper che in cielo.
Pari a pianeti hanno sostanza e moto,
40Le fulgide comete igneo-crinite,
In tanta loro liberta costanti.
Nè tanto aggiunger con figure e cifre
Sull’ellittico lor vasto cammino,

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Che possiamo certo preveder di quelle
45L’aspettato ritorno. Oh quante volte
Segnossi il giorno; e nei confin del cielo
Puntò già l’astronomico compasso
Il sito d’un cometa a’ primi raggi!
Nissun, per quella notte, de’ seguaci
50De la candida Urania in sulle coltri
Posò il vigile fianco; avidi gli occhi
Accolser della notte il lento umore,
Finchè già stanchi, e d’ogni premio cassi,
Dall’ingrato mattin fur sopraggiunti.
55E tu saprai ridir donde ciò venga:
E risalendo a più alti precetti
Di quell’arte onde Archita eterno vive,
Dirai, che quando in ampi spazi immensi
Fugge dal Sol la ferruginea stella
60Inverso al firmamento; e forse corre
D’altro Mondo stranier presso i confini,
L’ignee sue vampe va perdendo, e ’l moto.
Dirai che allor, se il lento astro per via
In ciel cotanto inospito, e lontano,
65O sua simile altra cometa incontri;
pur pianeta, che a più certe leggi
Giri e s’avvolga ad altro Sole intorno;
Potria con esso lui fermarsi tanto,
Ricompensando la passata noja
70Del solingo cammin, che del suo moto
Il più sagace astronomo deluda:
Cose che ad ascoltar mutolo pendo.
Ma con nove minacce alcun non venga
Ad impormi timor, che il vasto globo
75Coll’urto suo le stabili colonne
Scuoter possa del Mondo. Il vano immenso,
Che sotto il Sole, e sopra il Sol si stende
Sino alle inabissate ultime stelle,
Forse a capir non basta il vario giro
80Delle vaganti in ciel lucide palle,
Che non abbian tra lor nel curvo moto
Coll’incontro a crearsi alto periglio?
Ecco al rumor che d’oltremonte scende
Di mal certo astronomico susurro
85Sulla misera Italia adoratrice
Degli antichi suoi servi: ecco repente
I palpitanti Saggi impallidire
Di pia credulità vittime pronte.
Il secondo Diluvio assai sgomenta
90Gli abitator de’ lidi, e la marina.
Già pria cara delizia, e di ricchezze
Vasta speranza, oimè! che al sguardo reca

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Novello orror; che ridondante e tratta
Dal domestico troppo atro cometa,
95Con violento altissimo riflusso
Non allarghi l’impero, e non ricolmi
Del liquefatto sal palagi e templi.
Altri l’ardor, che mille volte vince
Le stridenti fornaci, omai s’aspetta
100Che sugga in un balen l’ampio oceano,
E l’arsiccio terren consumi e squagli.
Ne sol l’austero d’affettati studi
Pretendente filosofo le mille
Combinazion dell’astro pellegrino,
105E in mille la funesta una contempla.
Bello il vedere ancor su le rosate
Tenere labbra delle afflitte dame
L’erudito timor mescer novelle,
Finchè del gran Francese il consolante
110Foglio sgombrando le funeste idee
Il periglio da noi lungi discacci:
E dentro de’ possibili infiniti
Il ravvolga e sommerga. Io cui d’acuta
Mente il ciel non fe’ dono, al cielo vòlgo
115L’attonite pupille; e la gran opra.
Poco intesa da me, molto ammirata,
Non cesso risguardar del Fabbro eterno.
Tema non mi faran diluvj novi,
Finchè argomento di divina pace,
120Il vario nelle nubi arco rimiri.
Del dolce aspetto suo l’alma si pasce.
Quando le risovvien l’orrido caso
Che l’ampia terra seppellì nell’onda;
E chiusa galleggiò, nel fragil legno,
125Tutta la speme della stirpe umana.
Che se pur s’avvicina il flebil giorno.
Uscito dagli arcani impenetrabili
Dell’Artefice eterno, in cui di fiamme
Arderà l’una terra, e vedrà il fine:
130Io dentro di quel sen dolce e paterno.
Onde uscì l’Universo, ed io con lui,
Purificando quel che in me si chiude
D’immortal tempra, cercherommi asilo.
Onde, nè le cadenti accese stelle
135Sul capo mio, nè il volto atro fumante
Della madre natura, apportar possa
A mia virtù costante, urto e rovina.