Inni omerici/Ad Afrodite/Introduzione
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L'inno ad Afrodite non presenta quasi nessuna difficoltà.
Semplice e diritto nella linea generale, sobrio e perspicuo nei
particolari, offre subito l’impressione d’un organismo integro
e perfetto; e non richiede veruna esegesi.
Ma si sa bene che i miseri mortali, quando non patiscono vere malattie, se ne procurano qualcuna immaginaria. E, analogamente, i filologi, anche quando sono immortali, se non si trovano sotto mano veri problemi, trovano modo di fabbricarsene qualcuno artificiale. E cosí, a proposito del nostro inno, impegnarono la discussione se l’Afrodite qui glorificata fosse la Pandemia o vulgivaga, o non piuttosto la celeste. Passiamo oltre.
Maggiore considerazione merita il rilievo del Baumeister, che questa Afrodite, al cui arrivo tutte le fiere si umiliano devote, per poi rimpiattarsi, e unirsi d’amore, fa pensare alla Rea di Frigia. Siamo in piena mitologia orientale. Onde il Baumeister conclude che quest’inno dove essere composto nel tempo in cui il culto della Magna Madre prevalse anche fra i Greci, e nei luoghi in cui fu più diffuso, vale a dire nelle colonie greche della sponda asiatica1.
Altri indici furono assunti dal contenuto dell’inno per stabilirne la cronologia.
Prima di tutto, la lingua, e lo stile, qui più omerici che in qualsiasi altro degl'inni. Se ne credé dimostrata la genuinità omerica; e ci fu chi seppe precisare che il cantore dell'Iliade aveva composto quest'inno nella sua prima gioventù.
Senza andar tanto in là, il Wirsel lo crede tuttavia dei tempi d’Omero. Anzi, i versi dell'Iliade (XX, 306):
In odio prese Giove Cronide di Priamo la stirpe:
ora la forza d’Enea dovrà comandare ai Troiani:
i figli suoi comanderanno nei tempi venturi,
dovrebbero, secondo lui, essere attinti dal nostro inno.
Eberhard, sempre dall'analisi della lingua, lo giudica il più antico degli inni. Però, una volta ammesso che il poeta non è Omero, bensì un suo imitatore, anche questa omericità nei riguardi della cronologia non significa proprio un bel nulla.
Furono anche rilevate parecchie coincidenze del nostro inno con quello a Demetra (vedile, nella edizione del Gemoll, a pag. 259 sg.). Ma chi è l’imitatore e chi l'imitato? Senza contare che poi anche l’inno a Demetra non si può datare con sicurezza. E Matthia fa risalire l’inno ai tempi di Mimnermo (fine del sec. VII).
Voss lo abbassa a quelli di Anacreonte (metà del sec. VI).
Suhle lo tira giù giù, sino ad Erodoto e ai poeti tragici (metà del sec. V).
Come si vede, ce n’è per tutti i gusti. E non si dimentichi che tutti i sullodati filologi sono ugualmente autorevoli, e tutti i loro argomenti ugualmente ben fondati. E analoga ricchezza di scelta troverebbe il profano che volesse passare in rassegna le varie opinioni intorno alla patria del poeta.
Anche sull'intrinseco valore dell'inno regna una certa discordia. E la sua omericità fu assunta a duplice e ben diversa conclusione. Per alcuni, valse a provare che l’autore fosse addirittura Omero; per altri che dové essere un rabberciatore qualsiasi, incapace di creare per proprio conto, e quindi costretto a rubacchiare.
Ma proprio in questo campo perfettamente soggettivo mi pare che si possa giungere a conclusioni abbastanza sicure.
Il quadro delle fiere che muovono incontro alla Dea, è pieno di colore e di vita. Con arte maestra è dipinta l’apparizione di Afrodite ad Anchise. Piena d’intima virtù musicale, tanto più efficace quanto meno definibile, è, dopo la notte d’amore, la ripresa musicale:
Nell’ora che i pastori conducon di nuovo all’ovile
dai pascoli fioriti le pecore pingui e i giovenchi
su Anchise allor versò la Diva soave sopore.
Penetrante, icastica, ricca di particolari salienti, è la pittura della miserevole vecchiaia di Titone. E chi non sente l’intima, squisita poesia agreste, che non teme confronto, sia pure con le opere della grande poesia greca, ond'è imbevuta tutta la descrizione della vita e della morte delle Ninfe?
Ora, chi seppe, in cosí breve àmbito, rinchiudere tante e cosí rare squisitezze poetiche, non poté essere, non dico un guastamestieri, ma neppure un artista di merito secondario.
E parrebbe che la pensasse cosí anche Lucrezio, che da questo inno trasse qualche ispirazione pel suo proemio immortale.
Note
- ↑ Questa Afrodite, però, fa anche pensare alla Circe dell’Odissea, e potrebbe esserne una derivazione. Altri, però, potrebbe osservare che Circe è a sua volta una Dea delle fiere (vedi in questa collezione la mia prefazione all'Odissea, pag. XXXIII). Si ricadrebbe dunque nella mitologia originale.