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AD AFRODITE | 87 |
E Matthia fa risalire l’inno ai tempi di Mimnermo (fine
del sec. VII).
Voss lo abbassa a quelli di Anacreonte (metà del sec. VI).
Suhle lo tira giù giù, sino ad Erodoto e ai poeti tragici (metà del sec. V).
Come si vede, ce n’è per tutti i gusti. E non si dimentichi che tutti i sullodati filologi sono ugualmente autorevoli, e tutti i loro argomenti ugualmente ben fondati. E analoga ricchezza di scelta troverebbe il profano che volesse passare in rassegna le varie opinioni intorno alla patria del poeta.
Anche sull'intrinseco valore dell'inno regna una certa discordia. E la sua omericità fu assunta a duplice e ben diversa conclusione. Per alcuni, valse a provare che l’autore fosse addirittura Omero; per altri che dové essere un rabberciatore qualsiasi, incapace di creare per proprio conto, e quindi costretto a rubacchiare.
Ma proprio in questo campo perfettamente soggettivo mi pare che si possa giungere a conclusioni abbastanza sicure.
Il quadro delle fiere che muovono incontro alla Dea, è pieno di colore e di vita. Con arte maestra è dipinta l’apparizione di Afrodite ad Anchise. Piena d’intima virtù musicale, tanto più efficace quanto meno definibile, è, dopo la notte d’amore, la ripresa musicale:
Nell’ora che i pastori conducon di nuovo all’ovile
dai pascoli fioriti le pecore pingui e i giovenchi
su Anchise allor versò la Diva soave sopore.
Penetrante, icastica, ricca di particolari salienti, è la pittura della miserevole vecchiaia di Titone. E chi non sente l’intima,