In quartiere!
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IN QUARTIERE!
— Presto, via, in riga! tuonò, dalla porta in fondo alla camerata, il furiere della quinta compagnia.
Ed i bersaglieri cessarono dal vociare interrompendo le occupazioni loro e corsero a mettersi in ordine davanti al superiore, abbottonandosi in fretta e furia e spazzolandola col palmo delle mani, o riaccomodandosi ben bene il fez sulla nuca.
Striani, un buon diavolàccio di soldato, ritardava: quell’ordine tronco, reciso non lo aveva menomamente scosso ed anzi che addimostrare premura o correre come gli altri a mettersi nei ranghi, rimaneva al suo posto.
Redarguito dal furiere, non mostrò di andarsene: minacciato di prigione raggiunse il reparto, già ordinato su due righe, con una dinoccolata andatura che aveva del me n’infischio della più bell’acqua.
— Striani! Entrerete alla prigione!
Il poveretto guardò stralunato il furiere sbarrando i suoi occhioni celesti, pieni di bontà e chinò il capo.
Quando il tenente si presentò alla compagnia per comunicazioni d’ordine disciplinare seppe della punizione inflitta al bersagliere Striani. Lo cercò fra tutti, lo scorse laggiù, l’ultimo della seconda riga, gli occhi fissati su lui come quelli di uno spiritato.
Il tenente doveva dire poche cose e le disse con quell’accento proprio del militare, senza metafore, senza perifrasi, brevemente, succintamente. Poi lasciò i bersaglieri in libertà.
Ma, come suole accadere sempre quando si sentono sorvegliati, i bersaglieri non si sparpagliarono pel cortile, dal cantiniere od in altre camerate a far quattro chiacchere col paesano; ritornarono ciascuno al proprio letto a dar di gomito svogliatamente ai bottoni od al trofeo del cappello, a ricucire una saccoccia o mettere una toppa alla uosa.
Il tenente passeggiava su e giù per la camerata con aria indifferente. Gli era rimasto impresso quello sguardo intontito di Striani che gli era quasi penetrato nell’anima. C’era in quello sguardo un non so che di triste, di funereo che a lui rigido, severo, ma giusto sino allo scrupolo, suggeriva di esaminare con calma la mancanza commessa dal suo inferiore. E poi, Striani era sempre stato un modello di soldato, attento, pronto, intelligente! Lo sbirciò di lontano, poi, senza addimostrare studio, gli s’avvicinò.
Striani seduto sulla branda girellava fra le mani callose il berretto a fetz facendolo ciondolare di tanto in tanto pel fiocco: guardava fisso davanti a sè e non si mosse quando il tenente cominciò ad interrogarlo.
Quell’atto poco rispettoso anzi che adirare il tenente lo fece sempre più persuaso dello stato anormale del bersagliere.
— Striani, venite subito nell’ufficio del comandante la compagnia.
E vi si diresse risoluto mentre Striani lo seguiva col solito passo fiacco, dinoccolato.
Appena fuori, i bersaglieri vollero dire la loro.
— Aveva ragione il tenente!
— Come si fa ad esser così papino col tenente Barbetti che ha l’argento vivo nelle vene?
— Lo ficcheranno certamente alla prigione quel macacco di Striani.
E i giudizi, gli apprezzamenti si fecero sempre più arrischiati.
— Perchè avete commesso quella mancanza? disse subito il tenente sedendosi al tavolino, nell’ufficio. Non sapevate che sareste incorso in una severa punizione? Bella cosa, per un soldato come voi, che ha fatto sempre bene il suo dovere!
E tutto ciò glielo disse con un tono dolce di rimprovero proprio come se si fosse trattato di un pupillo, di un fratello.
— Ed ora? avrete il coraggio di scrivere a vostra madre che siete alla prigione, che i vostri superiori hanno mutato la loro opinione a vostro riguardo?
Striani si fece pallidissimo — non rispose.
Il tenente suppose d’aver toccato la sua corda sensibile e soggiunse:
— Cosa scriverete alla vostra vecchia mamma?
Striani non resistette. Gli si gonfiarono gli occhi, appoggiò lentamente i gomiti sul tavolino, proprio davanti al suo superiore e con la testa sostenuta nelle palme delle mani diede in un singulto doloroso che schiantava l’anima.
Barbetti lo accarezzò battendogli famigliarmente sulla spalla e prese a dargli del tu.
— Il tuo pentimento è già una bella prova che non m’ero sbagliato nel giudicarti. Scriverò a tua madre che sei sempre un bravo soldato e che...
Un nuovo singhiozzo spezzò la frase.
— Mia madre è morta ieri! disse il povero Striani.
E porse al tenente la lettera con cui gli annunziavano l’orribile sciagura.
Al tenente Barbetti, orfano anche esso della mamma, venne meno il coraggio e per quanto si sforzasse di trattenerla, una lagrima calda gli sfuggì dal ciglio e si confuse con quelle abbondanti dell’infelice bersagliere.
Tenente di Aichelburg Errardo_