Il sociologo, la sociologia e il software libero: open source tra società e comunità/Capitolo 1/4

1.3 Gli aspetti contrattuali – loro articolazioni

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Sebbene la “licenza d'uso” è un concetto legato al software proprietario ed assuma nell'ambito dell'open source una accezione negativa, essa svolge un'importante funzione nel consentire un'oggettivazione di qualcosa che di per se è volatile. Il software fisicamente – dal punto di vista delle scienze fisiche - è un insieme di stati di tensioni all'interno di circuiti elettronici, schede di memoria o dischi ferromagnetici. Crea stati di tensioni – utili – a partire da stati di tensioni opportunamente organizzati attraverso principalmente due processi: stesura del codice attraverso un linguaggio; compilazione del codice attraverso un altro software che è il compilatore. In questo processo intervengono più strumenti software come il debuger, l'interprete, l'editor e via dicendo ma che per i nostri scopi non vale la pena approfondire. Questi software esistono materialmente solo se esiste un “supporto” che li contiene. Da un punto di vista concettuale sono una serie di istruzione che vengono eseguite da un computer in grado, per così dire, di interpretare quei diversi stati di tensione. Si tratta di soluzioni che poste in sequenza secondo un determinato senso rendono possibile la comunicazione dell'uomo con gli apparati elettronici ai fini dell'automazione di un processo. Questa ammasso di diversi stati di tensioni è difficilmente immaginabile come oggetto, o meglio, senza un'opportuna alfabetizzazione sarebbe difficile distinguere ciò che l'hardware fa in virtù della sua dotazione software. Quando allo stesso ammasso di diversi stati di tensioni viene invece attribuito un prezzo la sua reificazione e quindi oggettivazione diviene immediata. Se non si comprano dei supporti che contengano quel determinato codice non si potrà fare quella determinata cosa.

Il software libero open source non ha questa “fortuna” di avere a disposizione un medium simbolico potente come il prezzo che ne permetta l'oggettivazione. Questa si definisce a sua volta attraverso l'analogia con il software proprietario, quindi il software proprietario è un oggetto perché ha un prezzo, di conseguenza il software è un oggetto, e quindi anche il software libero è un oggetto. Il procedimento analogico porta con se però anche un rischio: Il software proprietario ha un prezzo e quindi ha un valore, il software libero non ha alcun prezzo e quindi non ha alcun valore anche se ha dei costi e spesso molto elevati. È vero che ha un valore in sé, in quanto alla sua utilità ma questo presuppone l'esperienza del suo utilizzo che non può essere fatta a-priori cioè nel momento in cui si decide di acquistare un software. In pratica l'idea di software libero sembra derivare, nel bene e nel male, dal concetto di software proprietario.

L'idea di oggetto e di valore del software sono ciò che ne consentono la sopravvivenza, quindi il software libero deve risolvere il problema di oggettivare e valorizzare autonomamente i suoi prodotti. Per questo motivo nascono le licenze open source che, paradossalmente, sfruttano un istituto già presente nei diversi ordinamenti giuridici dei paesi occidentali, e cioè il diritto d'autore, per stravolgerlo poi a livello di clausole. Ancora una volta si nota l'interessante coerenza nel modo di procedere del movimento del software libero e dell'open source in cui un elemento, sia esso un componente elettronico, un software, una lattina di birra o un istituto giuridico, viene usato in modo anticonvenzionale, improprio, efficace e lecito.

La cosa rilevante è che questa costante anticonvenzionale non sembra essere parte di un modus operandi formalizzato, è un modo di procedere implicito nella cultura hacker, che rivela non un “dover essere” funzionale a strategie identitarie pianificate o cercate, non una moda, ma uno stile di vita fondato su uno specifico capitale culturale e sistema di valori. Si tratta di razionalità anticonvenzionale rivolta alla complessità e connotata da ethos. La cultura hacker si connota, a mio vedere, come cultura della complessità dove l'anti-convenzionalismo non è cercato ma incidentale per la sua tendenza di ampliare le opzioni delle soluzioni, o le connessioni (Luhmann) se si preferisce, ed è professionale perché deriva da uno specifico habitus (Bourdieu), cioè un costante impegno sostenuto emotivamente nei confronti di problemi gratificanti da risolvere.

La licenza open source è quindi un documento legale associato alla distribuzione di un prodotto software libero. Il detentore del diritto d'autore pur rimanendo detentore di tale diritto concede ai licenziatari di usare, modificare, integrare, riprodurre, duplicare e distribuire il software anche dietro compenso. D'altro canto il licenziatario è obbligato a rendere note le modifiche apportate e questo consente un'evoluzione autonoma del software potenzialmente illimitata. Come si vedrà più avanti questa strategia, dal punto di vista neo-funzionalista ha lo scopo di complessificare il sistema ai fini di controllare l'ambiente. Come si nota il software viene caricato di potenziale dinamico che temporizza l'elemento software il quale muore e rinasce continuamente in forme diverse adattandosi ai più svariati bisogni di automazione. In questo modo un software rischia di accrescersi a tal punto di ridurre la sua efficienza facendo emergere a livello utente le complessità che contiene. Però non tutte le modifiche vengono validate dai detentori dei diritti d'autore e quindi questo dovrebbe garantire un certo controllo sulla sua crescita altrimenti incontrollata. Se alcune modifiche sono ritenute importanti da chi le fa, ma non da chi detiene i diritti sul software, è sempre possibile quello che in gergo si chiama “fork”, cioè la creazione di un nuovo prodotto orientato a funzioni diverse.

Il problema di una possibile appropriazione di una licenza open source è controllato sempre contrattualmente. Quanto viene implementato attraverso attività di programmazione o di integrazione di altri software eredita le caratteristiche contrattuali del software libero, in caso contrario la licenza vieta la diffusione della parte open. Il problema è capire chi controlla tutto questo. Principalmente questo avviene su due livelli. Da un parte l'autorità giudiziaria, in quanto includere in un pacchetto proprietario del software libero significa correre il rischio che un giudice a seguito di una controversia dichiari tutto il pacchetto GNU-GPL. Questo è quanto è avvenuto recentemente nel caso del produttore di apparecchi televisivi Westinghouse Digital Technologies, obbligato da una sentenza di un giudice federale del distretto sud di New York, del 27 luglio 2010, a pagare una multa di 90.000 $, le spese processuali per 47.000 $, e a consegnare i televisori ancora invenduti all'organizzazione Software Freedom Conservancy per violazione della licenza GPL versione 2.0. Inoltre il forte carattere identitario della comunità dispiega forme di controllo diffuso. In genere si tratta di professionisti, studenti, ricercatori o docenti universitari che spesso hanno a che fare anche con software proprietario e sono molto attenti a quanto succede nel campo della tecnologia. La comunità monitora continuamente l'andamento delle diverse versioni GPL di un prodotto e questo ha una funzione vitale anche nel mantenimento dei pacchetti, ad esempio quando inizia a dare segni di ipertrofia i segnali di allarme aumentano. Il feedback è continuo, rapido, diffuso e abbassa l'entropia. Quindi non solo il software libero è auto-poietico ma anche auto-controllato e in questo senso acquisisce una complessità simile a quella di organismo vivente.

Altro problema potrebbe essere quello di modificare i termini della licenza GPL. Accade sempre più spesso, e di questo se ne ha riscontro anche nelle osservazioni etnografiche, che dei prodotti software vengano spacciati come software libero, in quanto sempre di più il software su alcuni ambiti specifici, in particolare sistemistici, assume significato di marchio di qualità. Il problema è quindi che pacchetti proprietari vengano venduti come pacchetti GPL. Anche qui troviamo un altro elemento tipico dello stile hacker, cioè la ricorsività: per prevenire l'uso illecito del “marchio” GPL la licenza GPL è sottoposta alla stessa licenza d'uso GPL.

Le licenze open source non riguardano solo la fomula GPL, dalla stessa GPL è stata anche creata la GNU-LGPL (GNU Lesser General Public License) meno restrittive per il software distribuito a corredo che può anche essere proprietario. Altre licenze molto usate sono la BSD (Berkeley Software Distribution) che può essere modificata senza restrizioni se non quella di riportare il nome dell'autore (Berkeley), di non introdurre pubblicità, di non usare i propri loghi sia sul codice binario (chiuso) che sul codice sorgente (aperto). Altra licenza è la MIT (Massachusetts Institute of Technology) la meno restrittiva di tutte. Esistono poi diverse versioni giudicate dalla Free Software Foundation GPL compatibili (auto-poietiche) o semplicemente libere, su cui per ragioni di complessità, e per i nostri scopi, non vale la pena addentrarci, anche perché ampiamente documentate nella rete.