Il sociologo, la sociologia e il software libero: open source tra società e comunità/Capitolo 1/3

1.3 La nascita del software proprietario

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In questa tesi si è consapevoli del fatto che il movimento del software libero da una sua lettura storica del fenomeno, e che questa lettura non può essere imparziale. Molto del materiale usato è prodotto in contesti di software libero. Per contro è importante far notare almeno due aspetti:

Il materiale, per così dire, a sostegno del software proprietario è molto scarso;

Questa tesi si occupa specificatamente di software libero e open source e non di software proprietario;

È in ogni caso difficile comprendere il software libero e l'open source senza descrivere la problematicità del software proprietario a partire dalla sua peculiare tendenza al monopolio, senza per questo interessarci alla dimensione morale se non come occasione di analisi di secondo o terzo livello. Non di meno si è anche consapevoli di molte contraddizioni interne all'open source e queste stesse potranno essere sottostimate, ma non per selezione premeditata, ma per la scelta del campo di indagine volto a spiegare il successo di modelli organizzativi, processuali, sistemici e strutturali, se non inediti, quantomeno inaspettati e spesso paradossali del software libero.

“Era Aprile del 2007, mi trovavo alle prese con il problema di dover sviluppare un servizio in un ambiente di sviluppo proprietario. In realtà il mio lavoro si era di molto ridotto, i sistemi venivano commissionati da software house esterne, io dovevo occuparmi solo di farli funzionare. Spesso non ci riuscivo, non sapevo più dove mettere le mani. Mi avevano acquistato degli strumenti, molto costosi, di una grande software house americana, dovevo usarli per integrare delle funzionalità ai servizi informatici acquistati all'esterno. Molti dei servizi che avevo sviluppato erano stati sostituiti con tecnologia chiusa. Mi sentivo responsabile del funzionamento degli strumenti ma ne avevo perso il controllo.

Mi ero messo a cercare su google le specifiche su come usare il server Webmap (software proprietario) che avevamo adottato. So che ho speso delle ore senza successo finché, quasi per caso, sono capitato nel sito di Mapserver (open source). Ho trovato tutte le informazione di cui avevo bisogno e molto ancora, peccato non si riferissero Webmap che era quello di cui avevamo la licenza d'uso. Se avessi avuto la stessa assistenza - forum di discussione, gente che si scambiava opinioni, contatti esempi da scaricare e testare, gli stessi software da scaricare e usare seduta stante, suggerimenti per le configurazioni – avrei fatto molto con Webmap. La cosa più naturale da fare era passare a Mapserver, senza nemmeno il bisogno di chiedere un impegno di spesa, e da allora cerco solo di capire com'è possibile tutto questo”. Ancora oggi la situazione non è cambiata ed ogni tanto ci riprovo con google, non si sa mai, la nostra licenza d'uso è ancora valida: “webmap configuration”. Ma non ottengo risultati utili. (nota autobiografica)

Richard Stallman (2000) fondatore della “free Software Foundation” ricorre al concetto di autodifesa per giustificare l'utilizzo di un sistema proprietario, UNIX, al fine di creare un sistema operativo non proprietario. Questo ricorso all'autodifesa è innanzi tutto un segno evidente di tensione tra software libero e software proprietario. In realtà non è tutto conflitto aperto e nemmeno è tutto conflitto. Vi sono molti prodotti open source che vengono eseguiti su sistemi proprietari e viceversa, Recentemente Microsoft, nel suo sito ufficiale ha aperto una sezione open source in cui annuncia il sostegno a Gnu/Linux, in realtà molto sospetta per aderenti al circolo “www.vicenza.linux.it”. L'analisi del fenomeno dal punto di vista conflittuale è comunque corretta perché consente una visione ideal-tipica altrimenti difficile.

Quindi l'immagine del conflitto rispecchia un preciso intento di accentuazione unilaterale allo scopo di comprendere. La posta in gioco nel conflitto, come si cerca di dimostrare, sono gli spazi professionali, la paura di perdere l'esperienza “sacra” nel creare collettivamente, la gratificazione intellettuale, la soddisfazione di bisogno di desiderabilità sociale e non da ultimo anche gli interessi economici minacciati dal monopolio dei sistemi operativi. Nessuna di queste voci è esclusiva dell'open source, la gratificazione intellettuale è possibile anche per uno sviluppatore di software proprietario, la soddisfazione della desiderabilità sociale pure. La differenza sta piuttosto nella dimensione collettiva, nella community che amplifica gli aspetti legati alla gratificazione intellettuale e comunitaria, e non ultime, la fiducia e la solidarietà. Per contro l'isolamento del programmatore di software proprietario non può che privilegiare aspetti più tipici dell'individualismo moderno e quindi il riscontro del ritorno economico.

Più sinteticamente il motivo del conflitto è quello che esprime Robert Young:

[...] Non è possibile competere con un monopolista giocando secondo le sue regole. Il monopolio ha le risorse, i canali di distribuzione, le risorse di ricerca e sviluppo; in breve, ha troppi punti forti. Col monopolio si compete cambiando le regole del gioco a favore dei nostri punti forti. (Young, 2000).

Questo mette in evidenza l'incapacità del mercato di ottimizzare la risorse software per potere di mercato in cui anche l'approccio economico ortodosso giustifica l'intervento dello stato (Mankiw, 2007). Menkiw riporta, come esempio per spiegare cos'è il potere di mercato, l'esempio di “un unico pozzo d'acqua con un'unica città in mezzo al deserto”. Quindi Menkiw descrive il potere di mercato riferendosi ad una situazione estremamente locale quasi a volerne indicare l'improbabilità (ndr), il che è proprio l'opposto di quanto accade nel monopolio informatico, si tratta di un monopolio unico nel suo genere, cioè di un monopolio globale.

Questo rende chiaro il perché del non intervento del governo. Innanzi tutto è difficile stabilire quale governo debba intervenire e se a tale governo convenga intervenire nel momento in cui un monopolio globale con una sede locale crea evidenti vantaggi nel locale: esportazioni, entrate erariali, occupazione e via dicendo. Senza contare che un governo più accondiscendente di un altro è sempre possibile trovarlo e quindi la minaccia a delocalizzare è implicita (Beck, 2001). L'esempio più calzante sarebbe quello di un unico pozzo d'acqua in tutto il mondo e non di un unico pozzo d'acqua in una città in mezzo al deserto. In questo caso il primo ad appropriarsene costruirebbe gli acquedotti che dall'unico pozzo in tutto il mondo, si diramerebbero in tutto il globo. Anche nel caso in cui si scoprisse un altro pozzo non ci sarebbe la possibilità di scalzare la posizione dominante.

Parliamo ovviamente di sistema operativo, cioè il requisito minimo per un computer per poter funzionare ed eseguire dei programmi. Le cose non sono andate esattamente così, i sistemi operativi che si sono susseguiti sono stati molti finché MS-DOS (Microsoft Digital Operative System) è riuscita ad ottenere una posizione esclusiva. Questo è stato possibile per una caratteristica immanente all'informatica, apparentemente paradossale con una logica di monopolio che è la condivisione. È quindi riprendiamo nuovamente quanto afferma Chris DiBona in voices from the revolution (2000):

[...] L'informatica, quindi, differisce in modo sostanziale da qualsiasi altra scienza. L'informatica ha il solo significato di consentire la replica dei risultati tra pari: il codice sorgente. Per dimostrare la validità di un programma a qualcuno, devi fornirgli gli strumenti per compilare ed eseguire il programma. (Chris DiBona, 2000).

e inoltre

[...] Quando cominciai a lavorare nel laboratorio di Intelligenza Artificiale del MIT nel 1971, entrai a far parte di una comunità in cui ci si scambiavano i programmi, che esisteva già da molti anni. La condivisione del software non si limitava alla nostra comunità; è un cosa vecchia quanto i computer, proprio come condividere le ricette è antico come il cucinare. Ma noi lo facevamo più di quasi chiunque altro. Richard Stallman (2000)

Quindi il problema sostanziale è che fintanto che la condivisione di soluzioni riguarda una comunità limitata di scienziati, che tra l'altro si occupano di tecnologia, la condivisione può essere integrale, si possono scambiare anche i sistemi operativi, si aggiustano le configurazioni e si fanno adattamenti tra piattaforme diverse, ma quando l'informatica diventa di massa ed entra nelle imprese, nelle case e nelle amministrazioni statali e via dicendo il livello di condivisione deve necessariamente spostarsi ad un livello macchina alto, quindi più semplice, deva essere superata la complessità del livello macchina basso e specialistico, in pratica diventa necessario un sistema operativo condiviso per poter scambiare dati e distribuire software. In pratica è la chiusura che consente la condivisione, dal punto di vista costruttivista è la chiusura auto-poietica che consente ai sistemi di comunicazione di essere tali cioè di essere sistemi sociali (Luhmann, 1990).

Dopo aver sostituito il locale con il Globale nella metafora di Mankiw, ora sostituiamo il pozzo d'acqua con il linguaggio e quindi riformuliano il concetto di monopolio applicato all'informatica: è come se esistesse un unica lingua in tutto il mondo e dovessimo pagare le royalties a chi l'ha inventata ogni volta che dovessimo dire qualcosa, a parte l'evidente vantaggio della drastica diminuzione di discorsi inutili, la situazione diverrebbe insostenibile. Eppure il linguaggio umano in fatto di complessità non ha nulla da invidiare ad un sistema operativo, eppure è una cosa che diamo per scontata, immanente alla natura umana conquistata con l'evoluzione e non ci sogneremmo mai di dover pagare delle royalties, nel caso italiano, agli eredi dei padri della nostra lingua italiana: Dante, Petrarca, Boccaccio e Ariosto.

Quello che preme far notare è che, come il linguaggio, anche la tecnologia, diciamo di base, che ci consente di eseguire copie identiche di software su computer diversi, di scambiarci i dati, come questa stessa tesi che sto scrivendo su un sistema Gnu/Linux e che potrà essere letta anche da un sistema windows, contiene la sedimentazione di soluzioni, o se vogliamo la selezione, di soluzioni create dall'avvicendarsi di migliaia di scienziati, o semplici “artigiani informatici” nel corso di decenni, se facciamo risalire la storia dell'informatica al primo calcolatore ENIAC creato nel 1946 presso la Moore School of Electrical Engineering dell'Università di Pennsylvania da J. Presper Eckert e John Mauchly, o al 1673 se pensiamo alla prima calcolatrice funzionante di Leibniz, ma anche oltre se pensiamo all'informatica come risultato del sedimentarsi della conoscenza umana non certo estranea allo stesso linguaggio umano e nemmeno ad altri settori scientifici come la fisica o la matematica.

L'avvento ad un certo punto della storia del monopolio del sistema operativo è pertanto un paradosso, in quanto implicito nella stessa natura collaborativa dell'informatica. Da un punto di vista costruttivista il monopolio è ciò che realizza la chiusura auto-poietica necessaria nei sistemi di comunicazione e quindi in definitiva svolge un ruolo sistemico necessario senza però evitare la contraddizione interna. La sfida dell'open source è, quindi da un punto di vista sistemico, quella di realizzare la chiusura auto-poietica (Luhmann, 1990), attraverso l'apertura del codice evitando così il monopolio. La sua funzione oggi più importante, di cui possono beneficiare anche i più assidui sostenitori del software proprietario e che usano solo software proprietario, è quello di attenuare efficacemente il monopolio di Microsoft:

Così come è avvenuto l'ultima volta, la chiave del prossimo stadio dell'industria informatica è infatti nella liberazione dello stadio precedente dai vincoli proprietari. Come ha notato Bob Young di Red Hat, distributore leader di Gnu/Linux, il suo fine non è di scalzare Microsoft dal trono dei sistemi operativi, ma piuttosto di restringere il valore monetario di quel mercato. Il punto è che il software Open Source non deve proporsi di battere Microsoft facendo il suo gioco, ma invece di cambiare la natura del gioco.(O'Reilly, 2000)

Non è compito di questa tesi prevedere il futuro, resta il fatto che il grande assente, in una situazione vistoso di fallimento di mercato, è una qualsiasi autorità globale in grado di garantire lo spazio virtuale dove si possano esercitare le libertà digitali. L'arduo compito è lasciato a volontari auto-coordinati che si riconoscono nel software libero.

Questo è quanto Ulrich Beck (2001) aveva già osservato e cioè l'incapacità dei sistemi normativi locali di fornire garanzie di fronte ad un capitalismo transnazionale. Lo stesso fatto che sia il monopolio informatico a gestire lo spazio pubblico dove si negozia un medium comunicativo importante dei sistemi sociali, cioè i sistemi operativi dei calcolatori, è indice evidente di ciò che Beck (2001) chiama globalismo, cioè l'assunzione da parte mercato transnazionale dell'azione politica, finanche esattoriale, come emergerà più avanti analizzando gli aspetti economici del software libero.