Il sigillo d'amore/La tartaruga
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LA TARTARUGA.
Anelante la donna tornò nella sua tana, che era una di quelle tettoie sulle terrazze a riparo dei cassoni per il deposito dell’acqua. I cassoni erano stati ingranditi e portati più in là sotto una tettoia più vasta, ed ella aveva ottenuto quel riparo dal padrone dello stabile, della cui famiglia da molti anni era donna di fatica: tutto è buono per i proprietari di case e tutto è buono per i disgraziati senza alloggio.
Ella possedeva una chiave della terrazza, dove a turno le serve degli inquilini stendevano i panni ad asciugare. Anche quella notte, dalle corde e dai fili di ferro pendevano panni bianchi e di colore e file di calze lunghe e corte. La luna, a piombo dal cielo bianco di luglio, dava forme e trasparenze spettrali a quei corpi vuoti e alle loro ombre sul pavimento bianco della terrazza; e la donna provava, nel passare in mezzo ai panni per arrivare al suo rifugio, l’impressione di essere toccata da fantasmi.
Arrivata là dentro si gettò sul suo giaciglio corto che non permetteva alla sua lunga persona di stendersi bene: col piede spinse la porticina, ma con lo stesso piede la riaprì. Soffocava; le pareva di essere un topo agitato dentro la trappola: ma non voleva muoversi, non dar segno neppure all'aria di questa sua agitazione interna. I piedi però le pulsavano tanto che le pareva di sentirli parlare; si cacciò via le scarpe e si allungò in modo da metterli sulla striscia di luna che imbiancava la soglia: e a poco a poco il bagno della notte glieli rinfrescò. A poco a poco il sangue le si chetò nelle vene e il pensiero smarrito tornò nel suo cervello come lei era tornata nella sua buca: allora l’istinto della salvezza, più che il rimorso o il pentimento, la costrinse a ricostruire la scena del suo delitto.
Si rivide nell’appartamento al secondo piano, abitato da un vecchio signore al quale, dopo sbrigate le grossolane faccende nella casa del padrone, ella ripuliva le camere. Il vecchio aveva piena fiducia in lei, tanto che le lasciava le chiavi mentre egli era fuori per la colazione. Ed ecco ch’ella, con la pesante sveltezza dei suoi cinquantanni robusti, riordina la camera di lui: una camera vasta con due finestre, coi mobili di mogano e il letto grande coi lenzuoli di lino dolci a toccarsi più che la seta. Fa caldo, e lei pensa con terrore al suo buco su nella fornace della terrazza: fa caldo, tutte le cose puzzano, e anche lei sente un cattivo fermento di perversione ribollirle nel sangue: quel fermento di dolore antico che ricorda all'uomo, quando la natura lo opprime, la maledizione della sua carne.
La donna lavora e si domanda perchè il vecchio scapolo egoista e sporcaccione, che non ha mai fatto nulla in vita sua, deve dormire in quel letto, fra due finestre aperte sul giardino verde, e lavarsi con acqua profumata, e andarsene a mangiare nelle trattorie fresche dove le mense sembrano coperte di neve e di oggetti di ghiaccio iridescente, mentre lei ha le ossa ingrossate dalla fatica e mangia gli avanzi altrui e non ha mai pace nè gioia e nessuno le vuol bene.
Qui, nel ripulire lo specchio dell’armadio, vede la sua grande figura di Giunone pezzente, e sente in sua coscienza di esagerare. C’è qualche gioia per lei, quella fra le altre di andare all’osteria, dove tutti, specialmente verso sera, si vogliono bene; e c’è la soddisfazione della sua libertà, in quelle ore, il riversarsi della sua fatica nelle chiacchiere e nel bicchiere di vino.
E c’è, a sera, una creatura di Dio che l’aspetta negli angoli umidi della terrazza, e quando ella torna stanca e si butta sul suo giaciglio, le gira attorno per sentirne l’odore di fatica e di ubbriachezza serena; e le slaccia le scarpe come una piccola serva fedele; poi si ritira nel suo angolo umido e il suono di un bacio continuo, fra lei e la terra, addormenta la donna ricordandole i campi donde è venuta e l’infanzia e le fresche origini della vita.
*
Ma questi ricordi, che accompagnano quello della tartaruga sua compagna di solitudine nella terrazza, non le rinfrescano l’anima; la certezza che lei non potrà mai tornare indietro, mai ritornare alla terra se non come cadavere, accresce anzi la sua arsura.
Quasi per tentare di rinfrescare davvero quest’arsura, in quel momento più interna che esterna, per la prima volta dopo che serve fedelmente e rispettosamente il vecchio signore, osa lavarsi con l’acqua e il sapone di lui. In un cassetto del lavabo ella sa che ci sono anche certe polveri rinfrescanti: apre adunque il cassetto e i suoi occhi si spalancano, la mano rimane sospesa nell’atto di prendere.
Una specie di libretto, con figure, ghirigori, numeri e cifre, è dentro il cassetto, fra le scatole di ciprie e di pomate che hanno un profumo nauseante; sullo sfondo bianco di un medaglione inciso sulla prima paginetta, una donna melanconica, con un lungo ricciolo azzurro pendente dalla tempia destra, s’appoggia ad un’ara fumante: ha strani oggetti in mano; quello che sostiene con la destra sembra un bastone; e alcuni bambini nudi, ai suoi piedi, si divertono a guardarlo e forse a tentare di prenderglielo.
Anche lei, la serva, guarda così il libretto: si china meglio a osservarlo, infine lo prende e lo sfoglia; è fatto di molti biglietti di cinquanta lire nuovi, ancora appiccicati gli uni agli altri.
*
Con questi — pensa — potrei filare subito alla stazione e tornarmene laggiù da noi. Chi sa niente di me? Cercala! Il vecchio è appena uscito e non tornerà che fra due ore: e a lui questi soldi non fanno nè caldo nè freddo.
Un attimo: e il potrei del primo impeto si cambia in posso.
Si cacciò il libretto nel seno e finì di riordinare la camera: un ragionamento errato di salvezza la guidava; se la raggiungevano e la prendevano, laggiù dove voleva andare, faceva a tempo a negare: però si affrettava: chiuse le persiane, tornò nell’ingresso buio.
Ma mentre sta per aprire la porta, questa, come nei sogni, si spalanca da sè, e nel vano grigio appare la piccola figura del vecchio.
— Buon giorno, buon giorno, — dice lei, untuosa e vibrante. — Ho finito e vado.
— Aspettate un momento, ho dimenticato una cosa — egli dice, lasciando la porta aperta. E va di là, nella camera, e apre il cassetto.
*
Da quel momento, come tutti i delinquenti dicono per scusarsi, ella perde la propria coscienza. Fuggire? La prenderanno per le scale. Negare: non le resta che negare: ma il vecchio la investe, le salta addosso come un gatto arrabbiato, grida con la sua piccola voce che vuole denunziarla, che chiamerà gente se lei non restituisce subito i denari. Lei tace, si lascia spingere e stringere; ma d’un tratto chiude con un calcio la porta e a sua volta soverchia l’uomo, gli afferra il collo con le sue mani che il lavoro millenario suo e dei suoi avi ha mantenuto gigantesche, e glielo torce come quello di una gallina.
*
Un rumore, se così può chiamarsi, più tenue e indefinibile di quello del rosicchiare del tarlo la destò dall’incubo.
Ella lo riconobbe subito. Era la tartaruga che veniva a farle la sua visita notturna e cominciava il suo giro d’ispezione nella tana. Ella si alzò a sedere, coi capelli pesanti di sudore, ritrasse i piedi poichè la luce della luna glieli fece apparire enormi, e attese. Si sentiva il rumore notturno della città, come quello di una nave in rotta nell’oceano; ma il succhiar della bestia, nell’angolo dove c’era la brocca dell’acqua e quindi un po’ di umido per terra, sembrava alla donna la voce più potente della notte. Il cuore le si scioglieva dalle catene infernali della disperazione: quel ritorno della tartaruga era come un ritorno di speranza e quindi di vita.
Aspettò che la bestia si avvicinasse: si avvicinava, le fu presso i piedi, e lei sentì sulla caviglia come la punta di una spina. Allora si piegò e prese la sua amica in mano, la sentì fredda e dura come una scatola, eppure le parlò, avvicinandosela alla guancia come si fa con l’orologio per ascoltare se cammina.
— Le scarpe me le ho già levate, — le disse, piano. — Avevo tanto caldo. Ho corso tutta la giornata, oggi, al sole, di qua di là, non so, per tutte le strade, fino giù alla campagna, al fiume. Volevo buttarmi nel fiume, ma non ho avuto il coraggio. Dio non vuole, che si uccida. E adesso aspettiamo: verranno a prendermi; sia fatta la volontà di Dio. I denari li ho rimessi a posto, mica per paura che mi accusassero, ma perchè così dovevo fare. Mi dispiace di lasciarti, in questa fornace, dove ti ci ho portato io; le serve ti butteranno giù, perchè sono tutte cattive, e tu ti romperai come un vetro, come sono rotta io.
La tartaruga tirava fuori dalla sua cupola la testina e le zampe; e sul suo polso di legno la donna sentiva quelle unghie molli scavarle la pelle come per arrivare al sangue e succhiarne i germi avvelenati.
Allora l’idea di salvare la sua amica, di ridonarla alla terra, dominò l’istinto stesso della salvezza propria. L’avvolse in un fazzoletto, si rimise le scarpe e scivolò giù per le lunghe scale, passando a occhi chiusi davanti a quella porta: trovò il modo di uscire inosservata e camminò ancora, a lungo, attraversando come in sogno la città notturna ardente dei colori dell’arcobaleno; finchè arrivò agli orti fuori le mura, dove Dio parlava ancora con la voce solitaria dell’acqua corrente.