Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/Piazzena/VI
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RIAPPARIZIONE D’UN AMICO.
Il maestro ebbe poco dopo il piacere di riveder l’onesta faccia del suo ispettore di Garasco, e di esperimentare per la prima volta, che fu pur troppo anche l’ultima, quale vantaggio derivi a un insegnante elementare dalla stabilità d’un buon ispettore, col quale può di volta in volta affiatarsi meglio, conoscendolo e facendosi conoscere, e osservare con lui, da un anno all’altro, gli effetti del proprio metodo, e parlare anche con fiducia dei suoi interessi più delicati. Quando lo vide affacciarsi alla scuola, gli corse incontro come a un amico.
Quegli, appena entrato, gli domandò sorridendo: — Ebbene, come va il nuovo metodo?
Gli poteva rispondere che andava bene, e lo disse; ma accennò pure ai sacrifizi che gli costava. Era riuscito, secondo i suoi consigli, a plasmare il maestro esteriore, e questo compiva il proprio ufficio con buon frutto; ma l’interiore strepitava e si ribellava, scontento del fatto suo.
L’ispettore rispose che era bene così. Siccome il maestro non capiva, soggiunse: — Se il maestro interiore fosse rassegnato, lei non sarebbe più un buon maestro, perchè non amerebbe più abbastanza i suoi ragazzi. —
E gli accennò che n’avrebbero riparlato. La sua visita fu breve. Dopo alcune interrogazioni, fece l’elogio del Ratti, in presenza del sindaco, il quale rimase freddo, ma guardando in giro per le pareti con tanta insistenza, che finì per tirarsi dietro anche gli sguardi dell’ispettore, e allora questi chiuse il periodo dicendo: — .... in questo gioiello di scuola, che fa veramente onore all’amministrazione comunale, — e a quelle parole l’altro si rasserenò e aggiunse per il maestro una buona parola.
Dopo questo, il giovine fu invitato ad accompagnare l’ispettore nella classe del suo collega, dov’egli avrebbe rivolto qualche parola a tutt’e due insieme; e a loro e al sindaco s’unì, mentre stavano per entrare, il soprintendente.
Il vecchio maestro panciuto e flemmatico non fu punto turbato al veder comparire l’ispettore e le autorità: non fece che passarsi lentamente la mano destra sopra i capelli bianchi, che si pettinava una volta al mese. Era arrivato a un limite d’età e di rassegnazione, in cui, non avendo più a temere nè a sperar nulla da nessuno, non si sarebbe scosso menomamente se anche gli fosse apparso in scuola il ministro in persona, con tutto il Consiglio superiore dell’istruzione pubblica.
L’ispettore parve maravigliato della lentezza straordinaria con cui rispose alle sue domande. Egli stesso dovette aiutarlo a cercar sul tavolino i vari registri e stampati, che gli occorreva di consultare per rispondere. Trovato un foglio, impiegava un minuto a spiegarlo, e due a trovar la cifra che cercava.
Il sindaco e il soprintendente s’impazientivano per l’ispettore.
Questi fece leggere alcuni ragazzi. Leggevano a pause troppo lunghe, con una pronunzia lamentevole. Provò a interrogarli: rispondevano nella stessa maniera. Pareva che alla scolaresca si fosse attaccata la vecchiaia del maestro; non mostravan nè impegno, nè brio. Mentre l’alunno cercava con tutto comodo la risposta, il maestro aspettava pazientemente, senza sollecitarlo, guardandolo con gli occhi socchiusi.
L’ispettore si stizzì.
— Va bene — disse soffiando; — ma, veda, bisognerebbe prender la cosa con un po’ più d’energia.... infondere un po’ di vita in questa scuola....
Il maestro lo guardò di sopra agli occhiali, placidamente, come per domandargli: — Ma, signor ispettore, dove vuole ch’io prenda codesta roba?
L’ispettore fece altre interrogazioni, corresse errori di pronunzia. Aveva l’aria scontenta, pareva che stesse per lanciare un rimprovero secco; e, forse per non farlo, cominciò bruscamente le domande prescritte dal “processo di visita.„
— Quanti anni di servizio?
— Quarantotto, — rispose il maestro.
— Ha avuto sussidii?
— Un sussidio di cento e dieci lire.
— In tutta la sua carriera?
Il maestro accennò di sì.
— E.... ha fatto il conto di quanto avrebbe dal Monte delle pensioni se chiedesse ora la sua giubilazione?
— Dodici lire al mese.
Seguì un breve silenzio.
Restava a fare l’ultima interrogazione. L’ispettore domandò: — Che cosa desidera?
E quegli rispose placidissimamente: — Nulla.
L’ispettore lo guardò e tutta la sua collera cadde....
Quando fu solo col giovine, fuor della scuola, si aperse con lui amichevolmente. Gli rincresceva d’aver detto qualche parola acre a quel povero vecchio che dava alla scuola gli ultimi resti della sua misera vita per non rimaner sulla strada. Che cosa si poteva pretender da lui, in nome di Dio! E si ricordava d’aver letto pochi giorni prima l’opuscolo d’un uomo di cuore, il quale proponeva che si istituissero nelle città grandi degli ospizi per “i vecchi cani raminghi„. Che comico mondo! E per cacciar quel pensiero, raccontò al maestro certi episodi singolari del suo giro ispettorale nel circondario. Pur troppo, egli era stato causa involontaria di spargimento di sangue. Essendo capitato all’improvviso nella scuola d’una piccola borgata, il maestro, che si radeva la barba dettando il lavoro, turbato dalla sua apparizione, s’era fatto un gran taglio sotto il mento. Era un povero vecchietto, che aveva il letto nella scuola, nella quale teneva anche un deposito di granaglie, e lì si preparava il caffè, fumava la pipa, spazzava e si rimendava i panni, facendo lezione. Dove pigliare il coraggio per fare dei rimproveri a un “missionario di civiltà„ ridotto in quelle condizioni? Il più curioso era che faceva le sue lezioni in pretto vernacolo, non dubitando punto di far male: tant’è vero che, domandato del perchè non parlasse italiano, aveva risposto candidamente: — Ma se parlassi italiano i ragazzi non verrebbero più. — E avendogli chiesto l’ispettore in che modo se la sarebbero poi cavata gli alunni, non imparando l’italiano, a scrivere una lettera, egli aveva dato una risposta maravigliosa. Aveva un prontuario epistolare, e dettava ai ragazzi tante lettere, sopra tanti argomenti diversi, che, conservando i quaderni, essi ce ne avrebbero trovata una per qualunque bisogno si fosse loro presentato nella vita. Senonchè dettava anche dei brani di prosa che andavano un po’ troppo fuori dei programmi, come uno ch’egli aveva trovato in tutti i quaderni di brutta copia della scolaresca, scritto di recente: — Ricordatevi che dopo domani è il giorno onomastico del vostro buon maestro, il quale s’affatica tanto per voi, e non riceve un adeguato compenso, e che bisogna dimostrargli in qualche modo la vostra gratitudine, ecc. — Ma di questo pover’omo, e di qualche altro simile, che gli avevan fatto cascar le braccia, era stato compensato da altri; da uno soprattutto, del piccolo comune di Rilla, un giovine maestro, un trovatello, così appassionato della sua professione, così eloquente nel discorrerne, così ingegnoso nel suo modo d’insegnare, e d’un’indole così aperta e così simpatica, ch’egli n’era rimasto innamorato, e aveva risentito, stando con lui, come una vampata del suo antico entusiasmo giovanile per la scuola. E quel povero maestro, solo al mondo, in quella borgatella sconosciuta, con cinquecento lire di stipendio, aveva una strana idea: quella d’esser figliuolo d’un gran signore o d’un principe, che un giorno avrebbe ritrovato; e lo diceva ridendo; ma ricadeva su quel discorso tante volte, e con una così visibile compiacenza, da far pensare che fosse una vera e propria fissazione; e moveva il riso a un tempo e faceva venir le lagrime agli occhi. — Ebbene — concluse — basta uno di questi a vendicar tutta la classe dei maestri del torto che le fanno cento fannulloni e cento ignoranti. — In un altro villaggio aveva trovato una maestra di ventiquattr’anni, piccola e nera come una zingarella, che s’era adottata una bimba di contadini di Val di Susa, rimasta orfana per la caduta di una valanga, e la teneva accanto a sè, anche facendo scuola, da tre anni.
E anche questa volta l’ispettore lasciò il Ratti con l’animo contento e pieno di buoni propositi. Dal calesse che stava per partire, gli diede ancora dei buoni consigli intorno al modo di condursi, se il parroco fosse venuto a guerra aperta.
— Faccia — gli disse — quello che le detta la coscienza, ma con fermezza, e tranquillamente: è ciò che impone rispetto agli avversari, e persuade i dubbi, che sono i più. Non c’è altro. Si contenti di star sulle difese. La sbagliano i maestri che, in questi casi, vanno all’assalto. Assalendo, fanno dei passi in falso, e si scoprono. Lei lasci saltare, infuriare e stancarsi gli avversari. Ma nella difesa, ripeto, nessuna debolezza: la testa alta, e non un passo indietro. La nazione l’ha messo qui, di sentinella avanzata, se ne ricordi. In ogni caso, gridi all’armi e accorreremo. Buona guardia, giovanotto!
Il buon ispettore, però, lasciava a Piazzena un’anima ferita. Nella classe della Manca, facendo le domande del “processo verbale,„ aveva, forse per distrazione, domandato l’età alla maestra a voce alta, invece di farsi scrivere la cifra da lei sullo stampato. Essa era stata costretta a risponder forte: — Trentanove, — e all’udir quel numero, che alle bambine pareva enorme, le maligne avevano fatto un lungo mormorìo, che era stato una stoccata al cuore per lei. Il maestro lo seppe dal delegato, che aveva accompagnato l’ispettore nelle classi femminili (nell’altre non andava mai) e che da vero cavaliere delle maestre, era indignato. — Chi ha mai visto un maleducato di quella fatta? — esclamò. — Ma sa che è piramidale! Ma sa ch’io la scrivo al Popolo! Non ci ha da essere un galateo anche per gli ispettori? Non si domanda l’età alle ragazze di quarant’anni, corpo di Bacco! — Il giovine cercò di scusare l’ispettore, ma quegli cambiò discorso a un tratto, passando dalla collera a una specie di gravità patetica. — Caro maestro, — gli disse, soffermandosi, — bisogna che lei vada al comune di Altosso. Ci sono stato per un affare ieri l’altro, e ho lasciato l’anima là.... in parola. C’è da un anno una maestra.... che è un angelo di Dio. Le basti sapere che l’autorità l’ha dovuta pregare d’andar alla prima messa, appena giorno, non alla grande, perchè venivano i giovani fin dai paesi vicini per vederla. Non mica una bellezza, come si dice, perfetta: ma tutto quello che si può dire di più gentile al mondo, grande, bionda, d’una bianchezza.... e un’anima angelica, dei modi di principessa; insomma, un miracolo. È figliuola d’un colonnello, morto per una caduta da cavallo; è arrivata al paese con l’abito bianco di Suora del Buon Pastore, che poi ha smesso, e ha fatto l’effetto d’un’apparizione. Sindaco, maestro, parroco, medico, segretario, tutto il comune è per aria. La Giunta fa tutto quello che essa vuole, le hanno rimesso a nuovo la scuola, le han persino fatto venire un pianoforte. Lei non si può immaginare.... Ha innamorato alunne, mamme, contadini, dominato tutti, ingentilito tutti. È una seduzione, che so io? una malìa che ha negli occhi e nella voce, a cui nessuno può resistere. I bimbi le corrono incontro per la strada e le bacian le mani come alla Madonna in persona. Tutti le portan dei fiori. E dicono che fa scuola da tenere a bocca aperta anche i grandi. Un incanto, le dico. E un vitino che entrerebbe nel pugno. Sono stato un giorno là e non m’hanno parlato d’altro. Non me la posso più levar dalla testa.... Già — terminò col dire, per dare un colore spirituale alla sua passione — se le scuole normali ne mettessero fuori un migliaio all’anno, di quelle maestre, l’Italia cambierebbe da così a così. — E mise un sospiro, guardando la mano robusta, ma già rugosa, con cui aveva accennato il rivolgimento nazionale.