Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/Il secondo anno a Camina/VIII

Nuovi entusiasmi

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NUOVI ENTUSIASMI.


Uscì di là turbato, poichè prevedeva ora una guerra a coltello anche dalla parte della signora; ma provando ad un tempo un grande sollievo d’essersi liberato da una schiavitù vergognosa. In fin dei conti, non c’era per liberarsi altro che quel modo, il quale avrebbe offeso egualmente la signora se anche fosse stato meno aspro; e quando pure, per scansare dei guai con essa, egli si fosse forzato a una condiscendenza che lo rivoltava, avrebbe finito con attirarsi dei guai peggiori dal marito. Dunque, non c’era da pensarci più. La signora non andò più alla scuola, e gli passò accanto fremendo, senza salutarlo; e col cessare dei loro colloqui per la strada, cessò la vigilanza pubblica del delegato. Ma che questi avesse risaputo dell’entrata del maestro in casa sua durante la sua assenza, o che quel cessare degli abboccamenti palesi fra lui e sua moglie lo mettesse in sospetto di un avviato commercio clandestino, il fatto fu che, invece di rasserenarsi, diventò più bieco, sfuggì lo sguardo del giovane con maggior avversione, e gli rese il saluto con la mano più tremante di prima. Comunque ciò fosse, essendo tutto finito tra lui e lei, il maestro pensò che o presto o tardi il marito si sarebbe pacificato. E si diede con nuovo ardore alla sua scuola.


Era stato scosso vivamente in quei giorni dalla lettura d’una cattiva traduzione del Leonardo e Gertrude del Pestalozzi, imprestatagli da don Bruna, e di un volume dei Nostri figli del Legouvé; da cui aveva ricavato idee, affetti, mezzi nuovi d’insegnamento morale, che andava esperimentando nella sua classe. Di più, aveva ottenuto dal conte fondator del teatro, che gli imprestasse a una a una le notissime stampe colorite del Grimaldi, rappresentanti atti di valore del 48 e del 49, di cui aveva la collezione completa in tanti quadri; e una volta la settimana egli portava un quadro nella scuola: e notava con soddisfazione vivissima che [p. 163 modifica]il racconto ch’ei faceva di quei fatti eroici, aiutato da quelle immagini piene di vita e di forza, produceva un grande effetto nell’animo dei ragazzi; i quali dopo la lezione ne parlavano, ripetevano i nomi, s’ingegnavano in vari modi di riprodurre le scene, e riuscivano a descriverle non senza evidenza e calore. Riconobbe che era una punizione efficacissima, quando un alunno commetteva un atto tristo o ignobile, il farlo uscir dalla scuola prima di scoprire il nuovo quadro, dicendogli: — Non sei degno di vederlo. — Il doversene andare così nel momento che gli altri si preparavano con viva curiosità a vedere e a sentire, era anche per i più indifferenti un vero dolore, e quasi sempre, finita la lezione, il punito veniva a chiedergli umilmente di vedere il quadro per poter fare il componimento su quel tema come tutti gli altri.

Uno dei più appassionati per queste lezioni era il figliuolo del delegato, il quale, ignorando tutto, non aveva mutato punto con lui il suo contegno rispettoso e affettuoso, dopo quello che era accaduto. E un altro bel carattere gli s’era rivelato da ultimo il figliuolo del catastaro, un bel ragazzo, che pareva avesse l’intelligenza come inceppata da un impedimento passeggiero, e che si doleva e irritava di non comprender subito certe cose e di non aver la risposta pronta e la memoria chiara; ed era altero nondimeno; tanto che aveva tenuto il broncio con lui per più di due mesi, perchè in un momento d’impazienza gli aveva detto un giorno: — Con te è tempo perso. — Conosciuta meglio la sua indole, egli s’era messo a trattarlo con uno speciale riguardo, a preparargli delle domande che includessero quasi la risposta, a procacciargli a quando a quando delle soddisfazioni d’amor proprio, e gli aveva così aperta la mente, e se l’era affezionato in maniera, che ora, sempre che potesse, il ragazzo gli s’accompagnava per la strada, ma con un aspetto singolare, quasi comico, di dignità, come da eguale ad eguale, parlando pochissimo, e non mostrando che per lampi degli occhi la sua gratitudine. Oramai, inanimito da qualche buon resultato, egli aveva preso allo studio dei caratteri un grande amore, e anche fuor della scuola, quasi non pensava più ad altro; tornava a scrivere, come altre volte, delle note sopra ciascun alunno; [p. 164 modifica]andava fino a prepararsi in mente le parole più efficaci per far dei rimproveri gravi ai peggiori, cercava prima con cura per che verso si dovessero prendere, se ci fosse una persona o un caso triste o lieto della loro famiglia, a cui egli potesse far allusione utilmente, per arrivare al loro cuore. Con gl’indomabili provava a fingere di non occuparsene più, a non guardarli per molti giorni, neppur di sfuggita, come se il loro posto fosse vuoto, ad accennare ogni tanto a loro con tristezza, come se fossero morti, e in questo modo gli riusciva d’ottener qualche volta un principio di ravvedimento. E quell’affetto appunto, quella certezza ch’egli aveva di spinger la bontà fino all’ultimo limite, e di adempiere il suo ufficio con tutte le forze dell’anima, egli vedeva poi che davano una potenza straordinaria alla sua indignazione, quando questa gli era provocata dall’abuso dei pochi perversi; poichè nelle parole eloquenti che quell’indignazione gli strappava, i ragazzi sentivano la coscienza offesa e un vero dolore; mentre nei periodi in cui aveva fatto scuola di mala voglia e senza cuore, egli si ricordava benissimo che, invece di indignarsi efficacemente, s’arrabbiava senza frutto, essendo dalle mancanze più molestato che offeso, perchè sentiva in esse più impertinenza che ingiustizia. E così aveva delle giornate di lavoro fervide e felici, dopo le quali, sedendosi a tavola davanti alla sua povera minestra, gli pareva che Faustina Galli gli battesse una mano sulla spalla, e provava un grande piacere a dire a sè stesso: — Ho ventisette anni.