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164 Il secondo anno a Camina

andava fino a prepararsi in mente le parole più efficaci per far dei rimproveri gravi ai peggiori, cercava prima con cura per che verso si dovessero prendere, se ci fosse una persona o un caso triste o lieto della loro famiglia, a cui egli potesse far allusione utilmente, per arrivare al loro cuore. Con gl’indomabili provava a fingere di non occuparsene più, a non guardarli per molti giorni, neppur di sfuggita, come se il loro posto fosse vuoto, ad accennare ogni tanto a loro con tristezza, come se fossero morti, e in questo modo gli riusciva d’ottener qualche volta un principio di ravvedimento. E quell’affetto appunto, quella certezza ch’egli aveva di spinger la bontà fino all’ultimo limite, e di adempiere il suo ufficio con tutte le forze dell’anima, egli vedeva poi che davano una potenza straordinaria alla sua indignazione, quando questa gli era provocata dall’abuso dei pochi perversi; poichè nelle parole eloquenti che quell’indignazione gli strappava, i ragazzi sentivano la coscienza offesa e un vero dolore; mentre nei periodi in cui aveva fatto scuola di mala voglia e senza cuore, egli si ricordava benissimo che, invece di indignarsi efficacemente, s’arrabbiava senza frutto, essendo dalle mancanze più molestato che offeso, perchè sentiva in esse più impertinenza che ingiustizia. E così aveva delle giornate di lavoro fervide e felici, dopo le quali, sedendosi a tavola davanti alla sua povera minestra, gli pareva che Faustina Galli gli battesse una mano sulla spalla, e provava un grande piacere a dire a sè stesso: — Ho ventisette anni


BRUTTI SEGNI.


Fuori della scuola, però, quella bella serenità gli era un poco turbata. Da certi indizi egli sospettava come una sorda macchinazione del delegato contro di lui. Sorprendeva qualche volta il sindaco a guardarlo con un occhio meditativo, come se rivoltasse nel capo delle cose stategli dette di lui da altri, e raffrontasse un ritratto morale con l’originale fisico. E non il sindaco, per sè, ma temeva l’altro, l’uomo dal pelo rosso