Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/Il secondo anno a Camina/V

Lavori d’approccio

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LAVORI D’APPROCCIO.


Il giovine non ci pensò più. La sua classe, con sua grande soddisfazione, fu levata dal teatro, ma, pur troppo, non per andare a star molto meglio; fu trasferta in una stanza a terreno della casa d’un vecchio medico militare pensionato, il quale doveva attraversar la scuola per recarsi in un camerino, dove passava tre quarti della giornata a impagliare animali: così che di tratto in tratto, mentre il maestro spiegava, quegli s’affacciava all’uscio, dicendo: — Con permesso, signori! — e passava con qualche uccello o quadrupede in mano, che divagava la scolaresca. Nondimeno, il giovane preferiva quella specie di stanza da locanda ben rischiarata a quella gran baracca oscura di teatro, dove gli era parso sempre di recitare. Ma, con suo rammarico, quello che gli aveva predetto il collega non tardò ad avverarsi. La moglie del delegato venne un giorno, all’ora dell’uscita, a chiedergli notizie del figliuolo, e vi tornò, con vari pretesti, ora per aver schiarimenti intorno al lavoro, ora per domandar consigli intorno ai libri di lettura da comperare o riguardo al proseguimento degli studi. E ogni volta accompagnava il maestro per un buon tratto di strada. Ma il discorso cambiava ben presto d’argomento. Essa discorreva della bellezza della campagna, della malinconia che le mettevano certe giornate grigie; gli domandava se non lo rattristasse la [p. 157 modifica]vita solitaria del villaggio; lo interrogava intorno alla sua famiglia, e s’inteneriva sui suoi fratelli. E per ingannare i passanti, parlava affollatamente, e con gesti di persona preoccupata, che discordavano dal senso delle parole, come se raccontasse delle cose di grande importanza, o trattasse delle quistioni gravi, relative al figliuolo. Alla terza accompagnatura il maestro notò un suo gesto abituale, ch’era di strisciargli una mano sulla mano, dicendogli: — Senta — come per attirare la sua attenzione. Il quarto giorno, il sospetto che gli era balenato il giorno dei premi, diventò certezza. La cosa lo seccava indicibilmente, anche per rispetto a quell’ottimo ragazzo, al quale quel gran discorrere, e la crescente familiarità di sua madre con lui, dovevano incominciar a parere un po’ strani. E l’avrebbe scansata risolutamente, se ci fosse stato modo di farlo, senza usarle uno sgarbo manifesto e inescusabile. E tanto più fu seccato quando s’accorse che ogni volta ch’ella veniva alla scuola, o nello stesso tempo o poco dopo, o in fondo alla strada o allo svolto d’un vicolo, o alla finestra del caffè, o all’imboccatura della piazza, gli accadeva di vedere il delegato: ma sempre di profilo o alle spalle, nel momento che scantonava o infilava un uscio, come se cercasse di non farsi scorgere, o di far credere che andava pei fatti suoi. Un giorno ch’egli lo incontrò a petto a petto, e lo salutò, quegli, chinando il capo senza guardarlo, come usava con tutti, gli fece una levata di cappello esagerata, e al maestro parve che gli tremasse la mano. Questo lo impensierì gravemente, non sapeva che partito prendere, avrebbe voluto chieder consiglio a qualcuno.... Quando un caso inaspettato lo tolse di ogni impiccio: alla signora morì una sorella a Torino, essa partì all’improvviso, e per un mese non la vide più.