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Uccelli di passaggio 157

vita solitaria del villaggio; lo interrogava intorno alla sua famiglia, e s’inteneriva sui suoi fratelli. E per ingannare i passanti, parlava affollatamente, e con gesti di persona preoccupata, che discordavano dal senso delle parole, come se raccontasse delle cose di grande importanza, o trattasse delle quistioni gravi, relative al figliuolo. Alla terza accompagnatura il maestro notò un suo gesto abituale, ch’era di strisciargli una mano sulla mano, dicendogli: — Senta — come per attirare la sua attenzione. Il quarto giorno, il sospetto che gli era balenato il giorno dei premi, diventò certezza. La cosa lo seccava indicibilmente, anche per rispetto a quell’ottimo ragazzo, al quale quel gran discorrere, e la crescente familiarità di sua madre con lui, dovevano incominciar a parere un po’ strani. E l’avrebbe scansata risolutamente, se ci fosse stato modo di farlo, senza usarle uno sgarbo manifesto e inescusabile. E tanto più fu seccato quando s’accorse che ogni volta ch’ella veniva alla scuola, o nello stesso tempo o poco dopo, o in fondo alla strada o allo svolto d’un vicolo, o alla finestra del caffè, o all’imboccatura della piazza, gli accadeva di vedere il delegato: ma sempre di profilo o alle spalle, nel momento che scantonava o infilava un uscio, come se cercasse di non farsi scorgere, o di far credere che andava pei fatti suoi. Un giorno ch’egli lo incontrò a petto a petto, e lo salutò, quegli, chinando il capo senza guardarlo, come usava con tutti, gli fece una levata di cappello esagerata, e al maestro parve che gli tremasse la mano. Questo lo impensierì gravemente, non sapeva che partito prendere, avrebbe voluto chieder consiglio a qualcuno.... Quando un caso inaspettato lo tolse di ogni impiccio: alla signora morì una sorella a Torino, essa partì all’improvviso, e per un mese non la vide più.


UCCELLI DI PASSAGGIO.


Ebbe un bel mese di febbraio senza neve, e quasi tepido, un buon mese di pace e di lavoro, svariato anche da qualche piccolo avvenimento che, nella vita eguale