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146 | Il secondo anno a Camina |
tenente dei bersaglieri, il quale scoperse la corrispondenza oculare. Un giorno, facendo la sua lezione, il maestro gli sentì dir forte nella stanza accanto: — Come mai tu, una ragazza piena d’ingegno e d’istruzione, ritorni al sillabario? — Dopo quel giorno la ragazza non lo guardò più. Ed egli ne fu offeso nell’anima, e ruminò quelle parole per intere giornate, domandandosi mille volte perchè la signorina dovesse trovare tanta differenza di nobiltà tra l’ufficio d’educare il cuore ai fanciulli e quello di comandare fianco destro ai soldati. Doveva dunque persuadersi per forza che la sua professione era tenuta così bassa, da parer quasi vergognosa e ridicola? Quel nuovo colpo vibrato alla sua alterezza di maestro da una donna che l’aveva prima accarezzato appunto in quel sentimento, gli riuscì così inaspettato e doloroso, ch’egli cessò con un pretesto di dar le lezioni, e ritornò nella sua solitudine.
Ma quell’anno, per suo dispetto, era venuto a Camina un diluvio di villeggianti, presi da un furore non mai veduto di passeggiate e di feste, e quello spettacolo dello scialo signorile, il rumore delle carrozze e delle voci allegre di signore e di signori ch’egli sentiva per la strada la sera tardi, mentre studiava nella sua camera, lo irritava più che mai nello stato d’animo in cui allora si trovava, gli faceva sbattere i libri nel muro, gli risollevava nel cuore l’odio del danaro, la rabbia del proletario umiliato, tutti i desideri di distruzione violenta dell’ordine attuale di cose, che l’avevan tormentato tanti anni prima, a Garasco, e quando s’era creduto offeso dalla signora Ribbani, a Altarana. Ma non trovò in tali pensieri maggior sollievo di quello che ci avesse trovato altre volte; oltre che ora lo scoraggiava l’apparente solidità dell’edifizio sociale, e quasi lo induceva a credere che lo stato presente del mondo fosse una fatalità, o una giustizia triste e crudele, di cui gli sfuggissero le cagioni, e alla quale fosse insensato di ribellarsi. Sconfortato da tutto ciò, smise di studiare, rifiutò vari inviti per scampagnate, e stette tanti giorni senza uscir di casa, che il parroco, sospettando qualche cosa, l’andò a trovare una sera per scuoterlo. — Bisogna saper conciliare, — gli disse col solito gioco delle dita — studio e ricreazione, ricreazione e studio. — Ma al vederlo triste davvero e