Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/Garasco/VII
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LA PRIMA BURRASCA.
Ma un grosso avvenimento, la prima burrasca della sua vita di maestro, venne pochi giorni dopo a stornarlo da quei pensieri. Aveva ricevuto la sera prima una lettera del suo protettore Goli, il quale gli annunziava ch’era aperto un concorso nel comune di Piazzena, e lo esortava a mandar subito la sua domanda e i suoi titoli, chè sarebbe stato certo della riuscita, avendolo egli fatto raccomandare efficacemente alla Giunta: lo stipendio era di ottocento lire, e il villaggio conveniente per ogni aspetto, oltrechè egli ci aveva un conoscente, certo don Pirotta, direttore d’una Confraternita, un uomo autorevole e di cuore, che sarebbe stato per lui un amico. La mattina stessa il maestro aveva spedito per la posta le sue carte, e s’era condotto in scuola un muratore con chiodi e martello per fargli cambiar di posto la tavola pitagorica e due cartelloni, ch’erano in cattiva luce. Il muratore dava gli ultimi colpi di martello e i ragazzi finivano di accomodarsi nei banchi, quando entrò nella scuola il soprintendente.
Sul primo momento, il maestro quasi non lo riconobbe. Egli aveva una di quelle facce comiche, che una commozione trista trasforma affatto, come un colpo d’accidente. E in questo caso era il dispetto che, accumulatosi silenziosamente, per lungo tempo, dentro a quel grosso cranio di contadino orgoglioso e caparbio, aveva dato fuori tutt’a un tratto al rumore di quelle martellate, come l’acqua bollente dal paiuolo.
Il maestro si levò in piedi e fece alzare con un cenno i suoi alunni: il muratore smise di picchiare.
— Che cosa si fa qui? — domandò il soprintendente.
Il maestro, punto dal mal piglio, rispose pronto: — Niente di male. Faccio cambiar di posto i cartelloni mal collocati.
Il soprintendente chiuse gli occhi.
Poi disse: — Lei non si può pigliar la libertà di far questo.
— Mi pareva una cosa così semplice! — rispose il maestro.
— Lei, — ripetè più duramente il signor Toppo, — non può cambiar di posto neppure un chiodo senza il permesso dell’autorità.
Al giovane s’accese il sangue: era evidente che quegli lo voleva umiliare; e come avvengono certe improvvise intromissioni d’immagini lontane anche nei momenti di maggior commozione, egli vide, come un lampo, l’ex granatiere LéricaFonte/commento: normalizzo al posto suo, invasato dalla collera, che cacciava via il soprintendente a suon di sgrugnoni. Questa immagine ravvivò il suo risentimento.
— Ho la coscienza, — rispose secco, — di non meritare dei rimproveri.... fatti su quel tono.
Il Toppo fece un passo avanti e chiuse gli occhi. — Così si parla al soprintendente?
Il giovane capì che non avrebbe potuto ribattere ancora senza finire in una piazzata, nè cedere subito senza esautorarsi in faccia alla classe.... Gli balenò un’idea. Cavò in fretta di tasca la lettera del suo protettore e disse risoluto, mostrandola: — È inutile che s’inquieti... Io non son più maestro a Garasco. Ecco qui.
Quest’uscita non voleva dir nulla, e perchè maestro a Garasco era ancora, e perchè si sapeva anche prima che non ci sarebbe stato che un anno; ma, come segue spesso nelle liti appassionate, quella risposta non aspettata e non chiara che aveva l’aria di dover troncare la contesa, la troncò in fatti. L’idea subitanea della sua impotenza a danneggiar l’avversario, e quindi della inutilità di iniziare una guerra contro di lui, chiuse la bocca d’un colpo al soprintendente. Ma, sdegnato ancora, non sapendo come altrimenti uscirne con dignità, se la cavò anch’egli con tre parole che non volevano dir niente, ma che salvavano la ritirata.
— Verrà l’ispettore! — gridò, e uscì a lunghi passi. Il maestro, rimasto in piedi, un po’ pallido, rivoltò in mente quelle parole: — verrà l’ispettore, — e riconosciuto che erano una vuota minaccia, poichè l’ispettore doveva venire per tutti ed egli si sentiva sicuro dei fatti suoi, incominciò la sua lezione. Ma quella provocazione villana lo lasciò turbato per tutta la mattinata, e pensieroso per tutto il giorno, come se fosse il preannunzio d’altre infinite che lo aspettavano, il primo chicco d’una gragnuola che gli avrebbe poi coperto la strada.