Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/Garasco/VIII

Un nuovo nemico

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UN NUOVO NEMICO.


Non andò molto, infatti, che scoperse un nuovo nemico. Venne una mattina all’ora dell’entrata una piccola merciaia, con un viso giallo di pinzocchera, a lagnarsi con lui in tono risentito, che il suo figliuolo non si portava bene in chiesa, e che in famiglia, per la minima cosa, sacrava come un indemoniato. E concluse, con uno sguardo espressivo: — Capisce, signor maestro, io non vorrei che questo ragazzo mi venisse su senza religione! — Il maestro, che sentì la botta, si piccò, e mandò fuori la donna, dicendole ch’egli non tollerava che gli venissero a insegnare il suo dovere, e che quanto alla religione del figliuolo, si rivolgesse al viceparroco, da cui gli alunni si confessavano. Ma sospingendola verso l’uscio, vide dall’altra parte della strada la serva del parroco, che l’aspettava, con un viso ardito. — È lei che l’ha mandata, — pensò, e gli rivenne in mente lo scherzo del segretario sulle aspirazioni della Perpetua all’ispettorato. — E dite a chi v’ha mandata, — soggiunse allora, — che invece d’immischiarsi nella scuola, badi a lavare i piatti. — Gli prese poi un peggior sospetto, che quella andasse attorno da un pezzo a metter su i parenti degli alunni contro di lui, e per accertarsene, curioso anche di sapere che genere di mosse offensive potesse temere un maestro dalla “base d’operazione„ della cucina parrocchiale, ricorse anche questa volta alla maestra Strinati, pensando che non dovesse essere molto innanzi nelle sue grazie l’antica “confidente„ dell’assessore. E la maestra, con quattro delle sue forbiciate, le ritagliò del personaggio un ritratto, che fece morir nell’ilarità le sue inquietudini. Quella vecchia sguattera [p. 45 modifica]di canonica era un tipo, del quale egli avrebbe trovato più d’un esemplare nel corso della sua vita magistrale. Aveva da anni l’intestatura di voler governare dall’alto le cose dell’istruzione pubblica, stimolata in quell’ambizione dall’esempio d’una sua cugina, serva pure d’un parroco, nel vicino comune di Montegiallo, la quale aveva esercitato per un tempo un’indiretta dittatura scolastica, e finito poi con suscitare un casa del diavolo entrando un giorno in iscuola a fare un partaccione a una maestra. Per buona fortuna, il vecchio parroco di Garasco, uomo sensato e amante della pace, non si prestava alle sue mire: essa lo andava inutilmente istigando da due anni perchè, fra l’altre cose, obbligasse gl’insegnanti ad accompagnare e a invigilare gli alunni alle funzioni di chiesa. Ma faceva quel poco che poteva. Passando davanti alle scuole, con la sporta al braccio, alle ore d’entrata e d’uscita, si soffermava a osservare il contegno degli alunni, con un’aria d’ispettrice, e andava a riferire al Toppo, quando seguivan dei disordini. Fermava per i campi gli scolari scamiciati, e se non avevano medaglia o abitino al collo, diceva loro: — Vanno dunque così, come i cani, gli alunni del maestro tale? — Ora s’era accanita contro di lui principalmente perchè non la salutava per la strada, mentre il suo predecessore le faceva tanto di cappello: questo l’aveva offesa mortalmente. Del resto, la sua idea fissa era che, oltre a don Leri, anche l’altro maestro dovesse essere un prete, un pretino giovane, di suo gusto: non voleva maestri laici. Contro il Ratti, frattanto, andava dicendo roba da chiodi nei crocchi delle comari: che avevan mandato per maestro a Garasco un ragazzaccio senza fede, il quale non si scopriva neanche il capo davanti alle chiese e lasciava bestemmiare i ragazzi; che anzi li consigliava a non portare al collo immagini sacre; che le sue corse frequenti alla città erano uno scandalo, perchè capivan tutti che cosa v’andasse a fare; che se il parroco era troppo buono e taceva, toccava ai parenti a metterci riparo, e che se nessun altri se la fosse presa a petto sarebbe riuscita essa sola a ripulire una buona volta la scuola. Di tutto questo, essendo certo di dover lasciare il villaggio, il giovine non si diè gran pensiero; ma si propose di guardar in faccia la sua nemica, la [p. 46 modifica]prima volta che l’incontrasse, per vedere se il suo atteggiamento avrebbe confermato la verità di quanto aveva inteso. E la incontrò poche mattine dopo in una delle strade principali, con la sua sporta al braccio, piena d’erbaggi. Di lontano, appena si vide visto, egli s’accorse, nonostante la nebbia, che quella preparava tutta la sua persona all’incontro. Di certo l’imbasciata dei piatti era stata fatta. Camminando dalla stessa parte della strada, avrebbero dovuto toccarsi coi gomiti. Essa veniva giù a passi risoluti, col naso ritto, con gli occhi fissi davanti a sè, ma senza guardarlo. Quando fu a cinque passi da lui, svoltò bruscamente a sinistra, ad angolo retto, nella mota, e passò dall’altra parte. Il maestro si soffermò e le disse ridendo: — Accidémpoli! La guerra è dichiarata, dunque! — Quella si voltò, come ferita nel fianco, e rispose con un sorriso forzato, soffocando: — Ah! non burli, signorino! Ne ho fatti saltare dei più barbuti di lei! — e tirò via rapidamente.