Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/Bossolano/XI
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UN’APPARIZIONE.
Il parroco non durò fatica a persuader la maestra Riccoli dell’inganno; ma si credette in dovere di far di più, e incaricò l’ispettrice di far comprendere amichevolmente alla signorina che avrebbe fatto bene, d’allora in avanti, a contenere un poco le sue paure; le quali, in fondo, facevano torto al paese. E la signora, ch’era, come tante altre, un impasto fino di malignità e di gentilezza, adempì l’incarico con cuore e con arte, adoperando una serie di frasi piene di riguardi delicati e di punte sottilissime; per effetto delle quali la ragazza riconobbe ragionevole di tranquillarsi. Ma ne provò ad un tempo quasi l’amarezza d’una delusione, poichè in quella sua gran paura, tuttochè schietta, era pur mescolata una certa dose di vanità femminile, a cui l’idea continua del pericolo dava come una leggera ebbrezza segreta.
Senonchè le intervenne in quei giorni un altro caso, che le fece dimenticare subito quell’amarezza.
Essa usciva, dopo la lezione del pomeriggio, dalla sua scuola, posta in una casa fuor della piazza, dove lo stradone sboccava nella campagna, e salutava le sue bambine dentro ai nuvoli di polvere sollevati da un vento fortissimo, quando si vide comparir davanti una donna alta, di faccia volgare e minacciosa, coi capelli grigi svolazzanti fuor da uno strano cappellino e un vecchio scialle messo per traverso; la quale le piantò gli occhi sul viso e le disse: — Ah! è lei che hanno messa al mio posto! Un bel campione davvero! E non lo sa che è mia questa scuola?
La maestrina indovinò alla prima ch’era la maestra Bargazzi, e rimase inchiodata lì dal terrore. Le bambine s’affollarono per vedere. Quella s’inasprì tanto più al veder la signorina diventata pallida, credendo che fosse per sdegno. — Ah! — le gridò, avvicinandosele, — ha un bel diventar bianca. Son venuta a far valere le mie ragioni. Un bel capitale che hanno messo al posto mio. Proprio una di queste sbërnufie d’adesso, che non pensano ad altro che a far le belle! Vergogna! Mangiare il pane d’una povera donna!
A quelle parole la ragazza dette indietro, e s’appoggiò al muro, come per svenire, le bimbe gridarono, delle donne accorsero a sorreggerla, imprecando contro la Bargazzi, la quale andò fuor dei gangheri. Scendeva in quel momento la Marticani dal piano di sopra: la Bargazzi investì lei pure: — Anche lei, ho piacere di rivederla! Ho da aggiustar dei conti anche con lei, che è stata una delle più arrabbiate a scavarmi il terreno sotto i piedi! Tristo soggetto che non è altro! O mi dica un po’ in che mondo si trova questo benedetto marito che nessuno ha ancora avuto l’onore di vederlo! Non è neanche più buona da trovarne uno a pagamento?
La Marticani cacciò un grido di rabbia e d’angoscia: — Ah l’infame! Ah l’infame! — e fece per avventarseleFonte/commento: ed. 1890 addosso; ma alcune donne la trattennero, altre intanto soppraggiungevano, e dietro a loro degli antichi dimostranti, gridando: — La Bargazzi! La Bargazzi! — E questa, approfittando d’un colpo di vento che fece chiuder gli occhi a tutti, disparve nel turbinìo del polverone.
La notizia del fatto rimescolò il paese. Il sindaco fece inutilmente cercar la Bargazzi da tutte le parti: il suo antico domicilio era chiuso, nessuno l’aveva vista nè là attorno nè altrove. Doveva esser cascata come un areolite a Bossolano poco prima dell’avvenimento, e poi essersi rimpiattata, per far qualche altra scenaccia. Frattanto la povera maestra Riccoli, dallo spavento avuto, s’era andata a mettere a letto, accompagnata dalle madri di due alunne, che l’assistevano. L’ispettrice, appena lo riseppe, l’andò a visitare, inquieta davvero, e descrisse la medesima sera, in casa del sindaco, con parole sinceramente amorevoli, il quadretto gentile che presentava su quel letto semplice, in mezzo alle sue bimbe, quella povera ragazza ancora tremante, con quel visino che non pareva d’una maestra, ma d’una scolaretta, e come faceva pena l’udirla domandare se l’avrebbero ancora lasciata al suo posto, dopo quella figura che le avevan fatta in presenza a tutti, dalla quale si credeva disonorata. Quella sera la maestra Bargazzi fu l’argomento unico della conversazione. Alcuni domandarono al pretore che provvedimenti si potessero prendere, se ci fosse materia sufficiente per un processo per diffamazione e ingiurie pubbliche. Altri almanaccavano sul dove e da chi la rea si fosse potuta rimbucare. Eran tutti radunati nella sala grande. Spirava una certa inquietudine da tutti i visi. Il maestro osservò che davan delle occhiate furtive alle finestre, da cui si vedeva la piazza buia. Il garzone che doveva esser incaricato di invigilare la piazza di sull’uscio della farmacia, s’affacciava ogni tanto alla sala a scambiar un’occhiata col sindaco. Poi non comparve più. Tutti si tranquillarono. La conversazione prese un poco di calore. Ma improvvisamente, un quarto d’ora prima dell’ora solita della separazione, quando già la farmacia era chiusa e la piazza deserta, risona un picchio forte nei vetri d’una finestra, la vetrata si spalanca, e un grido rauco irrompe nella sala: — Giustizia, signori! Rendetemi il mio pane!
Fu uno scompiglio generale. Tutti balzarono in piedi, il sindaco si buttò verso la finestra, le signore scapparono nel salottino, gli altri accorsero fuori. Ma la maestra era già in mezzo alla piazza, dove ricominciò a gridare: — Voglio giustizia! Voglio che mi rendiate il mio pane! Branco di camorristi! Schiume di canaglia! Ladroni del comune!
Il garzone della farmacia, il pretore, due o tre altri le si slanciarono contro; quella fuggì: la inseguirono girando per la piazza oscura come se giocassero a mosca cieca: comparvero intanto dei lumi a varie finestre, uscì gente dalle case; e per qualche minuto, sopra al mormorio dei curiosi che accorrevano, si continuarono a sentir le grida della maestra: — Il mio pane! Giustizia! Tutti ladri! — fin che, come Dio volle, un carabiniere riuscì ad afferrarla e a condurla in pretura, dove le presero le convulsioni. Subito, lì all’aria aperta, le autorità tennero consulta, e trovando che il meglio che si potesse fare, per salvare il decoro comune, era di considerar la Bargazzi come “alienata„ non presero altra deliberazione che di farla accompagnare al vicino comune di Cupia, dove aveva una sorella: dopo, si sarebbe veduto. Il medico biondo fu incaricato della faccenda: la maestra, caduta dopo quelle furie in uno stato di prostrazione malinconica, si lasciò persuadere ad andarsene in sua compagnia; e la mattina seguente “l’ordine regnava a Bossolano.„