Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/Bossolano/X
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L’ORGANISTA E LA MAESTRINA.
Ma l’organista aveva da un po’ di tempo un altro pensiero: la maestrina Riccoli; sulla quale egli s’era accorto di produrre una impressione straordinaria. Bisogna dire prima che la maestrina era diventata il divertimento di tutto il paese, un trastullo di cui ridevano e a cui volevano bene. A questo concorreva la fama che le avevan fatta le sue piccole alunne. Essa non aveva alcun metodo nella scuola: andava avanti a furia di carezze, di preghiere e anche di confetti, profondendo i dieci a piene mani, dando alle bimbe la lezione e il lavoro che volevano, ridendo e giocando con loro, arrivando fino a piangere in loro presenza quando abusavano troppo della sua tolleranza. Questa fama di fanciullesca debolezza, che s’accordava così bene coll’aspetto del suo corpicino di nulla, aveva reso anche più solleticante per gli uomini quel gran terrore del loro sesso, che era stato la prima manifestazione della sua natura. Perciò non v’era solo di quelli che le facevan l’occhio tenero per simpatia, ma anche altri parecchi, che, per puro spasso, la fissavano, incontrandola, con occhi di cupidità feroce, o andavano a passeggiare davanti alla sua casa, in aria d’amanti risoluti a un gran colpo. Siccome poi aveva quelle ore fisse in cui s’era certi di vederla passare per andare a scuola o tornare a casa, così alcuni, senza scomodarsi, si trovavan sulla sua via a quel dato momento, appostati a un angolo o davanti a una bottega, per darsi lo spettacolo della sua timidezza; il quale era veramente dilettevole, perchè, visto di lontano uno degli spettatori, essa cominciava a turbarsi, faceva i passi troppo lunghi o troppo corti, non sapeva più dove rivolgere gli occhi, e urtava persino l’una o l’altra delle due o tre bambine che conduceva di solito con sè, per non trovarsi sola a quei cimenti. Fra coloro che si pigliavan questo gusto, c’era da un po’ di giorni l’organista, e per lui appunto lo spettacolo era più curioso che per gli altri, perchè quella sua pancia, quella gran faccia sbarbata e beffarda, quel cappello a cencio sull’orecchio, quei suoi atteggiamenti di sanculotto trionfante facevano alla ragazza l’effetto dello spettro medesimo della Rivoluzione che adocchiasse lei come una delle vittime verginali della borghesia, predestinate allo vendette lascive della plebe. Quando essa doveva passare davanti a lui, perdeva addirittura la bussola. Ora questo divertiva l’organista, ma lo feriva anche un po’ nell’amor proprio. E ne faceva le maraviglie col maestro Ratti, dicendogli che non s’era mai illuso d’esser bello, ma che non credeva nemmeno d’essere un mostro da metter la terzana alle ragazze. E non diceva, ma pensava che il suo “prestigio„ d’artista avrebbe dovuto, se non altro, attenuare il cattivo effetto che facea la stranezza della sua persona. — Ma è inutile — soggiungeva — ho un bel guardarla con gli occhi dolci: quando vede me, par che veda Belzebù in carne ed ossa. Chi riesce a capire le donne! — Stava un giorno appunto su questo discorso, in casa del maestro, quando venne un ragazzetto a chiamarlo da parte del parroco; e, certo che si trattasse d’una delle seccature solite, egli pigliò il cappello con dispetto e se n’andò brontolando. Un’ora dopo, il maestro se lo vide rientrare in camera, con una faccia che schizzava fuoco.
— Sa lei cosa mi capita? — fu la sua prima esclamazione, appena ripreso fiato. — Una birbonata inaudita! — e si asciugò la fronte col fazzoletto. Il parroco gli aveva fatto un preambolo oscuro, tutte frasi benevole e ambigue: gli doveva dare un consiglio.... eran venuti a raccomandarsi a lui.... era spiacente di trovarsi in quella necessità; ma, infine, c’eran certi doveri.... si trattava dell’onore d’una damigella. Tómbola! Insomma, l’aveva pregato di cessare la sua “persecuzione„ contro la maestra Riccoli, e di dare a lui la sua parola d’onore che le sue “minacce di violenza„ non sarebbero state eseguite. L’organista era rimasto con la bocca aperta come un forno. — Persecuzione? Minacce? Ma, signor parroco, lei vuol far la burletta? — Signor no, ecco il documento. — E gli aveva pôrto una lettera firmata con le sue iniziali, una dichiarazione d’amore sviscerato, nella quale egli diceva, fra l’altre cose, di non poter sopportare più oltre “l’avversione„ di cui la maestra gli dava segno, e terminava: — Son risoluto a qualunque estremo.... non mi arresterà timore alcuno nè della umana, nè della divina giustizia.... dovessi, ottenuto il mio trionfo, uccidermi di mia mano, dopo aver strappato dal pianoforte le ultime note della disperazione. La chiave era in questa frase. La maestra aveva creduto la lettera sua ed era andata a supplicare il parroco che lo inducesse a rinunciare ai suoi terribili disegni.
— Io — disse al Ratti l’organista — diedi per tutta risposta in una grande risata. Poi gli mostrai la mia scrittura che non combinava con quella; poi gli dissi che mi guardasse bene tra gli occhi, se gli pareva ch’io fossi un muso da scrivere di quelle gagliofferie da scolaro di terza grammatica; e poi anche mi montò il sangue alla testa. Non era quello il modo, perdio, di credere su due piedi a una stupida buffonata che mirava a screditare un galantuomo. Mi conoscono da anni. Capisco che non dividano le mie idee politiche, ma non che mi tengano in conto d’un briccone e d’un somaro insieme. E gli dissi che avrei scoperto io chi aveva fatto il tiro e che avrei dato un esempio da farne parlare i giornali. — Infine, il parroco gli aveva creduto, ed anzi, rileggendo la lettera, s’era messo a ridere; e l’aveva riposta in un cassetto, rifiutando assolutamente di dargliela, perchè non se ne servisse a far delle ricerche. Ma egli le avrebbe fatte in ogni modo, e con la buona idea di riuscire a bene. — Dev’essere — disse — qualcuno delle conversazioni del sindaco, di quelli che si fan pigliar le dita nella trappola dei sigari. La cosa dev’essere stata combinata là. Dovessi uccidermi sul mio pianoforte! Buffone imbecille! Ti farò io ballar la polka senza il piano.... — E anche quella ciuchina della maestra che l’aveva bevuta a occhi chiusi ed era andata a denunziarlo al momento, non avrebbe dovuto dire anche a lei due parole a quattr’occhi per insegnarle a vivere al mondo, già che i denti del giudizio li doveva avere? Ma dissuadendolo il Ratti con calde istanze dal far questo, egli si contentò di far le sue vendette contro di lei con una brava sentenza: — Queste madonnine infilzate che hanno tanta paura, caro maestro, son sempre le prime a cascarci, perchè quella gran paura viene dal non sentirsi nessuna forza di resistenza: senta la mia profezia: la signorina Riccoli partirà presto da Bossolano.... in tutt’altra forma da come c’è venuta.