Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/Altarana/XXIII
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UNO SCONTRO.
E continuò a tornarvi tutte le sere, trasandando sempre più l’insegnamento. La sua condotta cominciava a esser notata e commentata nel villaggio. A lui medesimo venne all’orecchio che il sindaco, interrogato a suo riguardo nel caffè, aveva detto in presenza di parecchie persone: — Provvederemo presto. — Due o tre volte, stando la sera all’osteria, egli vide comparir dietro ai vetri della finestra dei visi curiosi, che scomparivano quando ei li fissava: una sera gli parve di riconoscere i baffi alla Vittorio Emanuele del liquorista assessore. Andando a scuola la mattina, s’accorgeva che qualcuno si voltava a guardarlo, per vedere se camminasse ritto. E questo lo irritava fuor di modo. Ma tra i suoi alunni, fortunatamente, nessuno osava ancora di fare al suo vizio un’allusione manifesta.
Un giorno però, entrando nella scuola, trovò disegnata sulla lavagna, come nelle insegne delle bettole, una bottiglia, dalla quale schizzava su il vino e ricadeva in un bicchiere.
Il maestro arrossì fino agli orecchi e guardò la scolaresca.
Tutti gli alunni sorridevano. Egli andò sulle furie e li trattò di bugiardi e di canaglie: poi li interrogò ad uno ad uno, per scoprire il colpevole. Quando si trovò in faccia al figliuolo del liquorista, questi fece quel tal movimento della pelle del cranio, che destò una risata generale. Allora egli non ci vide più, e afferrato il ragazzo per la cravatta lo tirò fuori del banco: la cravatta gli rimase in mano. Quell’atto rimise un po’ di quiete nella classe. Il maestro si ricompose, fece cancellar la bottiglia, e incominciò la lezione, credendo che tutto fosse finito.
La mattina dopo, mentre egli stava dettando, comparve in iscuola l’assessore liquorista.
Il giovane credette che venisse per rimproverarlo del mal tratto usato al figliuolo, ed essendo quella mattina straordinariamente eccitato, si dispose a rimpolpettarlo a dovere.
L’assessore, però, non aprì bocca a quel proposito.
Appena entrato, si piantò in faccia ai banchi, e girò l’occhio intorno, senza parlare, come per lasciar tempo alla scolaresca e al maestro di prender atto della sua rassomiglianza col defunto re.
— Ebbene, — gli domandò il maestro impazientito, — che cosa desidera?... Io stavo dettando.
Quegli rispose pacatamente che era venuto a visitare la classe.
Il maestro credette che celiasse. — A visitar la classe? — gli domandò. — In che qualità?
E l’altro, con un gesto grave: — In qualità di soprintendente scolastico.
Il maestro balzò in piedi: — Soprintendente scolastico! Da quando in qua?... E in virtù di che santo? mi scusi.
— Da tre giorni in qua, — rispose il liquorista; — in virtù d’una deliberazione del Consiglio comunale, avendo il mio predecessore, signor Garzi, per sue ragioni particolari, rinunciato alla carica.
Così era infatti: il sindaco aveva fatto fare la nomina alla chetichella, e scelto lui appunto, per avere alla mano un’arma più tagliente di quell’altro da puntare al petto del suo nemico. Il maestro indovinò, e l’affronto, cadendo sull’alcool che gli restava in corpo dal giorno prima, gli diede fuoco.
— Ma io non so nulla, — rispose con irritazione; — la sua nomina non mi fu notificata, come sarebbe stato di dovere; io non la riconosco.
— Signor maestro! — disse l’assessore. — Lei “gioca la sua posizione.„
— Ma direi che è lei che vuol giocare con me! Chi ha mai veduto mandare nella scuola un soprintendente senza averne notificata la nomina agli insegnanti?
— Gliela notifico io.
— Ma non basta. Io non posso tollerare una notificazione fatta in questa maniera.
— Tollererà una sospensione dallo stipendio!
— Non senza motivi.
— Il motivo è che manca di rispetto ai suoi superiori. E scriverò io stesso al provveditore!
— Scriverò anch’io!
— Scriveremo tutti e due!
— Scrivete voi, intanto! — gridò il maestro alla scolaresca, riprendendo la dettatura. Quello scherzo fece dare una risata ai ragazzi, che si metton sempre dalla parte di chi dà la botta per l’ultimo. Ma l’assessore diventò di fiamma.
— Renderà conto anche dello scherno! — rispose, e soggiunse imperiosamente, rivolto al figliuolo: — Fuori di questa scuola!
Il figliuolo saltò fuor dal banco come un gatto, e seguì il padre fremente, il quale, arrivato sull’uscio, si voltò indietro e lanciò ancora uno sguardo di minaccia.
Il dì dopo il maestro ricevette dall’inserviente la notificazione scritta che gli era sospeso lo stipendio per tre giorni. Ma questo non era tutto. Il sindaco aveva riferito al provveditore, gonfiando la cosa. In fin di settimana il maestro ricevette dal delegato scolastico l’ordine di recarsi a Torino al provveditorato.