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242 Altarana

come la quercia nel fianco della montagna. Poichè essa non l’amava, poteva lasciarlo ruzzolare fino in fondo alla china.... su cui gli aveva dato lei la prima spinta. S’egli avesse smesso di bere, avrebbe ricominciato ad amarla e a soffrire.... Mai più questo! — Non beva. È curiosa, non è vero, di dare una coltellata nel petto ad un uomo, e dirgli poi affettuosamente: — Non gridi! — E sorrideva di pietà per sè stesso, mettendo sulla tavola quel po’ di mangiare freddo che la donna gli aveva lasciato nell’armadio, e cercando di pensare ad altro. Ma quel profumo del vestito fresco gli rientrava per le nari nell’anima e gli ricorreva come un filtro tutte le vene; s’egli non se ne fosse liberato, gli avrebbe riacceso la febbre di prima; bisognava che andasse a farlo svaporare sui monti. Cenò in fretta, uscì per la campagna.... e tornò all’osteria.


UNO SCONTRO.


E continuò a tornarvi tutte le sere, trasandando sempre più l’insegnamento. La sua condotta cominciava a esser notata e commentata nel villaggio. A lui medesimo venne all’orecchio che il sindaco, interrogato a suo riguardo nel caffè, aveva detto in presenza di parecchie persone: — Provvederemo presto. — Due o tre volte, stando la sera all’osteria, egli vide comparir dietro ai vetri della finestra dei visi curiosi, che scomparivano quando ei li fissava: una sera gli parve di riconoscere i baffi alla Vittorio Emanuele del liquorista assessore. Andando a scuola la mattina, s’accorgeva che qualcuno si voltava a guardarlo, per vedere se camminasse ritto. E questo lo irritava fuor di modo. Ma tra i suoi alunni, fortunatamente, nessuno osava ancora di fare al suo vizio un’allusione manifesta.

Un giorno però, entrando nella scuola, trovò disegnata sulla lavagna, come nelle insegne delle bettole, una bottiglia, dalla quale schizzava su il vino e ricadeva in un bicchiere.

Il maestro arrossì fino agli orecchi e guardò la scolaresca.

Tutti gli alunni sorridevano. Egli andò sulle furie e