Il rapimento di Proserpina (1834)
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XX
IL RAPIMENTO DI PROSERPINA
ALLA SIGNORA
ISABELLA BERTI CICOGNINI.
Mille prove d’Amor su mille cetre
Già si cantaro infra la vaga gente,
E crearo quei canti almo diletto:
Ora una Euterpe me ne torna a mente;
5Ciò fu quando Plutone ebbe nel petto
Fuoco più forte, che la fiamma inferna,
Onde involò di Proserpina il volto,
E di quelle bellezze ornò suo letto.
Donna, che d’Arno in riva il core hai volto
10Verso Ippocrene, e che non può sventura
Disvïar da quei gioghi il tuo pensiero,
Porgi l’orecchio a mia canzon novella:
Tu scorger puoi di Pindo i bei segreti
Chiusi alla plebe, o fra le Aonie Dive
15Ad onta del destin, saggia Isabella.
Odo narrar sulle castalie rive,
Che il superbo figliuol di Citerea
Un dì vantossi, e sull’Olimpo eccelso
Fra gli altri Numi sollevando l’arco
20Colla man pargoletta, alto dicea:
Ecco l’armi possenti, onde trionfo
Sopra qualunque cor dell’Universo:
Chi negarlo oserà? questa faretra
Gli orgogli abbatte d’ogni spirto avverso.
25Or ciascun tremi: e così lieto in viso
Vibrava i dardi, e balenar facea
Da i rubin delle labbra un bel sorriso.
Nella corte del ciel non fu sembiante,
Salvo dimesso; e rammentossi Giove,
30E l’antico Saturno ebbe in memoria,
Come già per l’addietro ei visse amante,
E fe’ più chiara l’amorosa gloria:
Fra tanti Momo sol batte le palme,
E fisa gli occhi nell’Idalio Nume:
35Spirto sfacciato, e che ciascuno emenda
Arditamente; e che ripien di tosco
Nulla cosa lodare ha per costume.
Costui disse ghignando: Agevol cosa
È di sua propria man farsi corona;
40Amore alto sublimi il tuo potere:
Ma senti cio che al mondo altri ragiona,
E ciò che io ti ragiono: ardere il petto
Di Giove e di Saturno, al biondo Apollo
Per bella Ninfa saettare il core,
45E gravare a Nettun di giogo il collo
Per Anfitrite è di tua potestate
Certo argomento: ma qual meraviglia?
Per sè medesmi son Numi benigni,
E tutti acconci ad apprezzar beltate:
50Ma scendi un poco dell’Inferno al centro;
Provati a saettar gli aspri macigni
Di quei petti feroci: assalta Bronte,
Piaga Piracmo, e fa, che sfoghi il core
Sterope amando in lusinghevol voci,
55E d’alto allôr ti cingerò la fronte.
Se l’eccelso Pluton, re degli orrori,
Non ha di che temerti, e s’egli a nome
Non conosce tuo stral, di che t’onori?
Amor, quando vedrò nell’ime parti
60Del Tartaro profondo i tuoi decreti
Farsi legge al Signor, che ivi governa,
Io dirò, che sei scarso in celebrarti.
Sì disse Momo; ed ascoltando Amore
Turbava gli atti, ed a sembiante lieto
65Cospargea non so qual nube nascosa;
Poi tenne il guardo alquanto fiso, e volse
Sopra cose diverse il suo pensiero:
Al fin si scote, e spiega l’ali, come
Le dispiega augellin, quando s’accorge,
70Che strali incocca l’appiattato arciero.
Donna trovò che Iniquitate ha nome,
Carca di lunga etate, e che parole,
E che sguardi e che moti e che pensieri
Accompagnar con frodolenzia suole,
75Vaga di male, e che gli altrui tormenti
Quasi non sa guardar, se non son fieri;
Costei chiamò per nome, indi le disse:
Perchè nell’universo il pregio cresca
Di mia corona, e non sia core ardito
80A far difesa, e contrastar miei strali,
Io vorrei saettar con bella prova
Il principe di Stige e di Cocito;
Ma non vo’ tra quei fiumi e tra quell’ombre
Del paventato orror dibatter l’ali,
85E però vegno a te; tu non rifiuti
Far quei viaggi, anzi frequenti ed usi
Frequente passeggiar gli antri infernali:
Non negar dunque i tuoi cortesi ajuti,
Ma scendi fra gli abissi, ed opra in modo
90Che abbandoni Pluton l’atro soggiorno,
E vegna a vagheggiar l’aure serene:
S’egli ci viene, ed io porrogli agguati;
E con l’aïta di alcun viso altiero
Farò, ch’ei sentirà delle mie pene.
95Qual poi verso di te per tal servizio
Nodo mi stringerà, nol ti vo’ dire;
Ma ch’ei grande sarà creder conviene.
Così parlava di Ciprigna il figlio
Verso l’iniqua donna; e disciogliendo
100La lingua attossicata, ella rispose:
Io per modo a Pluton darò consiglio,
Ch’egli verrà sulle pendici Etnee,
Bramoso di goder feste amorose:
Ora Amor senti me: presso quel monte
105Proserpina suol far chiuso soggiorno,
Ed ivi Berecintia genitrice
Le bellezze di lei serba nascose:
Viso al mondo non è cotanto adorno,
Ch’ella nol vinca; ed è parlare invano
110Nominar perle ed oro, e gigli e rose,
Tanto ad ogni beltà costei fa scorno.
Dunque per l’onor tuo fatica prendi,
Che agli occhi di Plutone ella s’esponga:
Se fai ch’egli si accosti a cotal foco,
115Già lo veggo distrutto in grandi incendi:
Ma perchè tua bontade offre mercede
Al mio servir, ciò che io desiro, intendi:
Io mi sono una, che ad altrui non cerco
Punto piacer gli affari miei procuro;
120E se avvenisse, che di amico affetto
S’ingombrasse il mio cor, mi fora duro;
Però prometti, che di tua saetta
Ei giammai per sentir non è percossa,
E ch’ei di non amar sarà sicuro:
125Fin qui diss’ella: indi rispose Amore:
Se l’Universo avesse alcun potere,
Che avesse più virtù del poter mio,
Per quello io giurerei, che le mie voglie
Sarian sempre seconde al tuo desío;
130E però la di Stige ombra profonda,
E di Cocito l’infernal palude,
Siccome cosa vil, pongo in obblfo,
Ma sulla fede mia faccio promessa:
Ecco, rimira, alzo la destra, e giuro,
135Che io non giammai percoterò tuo core,
Sicchè ei di non amar sarà sicuro.
Fornito il dir si dipartiro entrambo,
Vaghi di trarre a fine il lor pensiero.
L’Iniquità per la Tenaria foce
140Precipitossi a piombo invêr gli abissi
Di là di Flegetonte atri sentieri;
Nè sì ferme finchè non fu davanti
Al gran Pluton: quivi abbassò la fronte,
E piegò le ginocchia, ed adorollo:
145Ed ei le disse con altier sembiante:
Qual cagion ti conduce al mio cospetto?
E di qual parte vieni? ella rispose:
Vegno dalle fresche ombre d’Elicona,
Ove sentia cantar le belle Dive.
150E Pluton: Che dicean l’inclite Muse?
Esaltavan l’onor di mia corona?
E l’orribile donna allor soggiunse:
Con bella man su i cembali sonori
Dicean di Giove adunator di nembi,
155E di Nettuno imperator dell’onde
Per belle donne i già sofferti amori;
Come un togliesse alle Fenicie sponde
La cara Europa, e come l’altro in petto
Per Anfitrite raccogliesse ardori:
160Ma di te, gran Signor, nulla memoria
Parnaso feo, come di Re, che sempre
Stassi sepolto in tenebrosi orrori,
E che della beltà sprezza la gloria:
Ed è per verità gran meraviglia,
165Signor sì grande non trovar diletto
Dentro un bel viso, e nel felice lume
Di duo begli occhi non fissar le ciglia.
In che le volgi tu? forse di Aletto
T’invogliano le serpi? e di Megera
170Gli angui annodati tra’ sulfurei crini?
E di Tesifone atra il fiero aspetto?
Oh se tu miri mai vergine altiera
Per bellezza mirabile: se mai
D’una fronte gentil miri il sereno
175Di viver sol qual pentimento avrai?
E se fosse atto vile, e fosse indegno
Beltate amar, non amerebbe Giove,
Nè men Nettuno: hacci maggior possanza?
Questi nel mare: e quei nel cielo ha regno:
180Ma se nel petto tuo vaghezze nuove
Or vuoi mutare, ed ad amar ti volgi,
Diman sull’Alba, appo le rive d’Etna,
Beltà vedrai non mai veduta altrove:
Di Berecintia la figliuola quivi
185Andrà soletta: oh buon Plutone, oh quale
Alto conforto, e qual piacer t’aspetta,
Se quella di te degna alta sembianza,
O Plutone, a rapir tu metti l’ale?
Ella adegua Giunon, se non l’avanza.
190Così parlò l’Iniquità. Plutone
Dentro pensoso si commosse, e disse:
Facciasi di veder l’alta bellezza,
Onde favelli, e ricerchiamo in prova
Quali siano d’Amor l’alte dolcezze:
195Sarò col Sole in sulle rive d’Etna,
E l’orme seguirò de i gran fratelli.
Tacquero a tanto: e dell’ombroso inferno
Al fier governo egli rivolse il core:
Ma la donna crudel si mise a volo,
200E di quanto Pluton fermato avea
Diede notizia, e ne fe’ saggio Amore:
Ho fin qui travagliato, e s’altro avanza
Da farsi, e tu comanda, ella dicea.
Amor le rende grazie, indi soggiunge:
205Donna del regno, e della mia possanza
Tu non sei vaga, e però buon consiglio
Sembra al mio cor, che tu ne viva lunge:
Vanne dove l’aggrada: e così detto
Ei pensa al modo di domar Plutone,
210Nè pria la bella Aurora in Orïente
Facendo scorta al Sol, di fresche rose
Si componea sul crin vaghe corone,
Ch’ei pensa all’opra: a sè chiamò lo Scherzo,
Il Riso, il Gioco, singolar famiglia;
215E dove Proserpina ave sua stanza,
Colà gli spinge su sonore corde
A far co’ snelli piè Dedalea danza.
La verginella a quel gentil rumore
Fuore uscì dell’albergo, e per diletto
220Moveva le belle orme appo coloro,
Che la traean, dove voleva Amore,
Era il re dell’abisso in riva d’Etna
Già pervenuto; e s’avvolgea d’un nembo,
Che altrui lo nascondea, ma senza orrore;
225E quando scorse la real fanciulla,
Per Amor si piagò dell’aureo dardo,
Forte così, che di menar la vita,
E di gioirne, senza lui fu nulla.
Come regio falcon, che volge il guardo
230Contra augellin, così Pluton si avventa
Verso la bella donna, e via la porta.
Ella straccia le chiome, e si lamenta,
Ma l’amator la placa e la conforta;
E ch’ei regna sotterra, e che di Giove
235Egli è degno fratello ei le rammenta:
O bellissima vergine, sopporta,
Egli dicea, questo improvviso oltraggio,
Come segno d’amore: Amor m’ha spinto
A fuore uscir del mio superbo impero,
240E m’ha spinto a fornir tanto viaggio:
Torniti a mente, che da Amor fu vinto
Un tempo Giove, adunator di nembi,
E per Europa trasformossi in toro,
E via la trasse dal paterno albergo:
245Ella per entro il mare ebbe spavento,
E sospirò dell’amator sul tergo,
Ma poi felice si condusse in Creta:
Ivi de’ danni suoi la prese obblío,
E non a torto, che di prole eccelsa
250Sovra ciascuna madre ella fu lieta,
Or per te così fia dell’amor mio.
Tu reïna sovrana, a te lo scettro
Porrassi in man di un’infinita gente,
E di te fornirassi ogni desío;
255Dell’universo sulla terza parte
Senza contrasto tu sarai possente:
Asciuga il pianto, rasserena il volto:
Ah che son troppe le querele sparte.
Per si falta maniera ei la consola,
260E dolce la vezzeggia, e de’ begli occhi
Ei terge le rugiade, e dalle rose
Di quella bocca alcuni baci invola,
Per così fatte vie tutte amorose
Ei la conduce ne i profondi campi,
265E coronolla di real ghirlanda,
Ed in seggio onorato ei la ripose.
Ciò rimirando Amor, lieto la fronte
Lieto i begli occhi, e le fattezze lieto,
Ratto si mise a volo, e si condusse
270Sopra le piagge dell’etereo Polo;
Colà bravando alzò la voce, e disse:
Dove è l’ardir dello sfacciato Momo?
Momo dove è? dove è? questa faretra
Pur dianzi il petto al gran Pluton trafisse;
275Tacciasi Momo, ed ogni lingua taccia:
Al valor di quest’arco alcuna meta
Nè si prescriverà, nè si prescrisse.
Tanto vantossi, e per quella alla Corte
Bocca non fu che favellare ardisse.
280Sì fatta impresa mi dettava Euterpe
Lungo l’altiero Tebro, ove pensoso
Io sospirava la riviera d’Arno,
Saggia Isabella: or fanne il cor giojoso,
O Donna, in ascoltar ciò che ridico:
285Ridi in leggendo; e se non d’altro, ridi
Delle sciocchezze del Parnaso antico.