Da i rubin delle labbra un bel sorriso.
Nella corte del ciel non fu sembiante,
Salvo dimesso; e rammentossi Giove, 30E l’antico Saturno ebbe in memoria,
Come già per l’addietro ei visse amante,
E fe’ più chiara l’amorosa gloria:
Fra tanti Momo sol batte le palme,
E fisa gli occhi nell’Idalio Nume: 35Spirto sfacciato, e che ciascuno emenda
Arditamente; e che ripien di tosco
Nulla cosa lodare ha per costume.
Costui disse ghignando: Agevol cosa
È di sua propria man farsi corona; 40Amore alto sublimi il tuo potere:
Ma senti cio che al mondo altri ragiona,
E ciò che io ti ragiono: ardere il petto
Di Giove e di Saturno, al biondo Apollo
Per bella Ninfa saettare il core, 45E gravare a Nettun di giogo il collo
Per Anfitrite è di tua potestate
Certo argomento: ma qual meraviglia?
Per sè medesmi son Numi benigni,
E tutti acconci ad apprezzar beltate: 50Ma scendi un poco dell’Inferno al centro;
Provati a saettar gli aspri macigni
Di quei petti feroci: assalta Bronte,
Piaga Piracmo, e fa, che sfoghi il core
Sterope amando in lusinghevol voci, 55E d’alto allôr ti cingerò la fronte.
Se l’eccelso Pluton, re degli orrori,
Non ha di che temerti, e s’egli a nome
Non conosce tuo stral, di che t’onori?
Amor, quando vedrò nell’ime parti 60Del Tartaro profondo i tuoi decreti
Farsi legge al Signor, che ivi governa,
Io dirò, che sei scarso in celebrarti.
Sì disse Momo; ed ascoltando Amore
Turbava gli atti, ed a sembiante lieto 65Cospargea non so qual nube nascosa;
Poi tenne il guardo alquanto fiso, e volse
Sopra cose diverse il suo pensiero:
Al fin si scote, e spiega l’ali, come
Le dispiega augellin, quando s’accorge, 70Che strali incocca l’appiattato arciero.
Donna trovò che Iniquitate ha nome,
Carca di lunga etate, e che parole,
E che sguardi e che moti e che pensieri
Accompagnar con frodolenzia suole, 75Vaga di male, e che gli altrui tormenti
Quasi non sa guardar, se non son fieri;
Costei chiamò per nome, indi le disse:
Perchè nell’universo il pregio cresca
Di mia corona, e non sia core ardito 80A far difesa, e contrastar miei strali,
Io vorrei saettar con bella prova
Il principe di Stige e di Cocito;
Ma non vo’ tra quei fiumi e tra quell’ombre
Del paventato orror dibatter l’ali, 85E però vegno a te; tu non rifiuti
Far quei viaggi, anzi frequenti ed usi
Frequente passeggiar gli antri infernali:
Non negar dunque i tuoi cortesi ajuti,
Ma scendi fra gli abissi, ed opra in modo 90Che abbandoni Pluton l’atro soggiorno,
E vegna a vagheggiar l’aure serene:
S’egli ci viene, ed io porrogli agguati;
E con l’aïta di alcun viso altiero
Farò, ch’ei sentirà delle mie pene. 95Qual poi verso di te per tal servizio
Nodo mi stringerà, nol ti vo’ dire;
Ma ch’ei grande sarà creder conviene.
Così parlava di Ciprigna il figlio
Verso l’iniqua donna; e disciogliendo 100La lingua attossicata, ella rispose:
Io per modo a Pluton darò consiglio,
Ch’egli verrà sulle pendici Etnee,
Bramoso di goder feste amorose:
Ora Amor senti me: presso quel monte 105Proserpina suol far chiuso soggiorno,
Ed ivi Berecintia genitrice
Le bellezze di lei serba nascose:
Viso al mondo non è cotanto adorno,
Ch’ella nol vinca; ed è parlare invano 110Nominar perle ed oro, e gigli e rose,
Tanto ad ogni beltà costei fa scorno.
Dunque per l’onor tuo fatica prendi,
Che agli occhi di Plutone ella s’esponga:
Se fai ch’egli si accosti a cotal foco, 115Già lo veggo distrutto in grandi incendi:
Ma perchè tua bontade offre mercede
Al mio servir, ciò che io desiro, intendi:
Io mi sono una, che ad altrui non cerco
Punto piacer gli affari miei procuro; 120E se avvenisse, che di amico affetto
S’ingombrasse il mio cor, mi fora duro;
Però prometti, che di tua saetta
Ei giammai per sentir non è percossa,
E ch’ei di non amar sarà sicuro: 125Fin qui diss’ella: indi rispose Amore:
Se l’Universo avesse alcun potere,
Che avesse più virtù del poter mio,
Per quello io giurerei, che le mie voglie
Sarian sempre seconde al tuo desío; 130E però la di Stige ombra profonda,
E di Cocito l’infernal palude,
Siccome cosa vil, pongo in obblfo,
Ma sulla fede mia faccio promessa:
Ecco, rimira, alzo la destra, e giuro, 135Che io non giammai percoterò tuo core,
Sicchè ei di non amar sarà sicuro.
Fornito il dir si dipartiro entrambo,
Vaghi di trarre a fine il lor pensiero.
L’Iniquità per la Tenaria foce 140Precipitossi a piombo invêr gli abissi
Di là di Flegetonte atri sentieri;
Nè sì ferme finchè non fu davanti
Al gran Pluton: quivi abbassò la fronte,
E piegò le ginocchia, ed adorollo: 145Ed ei le disse con altier sembiante:
Qual cagion ti conduce al mio cospetto?
E di qual parte vieni? ella rispose:
Vegno dalle fresche ombre d’Elicona,
Ove sentia cantar le belle Dive. 150E Pluton: Che dicean l’inclite Muse?
Esaltavan l’onor di mia corona?
E l’orribile donna allor soggiunse:
Con bella man su i cembali sonori
Dicean di Giove adunator di nembi, 155E di Nettuno imperator dell’onde
Per belle donne i già sofferti amori;
Come un togliesse alle Fenicie sponde
La cara Europa, e come l’altro in petto