Per Anfitrite raccogliesse ardori: 160Ma di te, gran Signor, nulla memoria
Parnaso feo, come di Re, che sempre
Stassi sepolto in tenebrosi orrori,
E che della beltà sprezza la gloria:
Ed è per verità gran meraviglia, 165Signor sì grande non trovar diletto
Dentro un bel viso, e nel felice lume
Di duo begli occhi non fissar le ciglia.
In che le volgi tu? forse di Aletto
T’invogliano le serpi? e di Megera 170Gli angui annodati tra’ sulfurei crini?
E di Tesifone atra il fiero aspetto?
Oh se tu miri mai vergine altiera
Per bellezza mirabile: se mai
D’una fronte gentil miri il sereno 175Di viver sol qual pentimento avrai?
E se fosse atto vile, e fosse indegno
Beltate amar, non amerebbe Giove,
Nè men Nettuno: hacci maggior possanza?
Questi nel mare: e quei nel cielo ha regno: 180Ma se nel petto tuo vaghezze nuove
Or vuoi mutare, ed ad amar ti volgi,
Diman sull’Alba, appo le rive d’Etna,
Beltà vedrai non mai veduta altrove:
Di Berecintia la figliuola quivi 185Andrà soletta: oh buon Plutone, oh quale
Alto conforto, e qual piacer t’aspetta,
Se quella di te degna alta sembianza,
O Plutone, a rapir tu metti l’ale?
Ella adegua Giunon, se non l’avanza. 190Così parlò l’Iniquità. Plutone
Dentro pensoso si commosse, e disse:
Facciasi di veder l’alta bellezza,
Onde favelli, e ricerchiamo in prova
Quali siano d’Amor l’alte dolcezze: 195Sarò col Sole in sulle rive d’Etna,
E l’orme seguirò de i gran fratelli.
Tacquero a tanto: e dell’ombroso inferno
Al fier governo egli rivolse il core:
Ma la donna crudel si mise a volo, 200E di quanto Pluton fermato avea
Diede notizia, e ne fe’ saggio Amore:
Ho fin qui travagliato, e s’altro avanza
Da farsi, e tu comanda, ella dicea.
Amor le rende grazie, indi soggiunge: 205Donna del regno, e della mia possanza
Tu non sei vaga, e però buon consiglio
Sembra al mio cor, che tu ne viva lunge:
Vanne dove l’aggrada: e così detto
Ei pensa al modo di domar Plutone, 210Nè pria la bella Aurora in Orïente
Facendo scorta al Sol, di fresche rose
Si componea sul crin vaghe corone,
Ch’ei pensa all’opra: a sè chiamò lo Scherzo,
Il Riso, il Gioco, singolar famiglia; 215E dove Proserpina ave sua stanza,
Colà gli spinge su sonore corde
A far co’ snelli piè Dedalea danza.
La verginella a quel gentil rumore
Fuore uscì dell’albergo, e per diletto 220Moveva le belle orme appo coloro,
Che la traean, dove voleva Amore,
Era il re dell’abisso in riva d’Etna
Già pervenuto; e s’avvolgea d’un nembo,
Che altrui lo nascondea, ma senza orrore; 225E quando scorse la real fanciulla,
Per Amor si piagò dell’aureo dardo,
Forte così, che di menar la vita,
E di gioirne, senza lui fu nulla.
Come regio falcon, che volge il guardo 230Contra augellin, così Pluton si avventa
Verso la bella donna, e via la porta.
Ella straccia le chiome, e si lamenta,
Ma l’amator la placa e la conforta;
E ch’ei regna sotterra, e che di Giove 235Egli è degno fratello ei le rammenta:
O bellissima vergine, sopporta,
Egli dicea, questo improvviso oltraggio,
Come segno d’amore: Amor m’ha spinto
A fuore uscir del mio superbo impero, 240E m’ha spinto a fornir tanto viaggio:
Torniti a mente, che da Amor fu vinto
Un tempo Giove, adunator di nembi,
E per Europa trasformossi in toro,
E via la trasse dal paterno albergo: 245Ella per entro il mare ebbe spavento,
E sospirò dell’amator sul tergo,
Ma poi felice si condusse in Creta:
Ivi de’ danni suoi la prese obblío,
E non a torto, che di prole eccelsa 250Sovra ciascuna madre ella fu lieta,
Or per te così fia dell’amor mio.
Tu reïna sovrana, a te lo scettro
Porrassi in man di un’infinita gente,
E di te fornirassi ogni desío; 255Dell’universo sulla terza parte
Senza contrasto tu sarai possente:
Asciuga il pianto, rasserena il volto:
Ah che son troppe le querele sparte.
Per si falta maniera ei la consola, 260E dolce la vezzeggia, e de’ begli occhi
Ei terge le rugiade, e dalle rose
Di quella bocca alcuni baci invola,
Per così fatte vie tutte amorose
Ei la conduce ne i profondi campi, 265E coronolla di real ghirlanda,
Ed in seggio onorato ei la ripose.
Ciò rimirando Amor, lieto la fronte
Lieto i begli occhi, e le fattezze lieto,
Ratto si mise a volo, e si condusse 270Sopra le piagge dell’etereo Polo;
Colà bravando alzò la voce, e disse:
Dove è l’ardir dello sfacciato Momo?
Momo dove è? dove è? questa faretra
Pur dianzi il petto al gran Pluton trafisse; 275Tacciasi Momo, ed ogni lingua taccia:
Al valor di quest’arco alcuna meta
Nè si prescriverà, nè si prescrisse.
Tanto vantossi, e per quella alla Corte
Bocca non fu che favellare ardisse. 280Sì fatta impresa mi dettava Euterpe
Lungo l’altiero Tebro, ove pensoso
Io sospirava la riviera d’Arno,
Saggia Isabella: or fanne il cor giojoso,
O Donna, in ascoltar ciò che ridico: 285Ridi in leggendo; e se non d’altro, ridi
Delle sciocchezze del Parnaso antico.