Il rapimento di Cefalo/Atto terzo
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ATTO TERZO
cefalo, aurora, notte, coro di segni celesti.
Cefalo.
Diva se non amata
Come Donna mortale,
Almen sì come Dea
Da Cefalo adorata,
A che mi vieni al fianco?
A che pur prendi in seguitarmi affanno?
Di si fatta vaghezza
Gli eterni Dei gran meraviglia avranno.
Aurora.
Non sai che per Anchise arse d’amore
Già lungamente il cor di Citerea?
E che dal sommo ciel Cintia scendea
Per l’altera beltà d’Endimione?
Non è degli alti Dei biasmo l’amarvi,
Però ch’amano voi sol per bearvi.
Cefalo.
Se nel colmo de’ cieli
Non si condannerà tua nuova fiamma,
Che ne favelleran gli uomini in terra,
Come lor si riveli?
Aurora.
Dovrebbono ammirar nostra bontate,
Per cui non siam di noi medesmi avari,
Ed inchini, e devoti
Renderne grazie, e consacrarne altari.
Cefalo.
Io non ho pieno il cor di sì gran senno.
Che m’opponga al valor di tue ragioni,
Ma Ninfa alma, e gentile
M’ha così preso il cor con le sue chiome,
E con l’ardor de’ suoi begli occhi puro,
Ch’io più del ciel non curo.
Aurora.
Se ’l vivo foco, che m’avvampi in seno,
Se la stanza immortal fra l’auree stelle
Hanno men di possanza entro al tuo petto
Ch’un vile amor terreno;
Volgi la mente almeno,
Che s’io qui teco fo lungo soggiorno,
Il Sol fia senza scorta,
L’aria non avrà lume,
La terra inferma perirà gelata:
Or vuoi tu ruinar l’alto governo,
Che diede al mondo il Creator eterno?
Cefalo.
O Diva il Mondo è nella man di Dio
Egli sel curi: io curerò me stesso.
Aurora.
Ed io verrotti appresso.
Notte.
Lumi, che in alto fiammeggiando eterni
Ornate in più maniere
L’immenso vel delle volubil sfere,
La beltà dell’Aurora
Per Cefalo bear ne gli alti Regni
In terra oggi dimora,
Nè si sa disdegnar ch’egli la sdegni.
Deh ne gli umani ingegni
Tanto saper si desti,
Ch’intendano i mortali,
Come il lor vero ben vien da’ Celesti.
Uno de’ segni Celesti.
Tacita Dea, che ne’ Cimmerii campi
Tenebrosa soggiorni,
Ed indi uscendo per fatal decreto
Con prescritto intervallo il mondo adombri,
Perchè contro l’usato
Fra le stelle del ciel prendi la via?
Che per te si desia?
Ond’è cotal sospetto?
Chi fa di tanto mal tuo cor pensoso,
Cheta madre di requie, e di riposo?
Notte.
Anzi gli occhi di Giove io vo’ condurmi,
Ed intender da lui,
Ch’ogni core a sua voglia ordina, e regge
S’a tutto l’universo ei cangia legge.
Un altro segno.
Or non sa rammentarsi
Il vostro cor, che la metà del tempo
Solo sopra la terra
Gli umidi nembi ho da tener cosparsi?
Un altro segno.
Non ti sembri fatica
Palese far, perchè così favelli
Ombrosa Notte del silenzio amica.
Notte.
Perchè non sorge il Sol dall’Oceáno
Ma colaggiù rimansi oltra il costume,
Ed io non so dal mondo
Come partita far senza il suo lume.
Un altro segno.
Forse non sorge il Sol, perch’egli attende
La bella Aurora, che gli voli avante,
Ed ella in terra divenuta amante
Nè di Sol, nè di sè non si rammenta;
Là dove Amor tormenta,
Il core è morto, e la memoria è spenta.
Notte.
Non vo’ chiamar l’Aurora,
Chè da ciascuna Legge un core è sciolto,
Tosto ch’ei s’innamora;
Ma dovrà Giove rivoltarsi in mente,
E far sì che non pera
Tutto il mondo sepolto
In tenebrosa sera.
Uno de’ segni.
Or segui tuo cammino
Vola nell’alto, esponi
Il discreto tenor di tue ragioni:
Nulla cosa è non piana
Al gran saper divino.
Coro di segni celesti.
Non è questo che splende il primier giorno,
In cui superbo ne’ celesti campi
Amore illustri il suo possente Impero:
Già di bel Sol, di vago viso adorno
Soavi trasse e dilettosi lampi,
Onde del gran Saturno arse il pensiero,
Sicchè il novel destriero
L’altezza chiuse del divin sembiante,
E mosse per le selve il piè sonante.