Il punto stregato
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IL PUNTO STREGATO
In fede mia, oramai il raccontare comincia a venirmi in uggia. Che ve ne pare? La è cosa da morirne davvero: racconta, e poi racconta ancora, senza trovare il verso d’aver tregua nè posa. Basta; ora la vada, ora; racconterò qualcosa, ma siate certi ch’è questa proprio l’ultima volta.
Dunque, voialtri, vi siete indugiati su questo argomento: che l’uomo può vincerla sullo spirito impuro, come suol dirsi. Codesto, sicuro, è verissimo; e sol che ci si pensi un tantino, se ne trova nel mondo più di un esempio. Tuttavia, meglio non dirlo; giacchè la forza diabolica forma il disegno di prendervi in giro, vi piglia in giro, e vi piglia in giro sul serio.
Eccone una prova. Noi eravamo quattro in tutto a casa del babbo; io era ancora ragazzo; avevo allora undici anni... no, più di undici anni, poichè, mi ricordo quasi fosse ora, come una volta ch’io correvo carponi a quattro zampe, e cominciavo ad abbaiare a guisa dei cani, il babbo mi gridò appresso: ah Foma, Foma! è tempo oramai d’accasarsi e tu sei tuttora sciocchino come un bambinello.
Il nonno era ancora vivo, e (gli tintinnino le orecchie allegramente) ben piantato sulle gambe. Ed ecco, una volta... gli viene in mente... Ma, a che giova ch’io perda fiato a raccontare? Uno, per un’ora intera attizza il fuoco nella stufa per trarne un carboncello per accender la pipa; un altro, non so perchè, se la svigna verso il suo magazzino... ma come? chi vi prega? Pregate voi, e poi... orsù, ascoltate:
Il babbo, sul venir di primavera, se ne andò in Crimea per la vendita del tabacco; mi ricordo che ne portò due o tre carri. Il tabacco allora si pagava caro. Prese con sè uno de’ miei fratelli, che aveva tre anni, per avvezzarlo di buon’ora a essere, a fare il cumak1; noi restammo, il nonno, la mamma, io, mio fratello e un altro fratellino ancora.
Il nonno cominciò a seminare un campo di bastani2, che fiancheggiava la strada, e a vivere in un kuren3: egli ci tenne con sè per scacciare i passeri e le piche dalla piantagione. Non si può dire che quel mestiere fosse penoso per noi: ci avveniva, vero, di non mangiare per un’intera giornata nient’altro che citrioli, cocomeri, pastinache, cipolle, piselli, sì che si poteva dirsi in certi momenti ci cantassero i galli nel ventre; ma, alcune volte, qualcosa di buono ci si cavava: numerosi erano i passeggieri per quella strada; ognuno aveva desiderio di godersi un mellone d’acqua, o un mellone da zolla, e dalle capanne vicine ci portavan talvolta in cambio polli, tacchini. Al tirar delle somme, la vita non era poi la peggio.
Ma la cosa più piacevole pel nonno era il passar quotidiano di una cinquantina di cumakij coi loro carri. La gente che arriva, lo sapete, si mette subito a raccontare; e allora, apritevi orecchie! Mio nonno poi non se ne stancava mai, come un affamato davanti ai galuskij4. Accadde una volta ch’egli s’incontrò con un’antica conoscenza... (chi non conosceva mio nonno?); e voi stessi potete figurarvi cosa succede quando i vecchi si trovano insieme; e ciarla di qua e ciarla di là, di questo, di quello, di quell’altro, i ricordi tornano a migliaia e raccontano quel che avvenne e non avvenne, tutto.
Una volta dunque — io me ne rammento come fosse ora — il sole stava sul declinare, e il nonno venne al bastano per togliere di sui melloni il fogliame col quale li proteggeva durante il giorno, per timore che il sole non li seccasse.
— Guarda, Ostap, — dissi a mio fratello, — ecco, giungono de’ cumakij.
— Dove vedi cotesti cumakij? — chiese il nonno mettendo un segnale sopra un magnifico mellone, temendo che i ragazzi non gli facessero per avventura la festa.
Per la strada, infatti, passavano sei carri, innanzi a’ quali camminava un cumak da’ mustacchi d’un bel nero indaco. Giunto di lì a qualche passo, quanti mai? forse una decina, si ferma.
— Salute, Massimo! gli è proprio Dio che ci ha condotti a incontrarci!
Il nonno aggrottò le ciglia, battendo le palpebre.
— Ah, salute! Buondì! d’onde Dio vi mena? Oh, ve’ ve Boliacka. Buondì, buondì, fratello! ma qual diavolo! Or eccovi tutti, Krutotiscenko, e Pecerizja, e Kovelek, e Stezko! Salute!... Ah, ah!... oh, oh!...
E lì, tutti ad abbracciarsi e non finirla.
Staccarono i buoi e li lasciaron pascere nell’erba; i carri restarono sulla strada, e gli amici si sedettero a cerchio innanzi al kuren e accesero le pipe.
Dopo la merenda, il nonno si sedette ad offrire agli ospiti melloni e cocomeri. Ognuno, preso il suo, lo mondò bene col coltello (giacchè eran tutti arnesi scelti, sgrossati, che sapevan come si mangian fra gente da bene, disposti a sedersi lì per lì persino alla mensa d’un pan5; e fatta questa bisogna, ciascuno fece un buco col dito, bevve il succo che colava; tagliò poi la polpa in fette e via in bocca.
— O perchè mai, ragazzi, — disse il nonno, — restate costì a bocca aperta? ballate, figli di cani!6 Dov’hai il piffero, Ostap? su, la kosaska? Foma, i pugni a’ fianchi; orsù! via! Così, così! batti chè pesto?
Allora, io era un gabbianotto. Maledetta vecchiaia! Adesso nel bel mezzo di qualche pezzo un po’ complicato, le gambe mi si piegano e inciampo a ogni piè sospinto. Il nonno stette a guardarci a lungo seduto fra i cumakij. Credo per fermo che le sue gambe invece non potessero restar oltre sulle mosse o fosse sul punto di slanciarsi.
— Guarda, Foma, — disse Ostap: disse Ostap: — non ti pare che il vecchio barbogio voglia buttarsi a ballare?
Pensate; non aveva finito di proferir quelle parole, che il vecchio le troncò di netto. Lui voleva, si capisce, fare il bravo dinanzi ai cumakij.
— Va là, figlio del diavolo! O si balla così? — disse rizzandosi sulle gambe, a mani protese e cozzando le calcagna.
Davvero, non c’è che dire, egli ballava come se accompagnasse la moglie dell’etmano7. Noi ci scostammo da banda, e il vecchio prese a girare con le gambe sul terreno sodo lungo i mucchi de’ cocomeri. Ma quando giunse nel bel mezzo e volle sbizzarrirsi a volteggiar sui piedi, ecco a un tratto mancargli i garetti, e restar lì! Che brutto affare! Egli si drizzò di nuovo; giunse di nuovo nel mezzo, ma restò ancor senza moto. E non c’era da fare: il giuoco non andava più, proprio non andava più. Le gambe parevan di legno.
— Ecco un punto stregato! Un intrigo satanico! Certo Erode, il nemico del genere umano, ci ha messo la zampa!
Ma come coprirvi di vergogna davanti ai cumakij? Lui si slanciò novellamente, e riprese a ballare in brevi movenze, pian piano, a tutt’agio; ma nel mezzo... no; nel mezzo non balla più, non c’è verso.
— Ah, grinta di Satana! possa strozzarti con un mellone fradicio! e morirne a guizzi, figlio di cane! Ve’ che vergogna mi ordisce per la vecchiaia!
In questo, ecco suonargli alle spalle uno scoppio di risa.
Lui si volge... non più bastan, non più cumakij, non più niente, non dietro, non innanzi, nè a fianco... niente; solo la rasa campagna.
— Bah! eccone un’altra.
E si mise a batter le palpebre... Quel posto, pare, non gli fosse del tutto sconosciuto; allato, un bosco, su cui spiccava una specie di pertica, visibile di lontano sul cielo. Guarda che storia! Era proprio il colombaio che il pope ha nell’orto. Dall’altro lato qualcosa di grigiastro: guarda: era la chiusa delle mète da biade dell’attuario del volost8. Dove lo ha mai trascinato la forza impura? Fatto un gran giro, si trovò per un sentiero. La luna era scomparsa. In sua vece, da una nuvola traspariva un bagliore bianco, lucente.
— Ci sarà vento forte, dimani? — pensò il nonno. D’improvviso, da banda del sentiero brillò una luce.
— Ma vedi!... — il nonno si fermò, si pose le mani a solecchio e guardò: la luce si spense, ma più in là, poco lontano, se ne accese un’altra.
— Un tesoro! — esclamò il nonno: — scommetterei Dio sa cosa, che è proprio un tesoro.
E cominciò a sputarsi sulle mani per mettersi a scavare; ma subito si accorse di non aver vanga e pala: «Che peccato! poichè... chi sa? l’erba val la pena di rovesciarla, e forse il piccioncino si nasconde appunto là sotto. Non c’è da far altro che segnare il posto per ritrovarlo poi».
Afferrò allora un gagliardo ramo d’albero, spezzato, come pareva, dall’uragano e lo ficcò nel buco d’onde brillava la luce, poi riprese il sentiero. Il boschetto di querci cominciò a schiarirsi. Apparve una siepe. «È proprio dessa! Non l’avevo detto?» pensò il nonno; «non l’avevo detto che era l’orto del pope? Ecco i dintorni; adesso, c’è men d’una versta9 sino al bastano».
Intanto, tornó a casa un po’ tardi e non volle mangiare i galuskij. Solo, svegliò mio fratello Ostap, gli chiese se i cumakij eran partiti, e si avvolse nel suo tulupe10. E quando Ostap volle domandargli: «Oh dove, nonno, ti han menato i demoni?» — «Non domandarmelo», rispose, avvolgendosi sempre e meglio nel gabbano: «non domandarmelo, Ostap, perchè ne faresti i capelli bianchi».
E si pose a russar così forte che i passeri rifugiatisi furtivamente nel bastano se ne volaron via spaventati. Come mai poteva dormire a quel modo? Non so dire, ma lui era un vecchio astuto, e (Dio gli conceda il regno dei Cieli) sapeva sempre escir d’ogni briga. Altra volta, si strombazzò pel naso tale canzone che c’era da mordersi le labbra.
La dimane, dallo spuntar del giorno, appena la campagna uscì dal buio, il nonno indossò una switka11, mise la cintura, prese sotto il braccio una zappa e una pala, si calcò il cappello sulla testa, bevve un sorso di kvas fatto di biada, si asciugò la bocca con la manica, e via difilato verso l’orto del pope. Giunse alla siepe e al boschetto di querci. Fra gli alberi serpeggiava il sentiero, che conduceva alla campagna... tutto era lo stesso, a quel che pareva, addirittura lo stesso. Prese pel piano. Era proprio il luogo del giorno prima; ecco il colombaio, che si drizza in aria; ma il chiuso non si vede. «No; il posto non è qui; dev’esser più lontano; bisogna, o mi sbaglio, girar verso il recinto». Tornò indietro, e prese altra via. Apparve la chiusa, ma non c’era il colombaio. Tornò di nuovo verso il colombaio; la chiusa scomparve. Tornò verso la chiusa: sparve il colombaio; verso il colombaio: la chiusa non era più là!
Oh! maledetto Satana! Perchè non hai aspettato un momento!
La pioggia veniva giù a dirotta.
Toltesi le scarpe nuove e avvoltele in un fazzoletto per non farle inzuppare dalla piova, tornò di galoppo, come un cavallo balzano d’un pan. Entrò nel kuren, tutto grondante, si coperse col gabbano, e prese a borbottare fra i denti e a carezzare il diavolo con si dolci parole, ch’io non ne avevo mai sentito di peggiori. Confesso che certo avrei arrossito, se fosse stato giorno chiaro.
Quando mi svegliai la dimane e apersi gli occhi, vidi il nonno andare verso il bastano così come se nulla fosse e ricoprire i melloni d’acqua con foglie di bardana. Dopo. il riposo, il vecchio prese a discorrere, cercò di spaventare mio fratello, minacciando di barattarlo con un paio di pollastri e con un mellone d’acqua; poi, desinato, si fece un zufoletto e suonò un bel pezzo: a svago ci dette infine un mellone curvato in tre come un pesce, che lui chiamava mellone di Turchia; adesso non si trovano più melloni di quella sorta, sebbene, a dir vero, le sementi gli venivan da lontano.
A sera, quando si fece notte, il nonno andò con la zappa a scavare pozze per citrioli tardivi. Cominciò a traversar pian piano il posto stregato, e non potè trattenersi dal dire fra i denti: «O posto maledetto!» e dall’avventargli rabbiosamente un colpo di zappa. Lì per lì, ecco, si vede intorno l’aperta campagna; da una parte sorge il colombaio, dall’altra la chiusa.
— Orsù! La va d’incanto. Ho avuto ragione di portar la zappa con me; ed ecco il sentiero; e qui è il buco. Ed ecco il ramo tagliato. Ora guarda; brilla la luce. Non c’è da ingannarsi.
E adagio adagio s’inoltrò con la zappa levata, come se volesse colpir la capanna, inalzata vicino al bastano, e si fermò dinanzi al buco. La luce si spense; nel cavo giaceva una pietra ricoperta di musco.
«Bisogna toglier via la pietra», pensò il nonno; e prese a scalzarla intorno intorno. Maledetto macigno! Non di meno, curvandosi di tutta possa, e poi puntando i piè per terra, egli trasse e la spinse fuori dal buco. Ahu! Echeggiò la vallata. «Vattene di costi! Adesso la bisogna andrà più per le spicce».
Qui, il nonno si fermò, trasse la tabacchiera, si versò del tabacco sul pugno, e stava per aspirarlo, quando, d’improvviso, sopra la testa, «ah!» gli starnutò qualcuno, e così forte che gli alberi si chinarono e tutta la faccia del nonno ne fu schizzata.
— Quando si starnuta, bisogna almeno voltarsi di lato, — grugnì stropicciandosi gli occhi.
Si guardò attorno: niente, proprio niente.
— No, davvero; al diavolo non deve piacere il tabacco! — soggiunse rimettendosi in petto la tabacchiera, e riprendendo la zappa. — È uno sciocco, perchè nè l’avo nè il padre suo ebbero ad aspirarne di simile.
Si mise a scavare: il terreno era tenero e se ne traeva facilmente la zappa. Risuonò qualcosa; rimosse la terra, vide una pignatta.
— Ah, piccioncino! Eccoti, alla fine! — esclamò il nonno ficcandovi sotto la zappa.
— Ah, piccioncino! Eccoti alla fine! — pigolò un becco di uccello picchiando sulla pentola.
Il nonno si scostò, abbandonando la zappa.
— Ah, piccioncino! Eccoti, alla fine! — brontolò un orso, sporgendo il muso di dietro a un albero.
Il nonno si sentì tutto rabbrividire.
— È proprio orribile parlare in questo luogo! — mormorò fra sè.
— Proprio orribile parlare in questo luogo! — ribatte il becco di uccello.
— Orribile parlare in questo luogo! — belò la testa d’agnello.
— Orribile parlare in questo luogo! — grugni l’orso.
— Olà! fece il nonno, ed ebbe paura della sua stessa voce.
— Olà! — pigolò il becco.
— Olà! — belò l’agnello.
— Ulù! — brontolò l’orso.
Colto da terrore, il nonno si volse Dio mio, che notte! Non stella, non luna; intorno, terre scoscese; sotto le gambe, un foro senza fondo; sul capo è sospesa una montagna, che, a quel che sembra, sta per cadergli addosso. Ma ciò che più sorprende il nonno, è il vederne staccare una faccia bruttissima che la guarda; ahimè! un naso, come mantice da fucina; mani, che potrebbero in ognuna contener un vedro12 d’acqua; labbra proprio come due tronchi di albero; occhi rossi che roteavano all’insù, e lingua sporgente che si spingeva a straziarlo.
— Il diavolo sia con te! — disse il nonno, lasciando la pignatta. — Tienti il tuo tesoro! Che terribile strozza!
E si slanciava per darsi alla fuga, quando guardò ancora e si fermò, vedendo che tutto era tornato come prima.
— Era la forza impura che voleva spaventarmi!
Tornò di nuovo verso la pentola... Ma sì: la pentola pesa. Che fare? Non si può tuttavia lasciarla là. E, raccolte tutte le forze, l’afferrò con ambo le mani! «Orsù, d’un colpo, d’un colpo! Ancora su, via!» e la trasse dal foro.
— Uf! Ora ci va una presetta di tabacco!
E trasse la tabacchiera. Prima di versarne, guardò se vi fosse qualcuno. Non anima nata; almeno così gli parve; ma ecco, con stupore, vede un tronco d’albero ansare e respirare, apparir delle orecchie, luccicar occhi vermigli, gonfiarsi mani, arricciarsi un naso e prepaparsi a starnutare.
— No; io non prenderò tabacco! — pensò il nonno, nascondendo la tabacchiera. — Il tabacco salterebbe ancora agli occhi di Satana!
Agguantò senz’altro la pignatta, e si dette a correre a perdifiato; sentiva, dietro, alcuno sferzargli le gambe con una bacchetta.
— Ahi, ahi! — strillava il nonno, pur correndo a tutta possa; e solo quando giunse all’orticello del pope, potè riprender un po’ di fiato.
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Dove mai è andato a perdersi il nonno? pensavamo nell’aspettarlo per tre ore intere. Già la mamma era venuta dalla capanna e aveva portato un terrina piena di galuskij caldi. No; il nonno non c’era. Cominciammo a cenar da soli. Dopo il pasto, la mamma lavò la terrina e cercò cogli occhi dove potesse gettar la sciacquatura, poichè intorno eran mucchi di melloni; e nel guardare, si vide proprio inanzi una pignatta. Il cielo era già scuro. Lei pensò che un ragazzo l’avesse nascosta lì per burla, e la spinse.
— Ecco appunto quel che mi occorre per gettarvi la sciacquatura — disse; e vi gettò di fatto la sciacquatura calda.
— Ahi! — gridò una voce di basso... si guardò: era il nonno. Chi ci avrebbe pensato? «Affè!» pensammo poi; «andrà sulle furie!». Confesso, sebbene non sia bello davvero, che ci mettemmo a ridere quando apparve la testa bianca del nonno tutta bagnata di sciacquatura e coperta di scorze di meloni e bucce di pastinache.
— O ve’ codesta femmina del diavolo! — esclamò asciugandosi la testa con un lembo del vestito: — come mi ha scottato! Peggio d’un porco prima di Natale. Via, ragazzi! d’ora inanzi non mangerete che bubliki13. Andrete, figli di cani, in caffetani dorati. Su, guardate, guardate là, cosa vi porto!
E aperse la pentola.
— Che cosa credete vi fosse dentro? Via, dite un po’, dopo averci pensato: su, forse dell’oro? Altro che oro! v’erano immondizie, lordumi, ch’è vergogna pur nominarli.
Il nonno sputò; gittò la pignatta e poi si lavò le mani. Da quel tempo, come noi, egli fece sacramento di non ascoltar mai più il diavolo.
— E non vi pensate neppure! — soleva dirci. — È menzogna ogni cosa che dice il nemico del nostro Signore Gesù Cristo! Oh, il figlio di cane! Non ha dentro neppur un copeko14 di verità.
E quando qualche volta il vecchio scorgeva qualcosa d’insolito in un punto:
— Orsù, compagni, via, fatevi il segno della croce! — ci gridava: — Così, così! Benissimo! — e si metteva a disporre delle croci.
Il punto stregato poi, dove non si poteva ballare, lui lo circondò di siepe e ci raccomandò di gettarvi tutte le immondizie, erbacce e rifiuti, che toglievan dal bastano.
Ecco come la forza impura inganna l’uomo! Io conosco benissimo questa terra: alcun tempo dopo, alcuni cosacchi l’affittarono (eran dei vicini) al mio padre, presso il bastano. È terreno eccellente, d’onde si ricava ricolto così abbondante da sembrar miracoloso. Solo sul punto stregato non germinò mai cosa che valga. Pur seminato a dovere, non si può dir cosa n’esce: il mellone d’acqua non è un mellone d’acqua; il citriolo non è citriolo; il cocomero non è cocomero... soltanto il diavolo sa cosa sia.
Note
- ↑ Carrettiere che va in cerca del sale, in Crimea, e del pesce, per le rive del Don.
- ↑ Campo di meloni, cocomeri, cetrioli e simili.
- ↑ Capanna di cannèzza e di stoppia, da non confondersi coll’omonimo zaporogo, che vale campo di milizie.
- ↑ Pallottoline di pasta cotta, oblunghe, simili ai tortellini.
- ↑ Pan, pania: signore, signora polacchi.
- ↑ Espressione esortativa senza offesa.
- ↑ Il maggior capo dei cosacchi.
- ↑ Volost: circoscrizione territoriale, cantone, distretto.
- ↑ Misura di lunghezza eguale a 1067 metri.
- ↑ Gabbanello in pelle di agnello o pecora.
- ↑ Pelliccia foderata in pelle di agnello.
- ↑ Misura di capacità, equivalente a litri 12,29.
- ↑ Torte.
- ↑ Moneta di rame, centesima parte del rublo, equivalente a 25 centesimi nostri.