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74 | GOGOL |
no, la mamma, io, mio fratello e un altro fratellino ancora.
Il nonno cominciò a seminare un campo di bastani1, che fiancheggiava la strada, e a vivere in un kuren2: egli ci tenne con sè per scacciare i passeri e le piche dalla piantagione. Non si può dire che quel mestiere fosse penoso per noi: ci avveniva, vero, di non mangiare per un’intera giornata nient’altro che citrioli, cocomeri, pastinache, cipolle, piselli, sì che si poteva dirsi in certi momenti ci cantassero i galli nel ventre; ma, alcune volte, qualcosa di buono ci si cavava: numerosi erano i passeggieri per quella strada; ognuno aveva desiderio di godersi un mellone d’acqua, o un mellone da zolla, e dalle capanne vicine ci portavan talvolta in cambio polli, tacchini. Al tirar delle somme, la vita non era poi la peggio.
Ma la cosa più piacevole pel nonno era il passar quotidiano di una cinquantina di cumakij coi loro carri. La gente che arriva, lo sapete, si mette subito a raccontare; e allora, apritevi orecchie! Mio nonno poi non se ne stancava mai, come un affamato davanti ai galuskij3. Accadde una volta ch’egli s’incontrò con un’antica conoscenza... (chi non conosceva mio nonno?); e voi stessi potete figurarvi cosa succede quando i vecchi si trovano insieme; e ciarla di qua e ciarla di là, di questo, di quello, di quell’altro, i ricordi tornano a migliaia e raccontano quel che avvenne e non avvenne, tutto.
Una volta dunque — io me ne rammento come fosse ora — il sole stava sul declinare, e il nonno venne al bastano per togliere di sui melloni il fogliame col quale li proteggeva durante il giorno, per timore che il sole non li seccasse.
— Guarda, Ostap, — dissi a mio fratello, — ecco, giungono de’ cumakij.
— Dove vedi cotesti cumakij? — chiese il nonno mettendo un segnale sopra un magnifico mellone, temendo che i ragazzi non gli facessero per avventura la festa.
Per la strada, infatti, passavano sei carri, innanzi a’ quali camminava un cumak da’ mustacchi d’un bel nero