Il primo libro delle lettere (Aretino)/I. Al magno duca d'Urbino

I. Al magno duca d'Urbino

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Il primo libro delle lettere (Aretino) II. Al re di Francia

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I

AL MAGNO DUCA D’URBINO

Dedica del primo libro delle Lettere.

Essendo i meriti vostri le stelle del del de la gloria, una di loro, quasi pianeta de l’ingegno mio, lo inclina a ritrarvi con 10 stil de le parole la imagine de l’animo, acioché la vera faccia de le sue vertu, desiderata dal mondo, possa vedersi in ogni parte. Ma il poter suo, avanzato da l’altezza del subietto, non ostante che sia mosso da cotale influsso, non può esprimere in che modo la bontá, la clemenza e la fortezza, di pari concordia, v’abbiano concesso per fatai decreto il vero nome di principe. Ond’io, che non so lodarvi come debbo, spinto da la necessitá, per farlo qual io posso, vi porgo alcune lettre, con pace di quella vostra fama, le cui voci si potrebbono affocare per colpa de la lor freddezza. Benché risponderei, quando ciò mi si attribuisse per audacia: — La benignitá del mio idolo dovea essere men larga in dare udienza a si fatte ciance; — talché saravvi forza di perdonar l’error comesso da la mia presunzione a la gentilezza di voi medesimo. Io, che disamo la condizion di me stesso per la severitá del giudizio proprio, 11 qual mi chiarisce ch’io son simile al fiato ch’esce dal rumore che nel mercato fan due villani per la differenzia del luogo, ardisco di dedicarvi l’opera, sperando che mi avenga come a le reliquie d’una colonna antica, raccolte del fango e poste in alto per la riverenza del titolo. Certamente le cose vili diventano pregiate, tosto che si locano nei tempii. E perciò sará guardato tutto questo libro nel leggersigli nel fronte «Francesco Maria», la generositá del quale ascende le scale del cielo con istupor de le genti, poiché la grandezza de la sua fortuna, nel crescere, [p. 2 modifica]muta in lui solamente il piú volere e il piú potere giovare ad altri. Come si sia, non la inclinazion di sopra, non la elezzion de la temeritá mia, non la grazia de la mansuetudine vostra è atta a tornii punto de la vergogna, né dramma del timore che mi occupa, mentre pur vi sacro cotal volume; perché la vostra sola dee chiamarsi «eloquenzia», poiché ella si move dal naturai de l’intelletto con tanta facundia, che si riman confusa ne la maraviglia la lingua che le proferisce i concetti e l’orecchie che l’ascoltano. Perciò i miei scritti debbon risentirsi per andar ne l’arbitrio d’un si gran duca e d’un si gran giudice. Pur mi basta saper riverirvi nel grado e temervi nel giudicio. Né sol io son tenuto a ciò, ma Italia tutta, perché con l’uno le avete alargati i termini de l’onore, e con l’altro i confini de l’ingegno. Due segni ha locati la natura nel collegio de le vostre vertú, la tarditate e la velocitá: quella vi stabilisce il senno, e questa vi incita il valore, talché ognora vi scorgiamo dove sète, dove è necessitá che foste. Fu pur bello il dono, che di voi fece Giesú a Marco, evangelista suo; è anco bello il presente che egli de le sue armi ha fatto a voi, e bellissimo il guiderdone de la gratitudine mostratagli da lo inviolabile de la fede vostra. Veramente voi sète subietto de la republica veneziana, ed ella è obietto di quelle tempre con che gli assicurate i pericoli e rischiarate i dubbi. Ecco Carlo quinto cesare, che, vedendovi e udendovi, onora il vedervi e premia l’udirvi, perché vi scòrse ne la sembianza la fedeltá del vero e ne le parole lo spirito degli effetti. Chi ha mai visto la superbia de le machine dei tempii e dei teatri cominciati dal massimo Iulio secondo, de la cui eterna memoria siete nipote, vede i modelli de la rovina d’Oriente, ritratta ne la sua forma da la providenzia dei vostri coraggiosi andari; e, si come il non dar compimento a quelle ingiuria il solenne de la Chiesa, così il lasciare imperfetti questi offende il sommo del battesimo. Adunque, se Iddio per distruggere gli amorei diede i privilegi di fermare il sole e la luna a Iosue, non debbe il vicario di Cristo, perché si dispergano i turchi, raccogliere ne la sua grazia Urbino, fama d’Italia, gloria de italiani e speranza de la religione? A le sue qualitá divine [p. 3 modifica]s’appartengono dimostrazioni piú che umane. Gli stati, i gradi e gli onori, quasi in ciascuno altro simigliano la testa d’un leone apesa sopra la porta d’un gran palagio, la quale è guardata da ciascuno come fièra che è stata terribile; ma i principi e i fini orditi e tessuti da l’ardimento dei suoi consigli sono i termini de la immortalitade vista dal sole su le porte de l’universo. E perciò s’oltraggia la volontá d’Iddio e la mente di Vostra Eccellenza, mentre se le perturba gli ordini stabiliti da lei per tórre a Solimano, in servigio de la cristianitá, l’animo da l’anima, l’anima dal corpo, il corpo da Tarmi, Tarmi da le lodi, le lodi dal nome, il nome da la memoria e la memoria da le carte.

Di Venezia, il 10 di decembre 1537.