Il passaggio dell'imperatore

Mario Rapisardi

1892 Indice:Opere di Mario Rapisardi 5.djvu Poesie Letteratura Il passaggio dell'imperatore Intestazione 13 febbraio 2019 100% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta L'Empedocle ed altri versi


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IL PASSAGGIO DELL’IMPERATORE

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Di filosofo inetto altri mi dìa
     Titolo, e ghigni: col mio capo io penso,
     3E quel che penso in chiare voci esprimo.
     Demagogo non sono: odiai già tempo
     La plebe, i preti e i re, che della plebe
     6Son più perfidi spesso e più codardi;
     Or non odio nessuno; e giacchè molto
     A compatire, ad ammirar mai nulla
     9Il più saggio degli uomini m’apprese,
     La bontà lodo sopra tutto, e quando
     Il dolor la flagella, il cor mi piange.
     12Acre maestra la sventura è sempre
     Ma provvida talor: come la morte
     Essa gli uomini uguaglia. Hai tu veduto

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     15L’infermo imperator? Tutto alla nuova
     Del suo venir si riversò il villaggio
     Nella città ch’ei traversar dovea,
     18Ed io con gli altri. Non vulgar talento
     Di festeggiare il novo eletto o bieca
     Brama di contemplar la sua disfatta
     21Sembianza mi traea, ma un sentimento
     Indefinito, non saprei, che forse
     Troppo lontan dalla pietà non era.
     24Al sindaco mi strinsi: egli dovea
     Complimentarlo; e il poveretto al solo
     Pensier, ch’egli, egli proprio era sul punto
     27D’appresentarsi ad un sovran sì grande,
     Sudava sangue come Cristo all’orto.
     Non inutil gli fui: col bronzeo petto
     30Spezzai la folla, e tra gli evviva e gl’inni,
     Che assordavano il cielo, a pochi passi
     Dal carrozzone imperial giungemmo.
     33L’imperatore si tenea diritto
     Militarmente a lo sportel; non era
     Pallido in volto ma cinereo; quasi
     36Lama di piombo s’affilava il naso;
     E la barba, che prima era sì molle,
     Arida irrigidía quale radici
     39Di morta pianta. Simili a faville
     Tra l’ammucchiate ceneri d’un veggio

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     Gli lustravano gli occhi, ed uno sguardo
     42Vago, lento movea, come se tutto
     Fosse il popolo e il mondo a lui straniero.
     Tale in chiesa vid’io rizzarsi a mezza
     45Bara fra neri drappi un infelice,
     Cui la pietà del frettoloso erede
     Avea prima dell’ora a Dio spedito,
     48Fisar vitreo lo sguardo in fra gli accesi
     Ceri e i becchini, e balbettar parole
     Incomprese: fuggía l’inorridita
     51Ciurma, e urlando ammontavasi alle porte
     Incapaci a tal gregge; anch’esso il prete
     Volse il tergo. all’altar, non so che strani
     54Segni all’aria trinciando. Il redivivo
     Boccheggiante ricadde, e non gli spiacque.
     Credo, il ritorno a la quiete immensa.
     57Pari in tutto a costui mi parve allora
     Quest’infelice imperator, che in tanta
     Pompa, fra tanti plausi (ei che già mezzo
     60Nella tomba del padre era disceso)
     S’avviava a salir sul più temuto
     Trono d’Europa. Si riscosse un tratto,
     63Quando iterato da la folla il nome
     Di Sadova echeggiò; volse sgomento
     Lo sguardo, quasi a ricercar sè stesso,
     66E portando la man lenta al cappello,

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     Un sorriso ineffabile sorrise.
Mi scevrai dalla turba, e del tranquillo
     69Borgo ripresi volentier la via.
     Fresco odorava aprile; in su’ boscosi
     Greppi rosea sfioría l’ultima luce,
     72E, come filo d’arrotata falce,
     Nell’azzurro lucea la nova luna.
     Vaghe dintorno a me ne la quieta
     75Ombra sfumavan le sembianze; tutto
     S’immergea nel silenzio ampio; smarrito
     Veleggiava il pensier, mentre lontano
     78Della rombante vaporiera il grido
     Lamentevole all’aria si perdea.