Il nemico (Oriani)/Parte terza/III
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III.
L’indomani Loris non partì; voleva un altro abboccamento con Tatiana.
Ella invece si mostrava di una cortesia impenetrabile. Pareva che sicura di averlo umiliato colla rivelazione della propria innocenza non si curasse più di lui, solamente di quando in quando Loris si sentirà i suoi occhi addosso, e ne provava al cuore come il vellico di una fiamma.
In un momento, che rimasero soli nel salone, Loris le disse imperiosamente:
— Ho da parlarvi.
L’altra aperse gli occhi con grande meraviglia.
Loris frenò a stento un impeto di sdegno, accorgendosi di essere giuocato.
Con suprema abilità femminile, invece di rinfacciargli l’infamia di quello stupro, di cui porterebbe il lutto per tutta la vita e dal quale le era venuta quell’affascinante fisonomia di martire, Tatiana gli aveva lasciato travedere qualche resto di passione per lui; quindi era rientrata nella sicurezza di una castità ancora più garantita dalla malattia che dall’offesa sofferta.
Per la prima volta Loris trovava un ostacolo più forte della propria volontà.
— Verrete stanotte in camera mia?
E già l’interrogazione era quasi un comando.
Ella si levò per andarsene.
Loris la seguì fino all’uscio fermandola brutalmente per un braccio. Tremava; Tatiana a quel contatto sussultò, lasciando trasparire sul volto una gioia così soave che a Loris cadde la mano.
— Tatiana...
— Che cosa volete? mormorò, rannicchiandosi voluttuosamente sotto il suo sguardo.
— Debbo parlarvi a lungo, non qui.
— Perchè?
— Ve lo dirò.
— È impossibile. Volevo che mi conosceste innocente, ora lo sapete: mi basta.
— Tutto è finito?
— Voi distruggeste tutto.
Loris indietreggiò, ma la passione lo risospinse ancora, e dimenticando ogni pudore le chiese con voce tremula e una grande sfacciataggine negli occhi:
— Siete ammalata così?...
Tatiana uscì, Loris rimase in preda ad una collera pazza. Sentiva di essersi nuovamente innamorato di Tatiana, ora che colla rivelazione della propria innocenza ella aveva umiliato la superbia del suo delitto, lasciandogliene nell’anima il più irritante rammarico. Loris non avrebbe potuto più vincerla che innamorandosi così perdutamente da apprenderle il contagio della propria passione. Ma anche allora la donna avrebbe trionfato di lui.
Per calmarsi uscì a piedi dal castello, nel freddo della campagna, ma rientrò poco dopo. Tatiana canticchiava nel gabinetto di legno la grande romanza del Tannhauser; quando vide Loris smise.
— Disturbo?
— No, ma non voglio darvi il diritto di ridere della mia voce. Scommetto che non ammettete nemmeno il nostro grande Bortniansky, voi che non amate la musica.
— Perchè non citate piuttosto l’autore dell’inno imperiale, l’illustre Alexis Lvof, ribattè sottolineando sardonicamente le ultime parole.
Ma appena fatta quella villana allusione se ne pentì.
Tatiana lasciò cadere su lui uno sguardo di disprezzo. Loris di malumore andò a gettarsi sopra una sedia; il principe gli si accostò per dirgli di aver già mandato a Pietroburgo lo chèque, e che sarebbe riscosso entro la settimana. Questo semplice discorso parve a Loris una spinta a partire. Infatti perchè restare ancora dopo quelle dichiarazioni al principe, mentre la sua presenza poteva attirare su quella casa pericoli altrettanto enormi che inutili. Bisognava ricominciare il pellegrinaggio forse verso la morte, senza quella consolatrice poesia della prima giovinezza.
Un freddo lo colse in quel gabinetto, ove si respirava quasi a stento per l’eccessivo calore. La sera s’avvicinava nuovamente, gettandogli le proprie ombre sul cuore. Decise di partire.
Tatiana rideva col principe.
— Mostratemelo.
— No, no, voi siete troppo intelligente; lo trovereste ridicolo.
— Badate, Tatiana, con tutte queste riserve finirete col darvi davvero l’aria di un pittore.
— Allora ve lo mostro.
Ella aveva in un acquerello tentato di riprodurre un effetto di neve sopra un albero del parco, dipingendolo dalla finestra della propria camera, chiusa per non prendere freddo. Evidentemente era stata una fanciullaggine, ma al principe sembrava di ringiovanire in quegli scherzi con Tatiana.
— Venite anche voi, signor Loris; forse v’intendete d’arte meno del principe, e mi difenderete dalle sue critiche.
Prese il suo braccio, conducendolo nel proprio appartamento. In quella luce degradante della sera passavano di camera in camera talora avvolti nell’ombra di un cortinaggio più denso; Tatiana, sospesa al braccio di Loris, gli sfiorava col seno il gomito; egli la stringeva furiosamente sino a farle male, camminando a testa alta.
Quando furono nella camera alta e vasta, la luce vi era già così scarsa che non si sarebbe potuto esaminare l’acquerello, posto sopra un piccolo telaio da ricamo. Tatiana si sciolse ridendo dal braccio di Loris e, mentre il principe cercava sulla parete un bottone del campanello elettrico per chiamare un servo ad accendere i lumi:
— No, gli disse, accendo io; e vispa, leggera, corse al letto, che si vedeva largo e bassissimo biancheggiare sul tappeto scuro. Quindi tornò subito con una candela rosea e trasparente entro una piccola bugia d’oro. A quella fiamma apparve la stanza molle ed elegantissima, coi mobili biancastri di acero, sui quali il tremolio della luce accendeva improvvise iridescenze di madreperla. Il letto nascosto da un’immensa coperta bianca, lattiginosa, s’allargava sotto un padiglione di merletti rialzati da cordoni più scuri, che forse di giorno erano cilestri. Intorno al letto cinque o sei poltroncine, disposte quasi a circolo, parevano rivelare che Tatiana ricevesse qualche volta in letto. Ma la camera aveva pochi mobili; nello specchio di un piccolo armadio balenava a quando a quando una lucentezza di gorgo, le pareti erano piene di quadri, di borsine, di lavori femminili, irreconoscibili in quel momento.
Un odore vago di fieno riempiva tutta la camera; nell’angolo sinistro, presso al letto, l’iconostase incrostato di pietre preziose gettava qualche bagliore.
Tatiana avvicinò la candela all’acquerello.
— Confessate, esclamò gaiamente, che a questa luce pare un albero.
— E la neve, mia cara?
— La neve è fuori, qui si scioglierebbe. Difendetemi dunque, signor Loris, gli si rivolse vedendolo assorto nella contemplazione della camera.
— Aspetto il giudizio del principe.
Tatiana l’aveva forse condotto in quella camera per insegnargliene la strada?
Egli ne respirava l’aroma con un senso malinconico di amore, che gli toglieva ogni forza. Tatiana in piedi, vicino a lui, fingendo di tenere occupato il principe, gli rispondeva con ogni atto del corpo e con ogni inflessione della voce.
Il principe depose sorridendo l’acquerello sul telaio.
— E così? ella si volse improvvisamente a Loris.
— Non potrei, rispose Loris, difendere il vostro quadro, che il principe non si è degnato di chiedervi, se non pregandovi di regalarmelo come un ricordo.
— Vorreste il mio albero? Principe, vedete, non siete stato gentile.
— Intendevo di aspettare che vi dipingeste sopra la neve.
— La vostra freddura è anche più gelida.
Ritornando, Loris nel passaggio di un uscio, baciò improvvisamente Tatiana sui capelli; ella quasi svenne.
Quindi discorsero di Pietroburgo. Tatiana acconsentiva già al disegno del principe, che andava arrischiando qualche parola di cura. Veramente il governo russo era mostruoso d’incuria; nelle campagne mancava ancora ogni servizio sanitario. Il principe con accento grave si abbandonava a critiche, delle quali Tatiana non poteva malgrado la propria intelligenza cogliere tutta l’importanza. Ella pensava già a Pietroburgo, ripresa dal bisogno di vivere e di brillare dopo quella lunga solitudine nel castello, ove si era terribilmente annoiata.
— Quando tornerete a Pietroburgo, signor Loris?
— Non saprei dirvelo, probabilmente passeranno molti anni.
— Sempre la vostra opera! Io vi ho mostrato il mio acquerello, non potreste essere altrettanto cortese dicendo il vostro segreto? Si può almeno domandarvi dove andrete?
— Forse in Polonia.
— Il ghetto degli ebrei.
— Potevate anche dire l’accampamento degli ultimi patriotti e la patria dei poeti.
Tatiana, alla quale il vecchio principe aveva inspirato un grande disprezzo per i polacchi, non insistette, ma avrebbe voluto sapere a che cosa Loris attendesse; era già gelosa di quel mistero. Quindi ricominciò a punzecchiarlo. Il discorso cadde naturalmente sull’amore; Tatiana ostentava di parlarne accademicamente, come di cosa che non l’avesse mai riguardata, domandandone notizie a Loris e al principe, i quali per aver molto vissuto dovevano saperne qualche cosa. Loris senza confessare alcuno dei propri sentimenti pareva non accordargli più importanza che a tutte le altre passioni della giovinezza; il principe invece lanciandosi nella metafisica vi scorgeva il principio essenziale e la forza più viva della vita.
— Si crede scioccamente che oggi si ami meno. Anche sotto la stessa corruttela elegante, troppo analizzata dai romanzieri, l’amore persiste in tutta la propria interezza, giacchè senza di esso la sensualità non potrebbe arrivare al delirio di tutti i sacrifici per donne, che la coscienza non può accettare. D’altronde l’amore è sempre una trasfigurazione di colui che si ama: perchè la bruttezza morale potrebbe impedirla più della bruttezza fisica? Si ama non ciò che è, ma ciò che si vede.
— Voi, Loris che cosa ne pensate? gli chiese il principe.
— Che non si ama. Il dolore umano depone contro l’amore di Dio per l’umanità, la storia depone contro l’amore dell’umanità per sè medesima.
— Adesso comprendo che siete un nichilista, ella disse.
— V’ingannate ancora; i nichilisti pretendono di sacrificarsi per l’amore del popolo, che non li ama.
— Chi siete voi dunque? esclamò gaiamente come non avendo capito la profondità di quelle risposte.
Ma ella voleva ottenere da lui, con caparbietà imprudente di donna, in faccia al principe una parola di amore; il suo bel volto si rannuvolò.
Uscì e non ricomparve che a pranzo.
Ma quella sera si mostrò in una grazia irresistibile di bambineria, facendosi più piccola e più sciocca quasi per sentir meglio la loro superiorità; la sua voce trovava dei trilli argentini, mentre le sue movenze, qualche volta petulanti, lasciavano perfino dubitare della sua sincerità.
Loris tentò di premerle il piede sotto la tavola, ma Tatiana lo ritirò.
Ella mangiò di tutto, beccando nel piatto come un uccellino; bevve anche un bicchiere di Portho. Il principe, che la sorvegliava inquieto, le portò via il piatto delle frutta candite.
— Ti faranno male.
— Volete esser voi il mio medico?
— Ti guarirei senza dubbio, solo che tu volessi dar retta.
— Così diventereste il mio padrone, ribattè con un adorabile sorriso.
Ma poco dopo divenne malinconica, un pallore perlaceo le si diffuse dalla fronte. Invece di passare nel gabinetto, presero il thè a tavola; Tatiana lo fece preparare dal cameriere.
Il principe, mostrandola a Loris con un’occhiata, parve dirgli: glielo avevo pur detto!
Però quel piccolo disturbo passò presto. Quando furono nel gabinetto di legno, Tatiana mise il discorso sull’appartamento del principe: era nell’ala opposta e, fra le altre meraviglie, conteneva una bellissima sala d’armi, che Loris aveva già vista. L’appartamento di Tatiana ne rimaneva diviso dall’altro di ricevimento, composto di due saloni e tre gabinetti. Tatiana s’attardava in tutta questa topografia, parlando della necessità di alcuni cambiamenti, perchè così non si sarebbe nemmeno potuto dare una vera festa da ballo.
Loris ascoltava leggendo un giornale; a un momento alzò gli occhi.
Ella si ritirò presto.
Loris rimase nell’appartamento del principe sino oltre mezzanotte. Benchè si mostrasse più infervorato che mai dell’impresa, lasciava travedere un doloroso scetticismo sul suo risultato per quell’invincibile indifferenza del popolo. Nullameno andrebbe a Varsavia per accontarsi con qualche grosso mercante di grano, giacchè senza gli ebrei nulla sarebbe stato possibile; quindi bisognava far centro lungo uno dei grandi fiumi per il contrabbando delle armi e la facilità delle comunicazioni, troppo pericolose per terra. Egli spiegava una grande scienza di particolari, insistendo per un aiuto da alcune forze nichiliste.
— Quando vi metterete in campagna? gli chiese il principe, scrutandolo con un’occhiata.
— Entro la settimana.
Erano al mercoledì.
— E voi, quando tornerete a Pietroburgo colla principessa?
— Credete che verrà? Che cosa pensate di lei?
— Nulla.
— Le avete fatto una grande impressione.
— Può darsi.
E alzò le spalle con indifferenza così assoluta che il principe tacque.
— Voi non amerete mai, Loris? gli domandò dopo una pausa.
— Come mai pensate sempre all’amore, non avendo nemmeno il coraggio di usare di vostra moglie? Perchè non andate questa notte stessa da lei, se tutta la vostra vita è sospesa al filo di questa speranza?
Il principe si fece triste.
— Ecco quello che voi non potete capire.
Ma Loris si era alzato:
— Lo so, voi amate quella donna; prendetela dunque. Vi resisterà, ne morrà, voi credete, io non lo credo; e quand’anche morisse? Potrete morire con lei, poichè non sapete viverne senza, ma almeno vi sarete cavato questa voglia, che vi consuma. Invece non l’osate, vorreste essere amato. A che pro? Avreste di più in questo caso?
— Come siete forte! esclamò il principe.
Poi Loris si rimise ancora a parlare di rivoluzione, e non lo lasciò che un’ora dopo mezzanotte.
Appena entrò nella propria camera, vi rimase in piedi dieci minuti guardando fissamente la candela.
Il suo volto esprimeva una grave concentrazione. Risolutamente soffiò sulla candela, ed uscì nel corridoio dirigendosi al buio verso l’appartamento di Tatiana; per arrivarvi aveva visto di non dover passare per la camera o dinanzi alla porta di alcun domestico. Nel salone la finestra socchiusa lasciava filtrare un po’ di luce, poi tutto tornò buio. Ricordandosi meravigliosamente la posizione di ogni mobile non vi fece rumore, ma nel traversare il gabinetto di legno urtò in uno spigolo; quindi s’avviò alla camera di Tatiana, mentre la memoria cominciava a tremargli. Si sentiva battere il cuore. Gli parve di cogliere a volo quell’odore di fieno, e di seguirlo, senza quasi camminare più, come trascinato in un viaggio, che gli si allungava sempre dinanzi.
Finalmente scoperse una luce lontana sul pavimento; la porta di Tatiana era socchiusa.
Tatiana avvolta in un immenso accappatoio bianco, tutto a merletti, stava sdraiata sopra una lunga poltrona leggendo.
Evidentemente lo aspettava. Loris s’inoltrò senza chiudersi dietro la porta e senza guardarsi attorno; oramai ogni prudenza sarebbe stata inutile.
Si fermò dinanzi a lei; le tese le mani, ella le prese, e si alzò. La sua testa bionda, bella ed imperiosa, sorgeva come da una nuvola bianca, ma pareva anche più bianca, mentre gli occhi cerchiati di nero le contrastavano vivamente colle labbra troppo rosse.
— Sono venuto a chiedere la vostra mano, disse Loris con un suono grave nella voce; quindi, come pentito di avergliele già prese tutte due, le abbandonò. Restarono l’uno in feccia all’altro in atteggiamento quasi rigido.
Loris seguitò:
— Vostro zio mi fece frustare per questo la prima volta. Voi non lo sapevate; la mia legittima vendetta non è più che un errore, di cui siamo entrambi innocenti. Volete darmi la vostra mano?
Tatiana gliela porse, e Loris se la portò alle labbra con un gesto compassato; ma come scrollato da quel contatto, respinse Tatiana sulla poltrona, cadendole ai piedi. Se non che quell’atteggiamento gli ripugnò ancora, ed afferrando uno sgabello, sedette così vicino a lei, che le toccava coi ginocchi i ginocchi.
— Vi ho uccisa, non è vero? Dal giorno che non vi ho voluta, gittandovi ad un mostro per infrangere la vostra anima di donna e di principessa, vi domino. Voi non potevate comprenderne allora tutto il perchè, ma io non ero solo in quella rivincita; milioni di uomini e di donne si vendicavano su voi in tale momento. Siamo sopravissuti entrambi, eccomi dinanzi a voi.
Tatiana lo ascoltava colle labbra frementi.
— Che vi resta ora della vita? Sapevo che questa notte mi avreste atteso, perchè una spiegazione è necessaria: parlate.
Ma Tatiana non ne aveva la forza. Benchè preparata a quella scena, Loris l’aveva presa così dall’alto, che ella non poteva ancora ritrovarvisi.
— Mi aspettavate, Tatiana?
— Sì.
— Io non volevo pensare più a voi dopo quel giorno, e nullameno eravate sempre come una sbarra sulla mia strada. Adesso ci urtiamo ancora; sarò io l’infranto questa volta? La vostra vita esige una rivincita, se la mia idea non sarà ancora più forte della fatalità, che ci spinge nuovamente l’uno sull’altro. A voi sta il decidere: quando m’avete poco fa data la vostra mano, avete voluto prendermi? Qualunque siano le conseguenze di quest’incontro, voi potete chiedermi tutto. Nessun uomo potrebbe tenervi simile linguaggio.
Ella arrovesciò la testa sulla spalliera della poltrona, colle braccia molli, sfinite lungo i fianchi, in una inesprimibile prostrazione d’amore. Allora Loris tacque in preda ad una strana confusione di aver saputo parlare così, mentre venendo in quella camera ignorava quello che avrebbe detto; ma si sentiva l’anima inesprimibilmente alleggerita.
Una freschezza di primavera gli scendeva per le vene.
Tatiana si staccò languidamente dalla poltrona, gli prese una mano e, stringendogliela affettuosamente, gli disse con accento di purezza verginale:
— Lo sapevo che dovevate essere così: Dio è buono!
Quindi proseguì:
— Io vi ho amato dopo; prima, me ne sono accorta, non era amore. Ma dopo eravate dentro di me. Non ho nemmeno tentato di reagire: avrei potuto dimenticare anche attraverso la malattia il marchio, che mi avevate impresso, ma non smuovervi di mezzo al cuore. La mia vita si svolgeva intorno a voi. Ero sicura che ci saremmo ritrovati. Chi siete ora? Non lo so.... siete qui dinanzi a me, come vi ho sempre visto nel mio avvenire, ai miei ginocchi, voi, davanti ai quale io non sono nulla.
Loris infatti era scivolato involontariamente ai suoi piedi; Tatiana gli buttò le braccia al collo.
— Voi mi amate, Loris: era impossibile che Dio vi permettesse di non amarmi dopo quello, che tentaste contro di lui. La sua giustizia è sempre migliore dei nostri cuori, che s’ingannano spesso senza mentire. Ora sono felice.
Queste ultime parole passarono sulla bocca di Loris come un effluvio. Cinse Tatiana colle braccia e, sollevandola robustamente come una bambina, la portò sul letto. La vasta camera restava in una penombra misteriosa, rischiarata appena dalla candela del tavolo, sul quale Tatiana aveva deposto il giornale. Il letto bianco sembrava anche più grande.
Tatiana vi si adagiò confidenzialmente sugli origlieri, tenendo sempre per mano Loris, che si era seduto sulla coperta coi piedi sul tappeto.
Ella pareva in una calma così stravagante, quasi di moglie col marito dopo una lunga abitudine di amore, che egli stesso ne subiva l’irresistibile ascendente.
Poi Tatiana chiuse gli occhi nella felicità di quel sogno; al suo tenue respiro si sarebbe creduto che dormisse.
A Loris parve di vaneggiare. Quella beatitudine appassionata ed innocente, della quale non aveva nemmeno mai sospettato la possibilità, lo rigenerava. Tatiana era la prima donna, che incontrava nella vita; tutte le altre non erano state che femmine. Allora un lampo sinistro lo abbarbagliò, e pensò al principe, che adorava Tatiana con una passione inesprimibile a tutte le parole; quell’uomo era un altro Topine, il secondo mostro del loro dramma, nel quale egli si spezzerebbe. La mano della morte gli strinse il cuore così violentemente, che Tatiana, desta da quel soprassalto, aperse gli occhi, e si sollevò sulle reni per interrogarlo.
— Come sei bello, mio Loris! esclamò, accarezzandogli il volto come ad un bambino. Adesso vattene: ho bisogno di riposarmi per questa felicità. Non ne voglio morire.
E pigliandogli una mano lo fece alzare; egli ubbidì fanciullescamente. Tatiana gli baciò la mano, quasi come avrebbe fatto con quella della propria madre, ma tirandoselo leggermente contro, gli soffiò in un orecchio:
— Te lo dirò....
E tranquilla, beata, bianca nella veste e sul letto bianco come la neve, chiuse gli occhi.