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da un’immensa coperta bianca, lattiginosa, s’allargava sotto un padiglione di merletti rialzati da cordoni più scuri, che forse di giorno erano cilestri. Intorno al letto cinque o sei poltroncine, disposte quasi a circolo, parevano rivelare che Tatiana ricevesse qualche volta in letto. Ma la camera aveva pochi mobili; nello specchio di un piccolo armadio balenava a quando a quando una lucentezza di gorgo, le pareti erano piene di quadri, di borsine, di lavori femminili, irreconoscibili in quel momento.
Un odore vago di fieno riempiva tutta la camera; nell’angolo sinistro, presso al letto, l’iconostase incrostato di pietre preziose gettava qualche bagliore.
Tatiana avvicinò la candela all’acquerello.
— Confessate, esclamò gaiamente, che a questa luce pare un albero.
— E la neve, mia cara?
— La neve è fuori, qui si scioglierebbe. Difendetemi dunque, signor Loris, gli si rivolse vedendolo assorto nella contemplazione della camera.
— Aspetto il giudizio del principe.
Tatiana l’aveva forse condotto in quella camera per insegnargliene la strada?
Egli ne respirava l’aroma con un senso malinconico di amore, che gli toglieva ogni forza. Tatiana in piedi, vicino a lui, fingendo di tenere occupato il principe, gli rispondeva con ogni atto del corpo e con ogni inflessione della voce.