IX

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IX.

La zia Paolina pensava seriamente al mio matrimonio, non mi tormentava più colle sue domande, ma appunto per questo capivo che andava maturando qualche progetto.

Infatti aveva molti colloqui misteriosi con una sua amica, una signora ch’io vedevo poco perché ai suoi ricevimenti del venerdì sera riceveva molti uomini, poche signore e punto ragazze; fra lei e la zia correvano anche dei bigliettini diplomatici e capivo benissimo che ci doveva esser sotto qualche cosa per me. Io me ne stavo impassibile come non si fosse [p. 85 modifica] trattato del mio avvenire, e ormai riguardavo il matrimonio come una fine che devono fare tutte le ragazze e avrei accettato chiunque purchè non antipatico Ero troppo impaziente di liberare la zia della mia presenza e mi trovavo a diciotto anni senza illusioni, come se ne avessi avuto già trenta. Intanto s’avvicinava a gran passi il momento decisivo, lo capivo all’agitazione della zia, alle occhiate tenere che mi dava di tratto in tratto. Una sera ebbe luogo fra noi il seguente dialogo. Disse la zia:

— Domani sera verrai con me dalla signora Aureggi.

— Come! se le ragazze non ci vanno mai?

— È una serata eccezionale, canta una signorina, anzi ci sarà più gente del solito, procura di essere carina, dovresti metterti il vestito azzurro che ti sta tanto bene.

— E ci sarà anche Margherita? [p. 86 modifica]

— Non so; può darsi.

Non disse o non volle dire di più, ma io avevo capito abbastanza, avevo capito che forse la sera dopo dovea decidersi della mia sorte; però questa scoperta non mi produsse nessuna emozione, ormai stavo per diventare fatalista.

Ecco il famoso venerdì sera: mi vesto colla massima cura, il vestito azzurro mi sta a pennello e me n’accorgo dallo sguardo soddisfatto della zia.

Ci si avvia silenziose tutte e due; si capisce che abbiamo i nostri pensieri che ci preoccupano e assorbono tutta la nostra mente; si arriva abbastanza presto; si scende dalla carrozza ed eccoci in una bella sala illuminata.

Mi sento un po’ confusa, è la prima volta che mi trovo in una società così seria, di gente piuttosto matura. Pochi colori chiari e molte giubbe nere, di signore credo di essere la più [p. 87 modifica] giovane e mi sento subito dardeggiata da una quantità di sguardi maschili curiosi.

Dove sarà l’amico o il nemico?

Deve essere in un certo gruppo laggiù accanto al pianoforte; mi faccio coraggio e guardo da quella parte; vi sono parecchi giovani, ma non posso indovinare quale sarà il preferito.

Faccio un inchino alla padrona di casa e mi metto a sedere accanto alla zia.

Si fanno intorno a me delle chiacchiere che non m’interessano, guardo sempre le giubbe nere per vedere se vi sono due occhi che mi guardino con maggiore insistenza; ce ne sono più di due e sento che m’ammirano tutti. Sono contenta: sentirsi ammirati è sempre una cosa che fa piacere, anche dalle persone che interessano meno. Si suona, si canta, ma non sento nulla, sono molto distratta, ci si alza per ringraziare gli artisti, nella confusione che succede fra un pezzo e l’altro ci [p. 88 modifica] si trova un po’ amalgamati cogli abiti neri, si fanno delle presentazioni, la padrona di casa viene verso di noi con una giubba nera di taglio perfetto ed una gardenia all’occhiello, e presenta: — Il conte Manfredi.

Il cuore mi battè un po’ più forte, dovrebbe esser lui. Alzo gli occhi mentre egli s’inchina e parla alla zia, lo guardo in faccia: è un bel giovane, statura media, baffi biondi, viso regolare, carnagione bianca e un sorriso proprio seducente. C’è negli occhi qualche cosa che non capisco, ma il complesso non mi dispiace e poi ha modi da vero gentiluomo; se è lui, sento che non dirò di no.

Non si fecero discorsi molto interessanti, si parlò di musica ed egli colse tutte le occasioni per farmi dei complimenti ed esser gentile, anche colla zia fu perfetto e chiese il permesso di venirci a vedere; ma per quella, sera si rimase a quel punto. [p. 89 modifica]

Appena fummo in carrozza per ritornare a casa, la zia chiese col suo solito impeto:

— Dunque! ti piace?

Un’altra ragazza avrebbe simulato un po’ di sorpresa, ma io che odio ogni finzione dissi subito:

— È un bel giovane.

— E di famiglia distinta, — soggiunse la zia, — poi intelligente; insomma saresti fortunata se ti sposasse e mi pare che non sia difficile; ti dava certe occhiate piene d’ammirazione! Speriamo. Quando la signora Aureggi m’ha detto che aveva intenzione di prender moglie ho pensato subito a te. Ho fatto bene?

— Non tanta fretta, zia mia, sei dunque stanca di me? Prima di decidermi voglio conoscerlo un po’ meglio, e poi si vedrà. — Hai ragione, ma non conviene [p. 90 modifica] esagerare; le buone occasioni al giorno d’oggi non bisogna lasciarle scappare.

La zia poteva parlare a suo piacere, ma io avevo il mio piano: o un amore addirittura romantico, oppure andare col calzare di piombo, non far cose avventate. Della zia non mi potevo fidar troppo, era parte troppo interessata nella faccenda, perciò mi rivolsi alla direttrice del collegio dove avevo passati tanti anni, la quale conosceva molta gente, sapeva tutte le chiacchiere della città ed era felice se una sua antica allieva si rivolgeva a lei per chiederle consiglio in qualche caso difficile o delicato.

Le chiesi informazioni del conte Manfredi.

— È un giovane di famiglia distinta, - rispose, — ma gli piace la vita scapigliata, poi ha un punto nero.

— Quale?

— La passione del gioco, anzi per questa [p. 91 modifica] passione deve esser molto diminuita la sua sostanza e tu devi badare che non ti sposi per interesse.

— Non le pare ch’io possa interessare abbastanza un giovane? — diss’io un po’ offesa.

— Non dico questo, ma non conosci gli uomini, e prima di fare un passo che può decidere della felicità di tutta la vita devi pensarci.

La ringraziai e da quel giorno cominciai a pensare seriamente ai casi miei.

È vero; ero abbastanza ricca, mio padre aveva affidato il suo avere in buone mani e possedevo senza che nemmeno lo sapessi un mezzo milione di lire; però studiavo il conte Manfredi che si mostrava molto franco e generoso, tanto che mi pareva impossibile fosse stato spinto al matrimonio soltanto da mire interessate.

Egli veniva spesso in casa e mi diceva [p. 92 modifica] delle cose graziose ed era proprio bello col suo sorriso seducente, e poi quando si è ancor nuovi alla vita, fanno sempre effetto certe parole susurrate all’orecchio, certe strette di mano eloquenti.

Egli mi faceva capire in tutti i modi come sarebbe stato felice di unire la sua sorte alla mia; io chiedevo tempo per rispondere, volevo conoscerlo meglio. Un giorno mi arrischiai anche a dirgli ch’ero gelosissima, che sapevo come avesse una grande passione per il gioco e ch’io sarei stata gelosa anche del tappeto verde.

Mi promise di non giocar più.

E prese tanto alla lettera la sua promessa che anche quando lo pregavano nell’intimità di fare il quarto al whist o in qualche altro gioco rispondeva invariabilmente:

— Ho fatto voto di non toccar più una carta. [p. 93 modifica]

Ero orgogliosa di questo mio trionfo e fu quello che decise della mia sorte.

Uno che mi sacrificava una sua passione dovea amarmi sul serio; cominciai anch’io ad amarlo e lo accettai come fidanzato con grande gioia della zia e di Margherita, e per non disgiungere la mia sorte da quella della mia unica amica si combinò che i nostri matrimoni si farebbero nel medesimo giorno.