Il giornalino di Gian Burrasca/8 febbraio

8 febbraio

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7 febbraio 9 febbraio


8 febbraio.

Ieri sera avrei voluto scrivere in queste pagine l’ultima parte della cronaca della giornata, ma mi premeva di vigilare il campo nemico dal mio osservatorio... E poi bisogna da ora in avanti adoperare una grande prudenza perché siamo spiati da tutte le parti e tremo al solo pensiero che mi possano trovare questo mio giornalino...

Fortuna che la chiave della valigia nella quale lo tengo rinchiuso è assai complicata... E poi i sospetti sono contro i convittori grandi e... E poi in fin dei conti, se fossi messo alle strette potrei dir delle cose che farebbero smascellar dalle risa tutti quanti, come rido io in questo momento soffocando a stento l’ilarità per non svegliare i miei compagni...

Ah, giornalino mio, quante cose ho da scrivere!... E che cose!...

Ma andiamo per ordine, e cominciamo dal fatto meraviglioso, strabiliante della minestra di magro di ieri.

Dunque a mezzogiorno in punto, tutti i ventisei convittori del collegio Pierpaoli erano, come al solito, seduti intorno alla tavola del refettorio in attesa del pranzo... E qui mi ci vorrebbe la penna del Salgari oppure di Alessandro Manzoni per descrivere l’ansietà di tutti i compagni della nostra Società segreta, mentre si aspettava che portassero la minestra.

A un tratto eccola!... I nostri colli si allungano, i nostri occhi seguono con grande curiosità le zuppiere... e appena la minestra incomincia a riempire le scodelle tutte le bocche si arrotondano in un lungo ooooh!... di meraviglia e un mormorio generale si leva nel quale son ripetute queste parole: - L’è rossa!... -

La signora Geltrude, che gira qua e là dietro le nostre sedie, si ferma ed esclama sorridendo:

- Si capisce! ci sono le barbabietole rosse, non vedete? -

E la minestra di magro, infatti, questa volta, è piena di piccole fette di barbe rosse, testimoni muti e terribili, per la nostra Società segreta, della ingegnosa nequizia del cuoco...

- E ora che si fa? - dico piano al Barozzo.

- Ora si fa così! - mormora egli con gli occhi sfavillanti di sdegno.

E alzatosi in piedi, girando lo sguardo intorno ai compagni, esclama con la sua voce energica:

- Ragazzi! nessuno mangi questa minestra rossa... Essa è avvelenata! -

A queste parole i collegiali lasciano cadere il cucchiaio sulla tavola e rissano gli occhi in faccia a Barozzo esprimendo il massimo stupore.

La direttrice, il cui volto è diventato anche più rosso della minestra, accorre e afferrato il Barozzo per un braccio gli grida con la sua voce stridula:

- Che dici?

- Dico - ripiglia il Barozzo - che non sono le barbe che tingono di rosso la minestra ma è l’anilina che ci ho messo io! -

L’affermazione fatta con tanta precisione e tanta fermezza dal coraggioso presidente della Società Uno per tutti e tutti per uno sconvolge addirittura la signora Geltrude che resta li per qualche minuto confusa, senza poter nulla rispondere; ma infine l’ira sua terribile esplode in questa frase piena di recondite minacce:

- Tu!... tu!... tu!... Ma sei pazzo?...

- No, non sono pazzo - ribatte il Barozzo. - E ripeto che questa minestra è rossa in causa dell’anilina che vi ho messo io, mentre avrebbe avuto tutte le ragioni di diventar rossa di vergogna per il modo col quale è fatta!-

Questa bella frase, detta con quell’accento meridionale così sonoro, ha finito di sconvolgere la povera direttrice che non sapeva far altro che ripetere:

- Tu! Tu! Proprio tu!... -

E infine, scostando la sua sedia, ha concluso in un sibilo: - Va’ giù in Direzione! Bisogna che tutto sia spiegato!-

E ha fatto un cenno al bidello che lo accompagnasse.

Questa scena si è svolta così fulmineamente che i convittori, anche dopo l’uscita del Barozzo dal Refettorio, rimanevano lì, ringrulliti, sempre con gli occhi fissi sulla sedia rimasta vuota.

Frattanto la direttrice aveva dato ordine di portar via la minestra rossa e di portare in tavola l’altra pietanza - che era baccalà lesso - sul quale i convittori si scagliarono così affamati che esso oppose invano ai loro denti la più dura e stopposa resistenza.

Io invece, per quanto avessi non meno appetito degli altri, spelluzzicai la mia porzione di baccalà con fare impacciato. Mi sentivo nell’anima lo sguardo fisso, acuto della signora Geltrude che, fin dal primo momento in cui s’era alzato da sedere il Barozzo gettando l’allarme contro la minestra di magro, non mi aveva mai levato gli occhi da dosso.

Durante l’ora della ricreazione continuò la vigile sorveglianza della direttrice e non potei parlare che di sfuggita col Michelozzi.

- Che si fa?

- Prudenza! Bisogna prima sentire il Barozzo. -

Ma il Barozzo non fu visto da nessuno in tutto il giorno.

La sera ricomparve a cena, e pareva un altro. Aveva gli occhi rossi e infossati e sfuggiva gli sguardi curiosi dei suoi compagni, special cute di noi della Società segreta.

- Che è stato? - gli domandai piano.

- Zitto...

- Ma che hai?

- Se mi sei amico non parlarmi. -

Il suo fare era imbarazzato, la sua voce mal sicura.

Che era dunque accaduto?

Ecco la domanda che mi rivolgevo ieri senza trovarvi una risposta.

Ieri sera appena i miei piccoli compagni di dormitorio si furono addormentati, mi ficcai dentro il mio armadietto, senza neppur pensare a scrivere in queste pagine i fatti della giornata, per quanto fossero di grande importanza. Era per il momento assai più importante il vedere quel che accadeva nella sala del defunto professor Pierpaolo Pierpaoli cercando di scoprire le batterie nemiche.

E per la verità, la mia aspettazione non fu punto delusa.

Appena dentro nel mio osservatorio sentii la voce della signora Geltrude che diceva:

- Sei un perfetto imbecille! -

Capii subito che parlava con suo marito; e difatti, accostato l’occhio al forellino fatto nel ritratto del compianto fondatore di questo collegio, ho visto giù nella sala i due coniugi direttori, l’uno di fronte all’altra, la direttrice con le mani sul fianchi, col naso addirittura paonazzo e gli occhi sfavillanti, e il direttore dritto, rigido in tutta la sua lunghezza, nell’attitudine di un generale che si prepari a sostenere un assalto.

- Sei un perfetto imbecille! - ripeteva la signora Geltrude. - E si deve a te, naturalmente, se abbiamo tra i piedi quel pezzente napoletano che finirà col rovinare l’istituto propalando l’affare della minestra...

- Calmati, Geltrude, - rispondeva il signor Stanislao - e cerca di considerare seriamente la cosa. Prima di tutto il Barozzo fu accettato di comune accordo a condizioni eccezionali per riguardo al suo tutore che ci procurò altri tre convittori a retta intera...

- D’accordo? E sfido! Non la finivi più con le tue ragionacce stupide...

- Via, Geltrude, cerca di moderarti e di ascoltarmi. Il Barozzo, vedrai, non abuserà della scoperta fatta con la sua anilina. Tu sai che egli ignorava di esser tenuto qui a patti speciali; e io profittando di questo e toccando la corda sensibile della sua dignità gli ho fatto considerare con un discorso molto efficace, che egli era tenuto qui quasi per compassione e che perciò aveva, lui più degli altri, il dovere di mostrarsi grato e affezionato a noi e al nostro istituto. A questa rivelazione il Barozzo è rimasto talmente turbato che non ha avuto più parola ed è diventato un pulcino. Dopo la mia reprimenda ha balbettato: "Signor Stanislao, mi perdoni... Capisco ora di non avere qui dentro nessun diritto... e può esser sicuro che non avrò mai né una parola né un atto contro il suo collegio... Glielo giuro".

- E tu, imbecille, ti fidi dei suoi giuramenti?

- Certamente. Il Barozzo ha un fondo di carattere serio ed è rimasto molto impressionato dal quadro che gli ho fatto delle sue condizioni di famiglia. Sono assolutamente sicuro che da parte sua non avremo nulla da temere...

- Non capisci nulla. E lo Stoppani? Lo Stoppani che è la causa prima dello scandalo? Lo Stoppani che è proprio quello che ha messo il campo a rumore per la minestra di magro?

- Lo Stoppani è meglio lasciarlo stare. Per lui è un altro paio di maniche; egli è addirittura un bambino e le sue chiacchiere non possono nuocere alla buona fama dell’istituto...

- Come! Non lo vuoi neppur punire?

- Ma no, cara. Il punirlo lo irriterebbe maggiormente. E poi chi ha messo l’anilina nei piatti è il Barozzo: mi ha confessato egli stesso di essere stato lui, lui solo... -

A questo punto la signora Geltrude ebbe un tale accesso di bile che credetti le pigliasse li per lì un accidente.

Alzò le braccia al cielo e si mise a declamare:

- Ah numi! Ah eterni dèi!... E tu fai il direttore di un collegio? Tu così cretino da credere a quel che ti dice un ragazzaccio come il Barozzo, pretendi di stare alla testa di questo istituto? Ma tu sei da rinchiudere in un manicomio!... Tu sei un idiota come non ve ne sono mai stati nel mondo! -

Il Direttore sotto questa valanga di ingiurie reagì, e abbassata la testa al livello della sua violenta consorte la guardò negli occhi esclamando:

- Ora poi basta. -

E a questo punto io vidi, giornalino mio, la cosa più straordinaria, più lontana da ogni previsione e insieme più comica che si possa immaginare.

La signora Geltrude, allungando la destra sul capo del signor Stanislao, come un artiglio, gli afferrò i capelli esclamando:

- Ah! che vorresti fare? -

E mentre ella ringhiava queste parole io vidi con profondo stupore che la chioma corvina del direttore era rimasta nelle grinfie della direttrice la quale agitava la parrucca in aria ripetendo furiosa:

- Ah! Vorresti anche minacciarmi? Tu? Me?... -

E gittata via a un tratto la parrucca afferrò un battipanni di giunco ch’era su un tavolino e si mise a inseguire il signor Stanislao che, avvilito, con la testa completamente nuda cercava goffamente di sfuggire alle minacce coniugali girando attorno alla tavola...

La scena era così supremamente ridicola che per quanti sforzi facessi, non potei trattenere completamente le risa e mi usci dalla bocca un mugolìo acuto.

Questo mugolìo fu la salvezza del signor Stanislao. I due coniugi si voltarono in su stupiti verso il ritratto; e la signora Geltrude passando dalla irritazione a una vaga paura mormorò:

- Ah! La buonanima dello zio Pierpaolo!... -

Ed io prudentemente mi ritirai lasciando i due coniugi pacificati ad un tratto da un comune sentimento di timore, a fantasticare intorno al mugolìo del compianto fondatore di questo malaugurato collegio.