Il ghetto di Firenze/Il ghetto negli ultimi tempi
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IL GHETTO NEGLI ULTIMI TEMPI
L’abbandono del Ghetto per parte della maggior parte delle famiglie israelite segna la completa decadenza di questo quartiere, segna il ritorno alle tristi e vergognose condizioni in cui il Frascato ed i luoghi adiacenti erano nel XV secolo. Pensando allo stato in cui trovavasi ultimamente il Ghetto, par di ricordare le memorie che si hanno di quattro secoli addietro: ricordando le qualità e gl’istinti di coloro che ultimamente avevano per dimora il vecchio Ghetto, par quasi che la denunzia fatta agli ufficiali della decima da Jacopo d’Alamanno dei Medici sia fatta ai nostri tempi.
Poche famiglie israelitiche erano restate ad abitare alcuni dei quartieri più comodi e più eleganti, quelli che occupavano appunto gli antichi palagi della nobiltà fiorentina e che per la loro giacitura e per le condizioni d’aria e di luce potevano dirsi abbastanza belli e comodi. Non c’era però da compiacersi del vicinato. Le parti interne e quelle più modeste del Ghetto erano addirittura un nido di povera gente che vi si agglomerava, vi si ammassava, utilizzando ogni più piccolo e più meschino locale. I saloni antichi erano divisi e suddivisi per il lungo, per il largo, per l’alto; le soffitte, i sottoscala, gli anditi e perfino i sotterranei servivano di abitazioni e d’asilo a questa specie di colonia singolarissima che popolava l’antico quartiere di Firenze. Era un miscuglio strano, impossibile, di gente povera e onesta, d’operai e di venturieri disgraziati, di oziosi, di ladri, di donne perdute: un penoso accozzo, di miseria desolante, di depravazione disgustosa, di vizio incallito, di sconforto e di abiezione. Molte famiglie oneste e virtuose in mezzo alla loro miseria erano state costrette a rifugiarsi là dentro, e contentarsi di abitare poche, meschine, umide, buje e soffocanti stanzucce, non trovando altrove quartierini a prezzi modesti e non avendo modo di metter insieme la somma necessaria a pagare in una sola volta la pigione di un semestre.
Accanto a loro, c’erano dei covi di ladri, c’erano degli alberghi dove conveniva gente d’ogni genere.
Pagavano venti e fin dieci centesimi ed avevano diritto di dividere, magari con altre cinque o sei persone, un letto o per meglio dire un lurido giaciglio, un grosso saccone con lenzuoli, guanciali e coperte che un giorno erano state bianche; ma che col lungo uso e le qualità dei contatti avevano preso un colore... inqualificabile. Coteste raccolte di gente, cotesti convegni erano qualche cosa di curioso, di originale nel loro orribile.
La polizia esercitava in certi luoghi una sorveglianza speciale, perchè sapeva di certa scienza che là capitavano pregiudicati e malanni d’ogni specie; e su per giù i sonni più o meno tranquilli di tutti cotesti ospiti erano quasi seralmente turbati dall’intervento delle guardie che venivano ad assicurarsi della presenza di qualche vecchio conoscente, o a fargli cambiare contro voglia d’albergo. L’andirivieni infinito, il laberinto vero e proprio di anditi, di corridoi chiusi ed oscuri, di vicoli interni, di cortili, di terrazze, di cavalcavie, che mettevano in comunicazione quasi tutte le parti dell’ampio quadrato, favorivano la fuga di coloro che la polizia ricercava e che conoscendo a perfezione i più misteriosi recessi di quel fabbricato, potevano spesso nascondersi ed eludere facilmente le ricerche più attive e più minuziose: quindi i borsaioli, i ladri, i sottoposti alla speciale sorveglianza, avevano un affetto, un amore tutto speciale per questa località che si prestava mirabilmente a proteggerli.
Ecco le pagine nere, le più nere anzi di questo quartiere che ridotto in questo stato era addirittura la vergogna di Firenze. Però nel descrivere le brutture, gli orrori, le vergogne di questo quartiere s’è esagerato ed esagerato fino a farne teatro di avvenimenti impossibili, asilo di gente che non è mai esistita, luogo di misteri spaventosi e di delitti orridi.
È stato un delirio, un eccesso di esagerazioni colossali, di fantasie inverosimili, eppure s’è durato un bel pezzo ad alimentare la pubblica curiosità, a suscitare i più alti sensi di meraviglia e di orrore coi racconti di avvenimenti spaventevoli che si sarebbero svolti in tutte le loro fasi più truci in questo luogo sinistro, in questo tetro recesso... consacrato al delitto.
Se ne son dette e scritte di tutti i colori; s’è pescato nelle cronache giudiziarie la parte più terribile relativa a tutti i paesi di questo mondo si son rifritte le vecchie storie di misteri e di paure, si son saccheggiati e raffazzonati romanzi dalle tinte più fosche e più sanguigne per accomodarli ed applicarli a questo quartiere, calunniandolo nel modo più atroce e facendo fare al tempo stesso una figura tutt’altro che lusinghiera anche alla nostra Firenze che avrebbe avuto per tanti anni un centro cosiffatto d’orrori selvaggi ed elementi così ferocemente tristi e delittuosi.
Esagerazioni, esagerazioni in tutto il senso della parola, che però, forse senza volerlo, han giovato ad affrettare lo sgombero di questo quartiere e a patrocinar la causa della sua demolizione.
Però... diciamolo francamente: grandi delitti non ne sono avvenuti, drammi spaventevolmente truci non si sono mai svolti qui dentro, per la gran ragione che mancavano gli elementi più importanti: i grandi delinquenti e più che altro i covi dei grandi delinquenti.
L’ho detto prima (e l'ho detto perchè conoscevo intimamente e profondamente questa località anche prima che si pensasse minimamente a demolizioni e a trasformazioni) che razza di gente abitasse colà ed è inutile tornarlo a ripetere.
Drammi se ne saranno svolti e molti qui dentro ma di tutt’altro genere, di tutt’altra natura, per quanto essi potessero essere più desolanti, più tristi, più commoventi.
Erano i drammi della miseria, della miseria più raccapricciante.
Là sopra uno strato fetido di cenci, di piume, di foglie secche, di fogliacci, in certi antri dove non si poteva stare in piedi perchè il soffitto era troppo basso, senz’aria, senza luce, si nasceva e si moriva.
Nascevano le povere creature umane come nascono le bestie nel covile. Morivano di fame e di stenti senza il conforto dei baci delle persone care, senza l’estremo saluto del sole che non scendeva mai a dissipare le tenebre di questi antri.
E là si viveva tra gli stenti e le privazioni, là, nel mistero di quelle catapecchie, si soffocavano pianti e sospiri.
All'intorno, a pochi passi, nelle vie gaie, allegre, splendide di luce, sfolgoranti di bellezza, le ricche carrozze andavano e venivano, la folla elegante passeggiava serena e tranquilla soffermandosi ad ammirare la splendida mostra dei negozj e pochi gettavano forse uno sguardo indifferente, noncurante verso quel quartiere cupo e tenebroso....
E là dentro si soffriva la mancanza di tutto, si penava, si moriva fra gli stenti e fra i dolori...
Ecco i veri argomenti dei lugubri drammi del Ghetto, argomenti che non hanno davvero nulla d’originale nulla di caratteristico, di particolare, perchè essi si sono svolti qui, come si svolgono e si svolgeranno sempre dappertutto, dove per effetto di sciagure o come conseguenza del vizio v’è chi vi si trova costretto a sopportare i guai della miseria.