Ghetto

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Periodo di decadenza Il ghetto negli ultimi tempi
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GHETTO




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I può dire che un periodo di risorgimento per questa parte dell’antica Firenze ricominci colla sua riduzione a luogo di dimora e di relegazione per gl’israeliti, cioè nel 1571.

Le confische fatte da Cosimo dei Medici a danno di alcune famiglie che con maggior vigore, con maggior energia avevano difesa la libertà di Firenze contro l’invadente signoria Medicea, gli acquisti a condizioni meschinissime, le tasse imposte agli israeliti, dettero modo di ridurre, serrare ed accomodare ad un solo uso quest’ampio rettangolo che dipoi dalla parola ebraica ghet, che vuol dire separazione, ebbe quel nome di Ghetto che tuttora gli rimane.

Gl’isdraeliti erano già da circa un secolo e mezzo a Firenze, quando fu istituito il Ghetto, [p. 28 modifica]perchè data del 1430 la deliberazione colla quale la repubblica permette a molte condizioni la venuta in Firenze degli ebrei. E tale concessione fu fatta proprio per dare un vantaggio al commercio cittadino, inquantochè a Firenze nessuno poteva trovar più denaro in prestito ad un frutto minore del 30 per cento. Gl’isdraeliti ebbero dunque facoltà di prestare denaro al frutto di 4 denari per lira al mese.

Non furono molti gli ebrei che dapprima si decisero a stabilirsi a Firenze, e quei pochi andarono ad abitare in una delle più modeste e più oscure stradelle di Oltrarno, un vicoletto tortuoso quasi nascosto fra torri e palazzi altissimi che va da Borgo S. Jacopo alla Volta Guicciardini; allora si diceva Chiasso de’ Rammaglianti dal nome di un’antichissima famiglia e di poi si chiamò come si chiama tuttora, Via dei Giudei.

Però, se gl’isdraeliti colla loro venuta arrecarono alla città dei vantaggi, essi non ottennero di esser ben trattati e d’esser liberi dalle persecuzioni infinite alle quali erano fatti segno dovunque. E in questo la repubblica fiorentina agiva sotto l'autorità, sotto l’impulso della Corte di Roma che era il centro naturale, il capo del partito Guelfo. [p. 29 modifica]

E che fosse così, lo si rileva da molte circostanze: basterebbe la sentenza colla quale nel 1434 si condanna alla pena del capo Guglielmo di Dattilo di Monte Falcone, ebreo per compiacere il Papa e per altri suoi delitti.

Gli ebrei dovevano essere affatto separati dai cristiani, guardati a vista, sfuggiti, scansati, dopo che con essi s’erano trattati gli affari commerciali, e così nel 1439 si ordina che essi debbano portare un segno onde possano esser facilmente distinti.

Seguitiamo a raccogliere alcune delle memorie relative alla dimora degli isdraeliti in Firenze, anche per illustrare questo periodo della storia fiorentina.

Nel 1439 si fissa che in Firenze non ve ne possano stare che 70.

Nel 1471 si concede loro di aprire due banchi di prestito.

Nel 1495 i prestiti avevano fruttato loro tanti guadagni che essi ne avevano retratto un utile di 11 milioni di fiorini d’oro. Il popolo cominciò a tumultuare, a minacciare una strage vera e propria, sicchè la Signoria per evitare guai maggiori, emanò un severissimo bando che li cacciava da Firenze e dal contado.

Nel 1499 la mancanza degl’israeliti che [p. 30 modifica]prestassero denari era talmente sentita, che il bando si revoca e la Repubblica si accorda a lasciarli abitare Firenze, ottenendo di poter cavare 200,000 fiorini condannando i giudei «della loro scellerataggine.»

Nel 1567 al segno primitivo che portavano sugli abiti e che facilmente poteva nascondersi o non esser veduto, si ordina di sostituire un tondo giallo abbastanza grande da portarsi costantemente sulla berretta.

Cosimo De’ Medici, spintovi da Papa Paolo IV determinò che gli ebrei, che a poco alla volta si erano sparsi per vari luoghi della città, dovessero abitare tutti uniti ed in un luogo chiuso, da dove non potessero uscire che in determinate ore e dove potessero esser facilmente sorvegliati.

E il luogo scelto fu appunto quel ceppo di case che anche allora si chiamavano il Frascato.

Bernardo Buontalenti, architetto del Granduca, ridusse tutti gli antichi palazzi, le antiche case, ad un solo stabile, chiudendo i vecchi vicoli e lasciando solo due aperture munite di cancelli di ferro. In questo recinto gl’isdraeliti andarono ad abitare il 6 dicembre del 1571.

La località era dapprima tutt’altro che comoda, tutt’altro che adattata ad accogliere un numero considerevole di famiglie; ma sotto [p. 31 modifica]Cosimo I gli ebrei non poterono mai ottenere dei favori.

Anzi le persecuzioni, i bandi, le multe, la sorveglianza, la prigionia, i tratti di corda venivano applicati contro di loro con severità senza pari.

Della severità colla quale erano trattati e sorvegliati può darne un’idea questa relazione al Granduca che troviamo nelle filze dei Cinque Conservatori del Contado e Dominio Fiorentino.

«Noi condannammo sotto di 18 di Luglio, passato, Jacobbe hebreo, in D. X. perchè era uscito fuor di Firenze con licenza di star 4 giorni et era stato più d’un mese trattenendosi per suoi negozi in diversi luoghi di questi Dominii. Dipoi non ha pagato altrimenti detta condannazione et si sta in carcere donde non si può trarre senza tal pagamento, se non per grazia di V. A. S. et però sua madre (M.ª Stella) dice che egli è mendico et si morrà in dette carceri per non havere modo alcuno a pagare et supplica grazia della condannazione o che sia composto a pagarla in 5 anni. Sopra a che ritraghiamo esser vera che è povero e meschino et senza dirne altro preghiamo.»

«Firenze 8 agosto 1577.»

Sotto a questa memoria è scritto:

«Riebbesi il 12.» [p. 32 modifica]

E più sotto la determinazione del Granduca, che non è certo una grazia.

«Confinisi fuor dello stato et che non ci ritorni.»

Dopo Cosimo, cominciarono tempi un po’ migliori per l’isdraeliti.

Bianca Cappello, bella ed ambiziosa, aveva da alcune donne ebree impiastri, liscie, unguenti ed altri segreti dei quali sembra che fosse sodisfattissima, tantochè presso il Granduca suo marito procurò sempre d’interporsi in favore degli isdraeliti, e certo fu per la di lei intromissione se, incolpati di aver portato a Firenze una pestilenza, non furono banditi, come nei consigli del Granduca era stato proposto.

Cosimo III ancora, non fu troppo severo con loro e spese non poco a fare eseguire nel Ghetto molti lavori per renderlo più comodo, più ampio, più salubre.

Naturalmente, anche gli isdraeliti procurarono sempre di rendere il loro isolamento meno triste, e non mancarono di fornire i loro quartieri di locali adatti al culto, ai ritrovi, alle feste religiose e civili, ai bisogni ed alle comodità della vita, al progresso morale e intellettuale.

E difatti nel Ghetto erano due templi principali, uno di rito italiano, l’altro di rito levantino [p. 33 modifica]una confraternita o tempio minore che serviva alle funzioni quotidiane, una confraternita funebre, locali per la misericordia, scuole educative, saloni per feste e per conversazioni, bagni, macelli, forni, negozj nei quali si spacciavano commestibili, abiti, masserizie, tutto insomma.

E non mancavano nemmeno i quartieri d’abitazione comodi ed eleganti, come si può veder tuttora.

I saloni dei vecchi palazzi erano stati in gran parte conservati, accomodati, adorni di pitture, di stucchi, di dorature. In due o tre di questi quartieri, ed in specie in uno corrispondente sulla Piazza della Fraternità, trovansi ancora degli affreschi del XVII secolo tutt’altro che spregievoli e che rappresentano varj soggetti del vecchio testamento.

Ammessa l’impossibilità di dar aria e luce alla parte interna, chiusa da fabbricati altissimi, di trasformare antiche straducole e delle casuccie meschinissime, il Ghetto, quand’era esclusivamente abitato dagli isdraeliti, non aveva nulla di orrido e di ripugnante.