Il genio buono e il genio cattivo/Nota storica

Nota storica

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Atto V
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NOTA STORICA


In un frammento di lettera senza data, ma che verisimilmente appartiene al 1764, Carlo Goldoni scrive a Stefano Sciugliaga, suo rappresentante a Venezia presso il teatro di S. Luca, queste parole: "Sapete, che ho quel soggetto indicatovi del Genio buono, e del Genio cattivo. Commedia piena di caratteri, di moralità e di critica. Sono certo, che farebbe bene in Venezia; ma vi sono delle trasformazioni, e dei travestimenti... Avrei piacere di far vedere in Venezia, come si fanno le commedie di trasformazione, senza i Diavoli e senza le Piazzate" (Mantovani, C. G. e il teatro di S. Luca a Ven., Milano, 1885, pp. 220-1). Tra gli scenarii goldoniani presentati ai comici del Teatro Italiano di Parigi, ma non eseguiti, l’Almanach des spectacles ricorda in fatti Le bon et le mauvais Genie. Nelle sue Memorie il commediografo racconta che alla recita si oppose la spesa eccessiva delle decorazioni necessarie, la quale in Italia sarebbe stata di soli cento scudi, ma a Parigi forse di mille. Parve poi all’autore che il soggetto si adattasse più al gusto degli Italiani che dei Francesi, per il vivo entusiasmo destato allora a Venezia dalle fiabe teatrali (Mémoires, P. III, ch. 11). E invero, dopo la partenza del Goldoni e dell’abate Chiari, che avvenne nel 1762, trionfava indisturbato sulle lagune il conte Carlo Gozzi, abbagliando gli occhi del pubblico con le fantasmagorie della Donna serpente, della Zobeide, del Mostro turchino.

Nella commedia che il Goldoni ricavò dallo scenario, il "meraviglioso" non irrompeva nelle stravaganze, come nelle Fiabe, ma era contenuto nei due Genii, del bene e del male, che trasportavano per incanto i due principali personaggi. Arlecchino e Corallina, da un paese all’altro, a Parigi, a Londra, a Venezia e finalmente nelle vallate di Bergamo, dalle quali erano una volta incautamente usciti dietro il miraggio dell’oro e dei piaceri (Mémoires, l. c. — Una "pretesa Fiaba" la chiamò il Masi, e gli parve un ritorno "alle tradizioni della Commedia dell’arte": Pref. alle Fiabe di C. Gozzi, Bologna, 1884. I, p. 157).

Dice l’autore che si decise a stendere il Genio buono e il Genio cattivo dopo l’insuccesso delle sei commedie mandate a Venezia nell’anno comico 1764-65, per non lasciare una mala memoria di sè presso i suoi concittadini; ma non si fidò, oppure volle vendicarsi dei comici del teatro di S. Luca, e scioltosi, come parrebbe, da ogni impegno col Vendramin, mandò il manoscritto a Girolamo Medebach, che recitava nel teatro di S. Gio. Crisostomo. La prima recita avvenne, a detta dell’edizione Zatta, nel 1768, e le rappresentazioni durarono con applauso continuo tutto quel carnovale (Mémoires, l. c). — Ciò è in massima parte confermato da Domenico Caminer nel fascicolo del genn. 1772 dell’Europa letteraria: "... Avvisato però il Goldoni, che per la sua partenza, decaduta la buona Commedia, piacevano vieppiù le Favole ridotte a Teatrale rappresentazione, scrive Il Genio buono ed il Genio cattivo, che superò tutte le altre, replicata essendosi per 27 sere successive, e [p. 148 modifica] si sarebbe più oltre ripetuta, se non si ammalava la Comica Marliani, che ne sosteneva una delle principali parti" (pp. 77-78). — E così l’antica interprete e quasi ispiratrice della Serva amorosa e della Locandiera, Maddalena Marliani, contribuiva già vecchia all’ultimo trionfo del Goldoni sulle scene veneziane.

Lo stesso acerrimo rivale e nemico implacabile del riformatore nostro, to stesso conte Carlo Gozzi, scrisse più tardi nella prefazione di una sua fiaba: "Il Sig. Goldoni, che ha spedita da Parigi la sua Favola scenica: Il Genio buono e il Genio cattivo, la quale ebbe in Venezia moltissimo incontro, prova solo, che queste tali opere non devono esser dileggiate. Cotesta Favola, che nell’indole è differente in tutto dalle mie, e che con un giro di buona morale conducendo l’Arlecchino col mirabile in diverse Nazioni, forma d’ogni Atto un retaggio del costume e dei divertimenti di parecchie differenti Metropoli, può fermare gli spettatori, siccome ha fatto, e può animare degl’Italiani a produr dei generi, che divertano e che ammaestrino, senza deridere la passione del mirabile, che sarà sempre la regina di tutte le umane passioni" (Opere ed.e ed ined., Venezia, Zanardi, t. IV, 1802, p. 11). Nelle Memorie inutili, dopo di aver accennato al "numero grande di repliche", scrive che "la ragione dell’incontro avvenne perch’ella conteneva dell’arte teatrale, de’ caratteri piacevoli, della morale e de’ tratti filosofici", ma avverte che dalle sue proprie fiabe a quella del Goldoni correva differenza, come dall’ingegno suo a quello del commediograto veneziano, e che il "buon effetto" dei due Genii fu "puramente effimero" (ed. Venezia, Palese, 1797, vol. II, pp. 34-35. — Infatti l’"elogio affettato e caricato" del Caminer alla fiaba goldoniana gli era seccato non poco: Ragionamento ingenuo, in Opere cit., vol. I, p. 46). Ma anche la famosa compagnia di Antonio Sacchi, passata nel ’71 dal teatro di S. Samuele a quello di S. Luca, recitava a soggetto la commedia goldoniana. Nell’Appendice al Ragionamento ingenuo diceva ancora il Gozzi, non senza qualche inesattezza: "Questa Commedia di Truffaldino confuso tra il bene e il male, veduta dal Sig. Goldoni fortunata all’improvviso in ossatura, gli fece venire in pensiero di dialogarla. Ella è a stampa, ed inutile affatto per il Teatro, e l’ossatura trattata all’improvviso dalla Truppa Sacchi è ancora fertile capitale" (Opere cit., t. V, p. 37. — L’Appendice è del 1773, ma l’autore vi fece poi varie aggiunte).

Rileggiamo ora un antico manifesto teatrale, ritrovato da Corrado Ricci nell’Archivio di Stato di Bologna e pubblicato ne’ suoi Teatri di Bologna nei secoli XVII e XVIII (Bologna. 1888. pp. 214-5):

" Nobilissimi Signori.

" Per Sabbato li 25 del corrente Luglio.

"Sono invitati dalia Compagnia de’ Comici nel Nuovo Pubblico Teatro ad una Commedia novissima mai più rappresentata il di cui titolo è:

Il Genio buono, ed il Genio cattivo.

"Con Corallina ed Arlecchino allettati in campagna dai piaceri della Città, meravigliati dalle grandiosità di Parigi, confusi nelle delizie di Londra, pacificati in Venezia, e contenti nel Tempio della Felicità". [p. 149 modifica]

" Questa è una delle più belle, e rare Composizioni del celebre Signor Dottor Goldoni nella quale ha unito a meraviglia il morale, il lepido, e l’istruttivo, avendo in essa un particolar maneggio la loro serva Corallina, e il loro servo Arlecchino".

" Verrà la medesima decorata all’uso de’ Paesi ne’ quali si rappresenta la Favola, e oltre le apparenze, e le trasformazioni, sarà ancora adornata di più Balli ecc. ".

Il resto non ci serve. Senza dubbio la Compagnia de’ Comici che recitava nel gran Teatro Nuovo, ora Comunale, inaugurato nel 1763, era quella del Sacco, poichè recitava contemporaneamente il Re Cervo, e le Tre melarance, e l’Augel Belverde e il Mostro Turchino di Carlo Gozzi (come si vede dagli altri manifesti ivi pubblicati dal Ricci). E questo succedette probabilmente nell’anno 1773, poichè nel dicembre precedente quel capocomico, per mezzo del marchese Albergati, faceva chiedere al card. Branciforti Colonna e otteneva il permesso di recitare nella state ventura a Bologna (v. Collezione Tognetti - Notizie e scritti riguardanti Franc. Albergati, cartone II, presso la Bib.ca Comunale di Bologna). Tale manifesto riesce importante anche perchè ci conferma quello che risulta con nostra sorpresa dalle Memorie di Goldoni, cioè che il quarto atto della commedia e dello scenario svolgevasi a Venezia, non già a Tripoli di Barberia: Arlecchino non correva il pericolo di essere impalato, ma cadeva nell’acqua del canale con rischio di annegare, e perdeva tutto il suo denaro al giuoco (Mémoires, l. c.), e forse anche l’anello incantato, come dice Corallina nella 3a scena dell’atto V, che l’autore si dimenticò di correggere. — Quando composi la commedia - avverte il Goldoni - non era avvenuta la chiusura del Ridotto a Venezia, che si fece nel novembre 1774, nè i giuochi d’azzardo erano proibiti. Ci resta a sapere se il vecchio commediografo avesse già in quel tempo, quando scriveva le Memorie (1787), rifatto l’atto IV, o se aspettasse fino al giorno che spedi allo stampatore Zatta il manoscritto. Vero è che il tomo XII della 2a classe (commedie buffe in prosa) della famosa edizione, dove uscì per la prima volta il Genio buono e il Genio cattivo, porta la data del 1793 e dovette subire un lungo ritardo, non sappiamo se per colpa della censura veneziana o, come sembra, dell’autore. Lo Zatta, in un Avvertimento premesso al detto tomo, si scusa dicendo di non aver potuto ricuperare le quattro commedie che compongono il volume se non alla morte del glorioso vegliardo, il quale "superando gl’incomodi della età e le giornaliere occupazioni", non lasciava "di scorrere ciascuna delle sue produzioni, e di correggere in esse a suo talento tutto ciò ch’egli stimava degno di riprovazione". Per fortuna, poche e di lieve importanza furono sì fatte correzioni. Non si tratta di esaminare il Genio buono e il Genio cattivo come fosse un’opera d’arte (così dice anche Chatfield - Taylor nel suo Goldoni, New-York, 1913, p. 517). Questa commedia che ci fa assistere a trasformazioni ed incanti, come le Fiabe del Gozzi, e ci trasporta da un atto all’altro di paese in paese, dalle Alpi a Londra e a Tripoli, come i romanzi dell’abate Chiari, appartiene ai teatrini popolari dove i personaggi sono di stoppa e mostrano i fili che li muovono. Magherie e incantesimi erano del resto familiari alla commedia dell’arte in Italia e in Francia: maghi, negromanti, folletti, fate, ninfe, anelli [p. 150 modifica]incantati, isole incantate, naufragi, trasformazioni di uomini, di mostri, di alberi ecc. abbondano negli antichi zibaldoni dei nostri comici, hanno parte non piccola nel regno bizzarro delle maschere (v. principalmente F. Neri, Scenari delle Maschere in Arcadia, Città di Castello, 1913, passim. — Al comico Bartolomeo Cavalieri che recitava con la moglie Giustina nel Teatro di S. Luca e che morì nel 1775, il Bartoli attribuisce varie commedie e fra queste una che s’intitola Il genio benefico, "con trasformazioni": v. Notizie istor. de’ Comici It.i Padova, 1782, t. I, p. 164). Lo stesso Goldoni aveva composto in Francia altri scenari, intitolati le Metamorfosi d’Arlecchino, l’Anello magico, le Cinque età d’Arlecchino e anche aveva trasportato Arlecchino e Camilla schiavi in Barberia. Arlecchino e Corallina tentati dal Genio cattivo ci ricordano (chi non voglia incomodare Adamo, Eva e il serpente) la favola di Prodico Ercole al bivio, raccontata di recente da Gasparo Gozzi nell’Osservatore e svolta ivi praticamente nella novella di Jacopo e la Sandra: e la loro seduzione ci richiama la leggenda popolare di Faust e Mefistofele. Ma è meglio non poggiare tanto alto, poichè a cotesta povera invenzione manca ogni poesia. Resterebbe la satira dei caratteri e dei costumi, ma anche questa riusci timida, stentata, convenzionale (il viaggiatore ridicolo: v. Pamela e il Cavalier Giocondo; il vecchio ufficiale: v. la Guerra; la caricatura dei costumi inglesi: v. il Filosofo inglese ecc.: cfr. Schmidbauer, Das Komische bei Goldoni, München 1906, pp. 144 e 149. — È facile scoprire nel personaggio di Polligrafo, nell’ultima scena, un’allusione a G. G. Rousseau e a qualche seguace del filosofo ginevrino). Solo un pubblico avvezzo alle macchinose tragicommedie del Chiari e alle spettacolose fiabe del Gozzi poteva con tanto calore applaudire alla favola mista del Goldoni ("Un pasticcio" la chiamò a ragione il nostro Musatti, Il Teatro Sociale di Oderzo, Venezia 1914, p. 8. — Per l’opposto Ernesto Masi trovò in questa commedia delle "parti vigorosissime e che indicano un vero ringiovinimento, che il viaggio di Francia aveva conferito al genio del Goldoni". E aggiunse che il Genio buono e il G. c. "quale specchio storico di costumi, specialmente Parigini del secolo scorso, e quale documento di un nuovo svolgimento dell’ingegno del Goldoni, ha una capitale importanza": l. c., pag. 158).

Tuttavia c’è dell’altro che dovette sedurre i buoni sudditi di S. Marco: intendo l’intenzione e la lezione morale. Non è gran cosa, ha in sè del puerile, ma aggiunta al diletto degli occhi, io credo che la morale di questa favola abbia prodotto grande effetto sugli animi dei Veneziani. Tutti quanti gli scrittori del Settecento insistono sull’efficacia morale del teatro: il teatro dev’essere per il popolo una scuola. — Ferdinando Galanti sospetta che "probabilmente nel Genio cattivo, vestito di nero con lunga barba e bacchetta in mano" il Goldoni abbia voluto "raffigurare Carlo Gozzi, il mago, il Genio dominatore" (C. G., Padova, 1882, p. 444); ma io proprio non riesco a vederlo. A chi legga la commedia (è ben strano che il Galanti e il Rabany, gli autori delle due più note monografie goldoniane, facciano viaggiare Arlecchino e Corallina a Venezia, come nel riassunto dei Mémoires) avviene piuttosto di pensare al creatore dei Pettegolezzi, delle Massere, dei Rusteghi, lontano e quasi sperduto nella capitale francese; e vengono in mente certe dolorose espressioni che all’esule veneziano sfuggivano qua e là nelle lettere che scriveva da Parigi, [p. 151 modifica]prima di essere nominato maestro di lingua italiana della principessa Adelaide. Come nell’Amor paterno e nel Matrimonio per concorso si sentiva quasi la riconoscenza verso la nazione ospitale, e la contentezza; così nel Genio buono e il Genio cattivo si sente l’amarezza, la delusione, il rimpianto (osservate nel secondo atto Anzoletto che difende la sua Italia dal falso giudizio degli stranieri; e udite quel grido improvviso d’Arlecchino: "Patria, patria, cara patria"). Come Arlecchino e Corallina, anche il Goldoni si era lasciato trascinare così lontano dai suoi ponti e dai suoi canali per la vaghezza degli onori e del guadagno, ma dopo le prime liete accoglienze, erano subito cominciati i guai da parte dei comici, e le seimila lire non bastavano per vivere a Parigi, e c’era quella misteriosa avventura con madamigella Méry (Campardon, Les comédiens du Roi de la Troupe Italienne ecc. Paris, 1880, 1, 250). Il Genio cattivo, il seduttore maligno, il Goldoni l’aveva dunque ascoltato dentro di sè, quando abbandonò l’Italia, ed ora sospirava: "Sei mesi mancano a finire il mio apostolato" (febbr. ’64). "Certamente non posso restare a Parigi e vi anderebbe della mia riputazione" (marzo ’64). "Amerei il riposo, ma io non sono in grado di lusingarmi di questo bene. Sono nato per faticare, e capisco che dovrò farlo fin che potrò. Quando non potrò più, sarò inutile, e per me, e per gli altri" (maggio ’64). Eccola qui la morale dell’ultima scena del Genio buono e il Genio cattivo: il tempio della felicità non è in nessun luogo e dappertutto "perchè l’avrete dentro di voi". "Ritornate al vostro stato primiero; ivi sarete contenti". Che sono mai "le ricchezze ed i piaceri al confronto della quiete e della innocenza perduta"? "Non vi paragonate collo stato altrui. Tutti in diversi modi hanno i loro beni, ma non tutti ne sanno far uso". — Così predicava da tempo a Venezia anche Gasparo Gozzi. È una filosofia secolare e volgare, ma appunto per questo soddisfa il popolo buono: è, su per giù, la filosofia di Renzo che servirà di conclusione ai Promessi Sposi.

Il Goldoni dunque aveva vinto il rivale, il conte Carlo, osando misurarsi con lui sul medesimo terreno, fuori della commedia realistica (v. Galanti e Chatfield-Taylor). Parve ai Veneziani del suo tempo che la "rappresentazione spettacolosa delle Fiabe" non fosse già imitata, ma corretta in questa sua commedia: corretta, se mai, da quel freno dell’arte che di lui aveva fatto il riformatore del teatro comico, non già "secondo il gusto francese" come immagina Ernesto Masi (Scelta di comm. di C. G., Firenze, 1897, II, 464). Sulla metà del gennaio del 1789 la Gazzetta Urbana Veneta (n. 5), compilata da Antonio Piazza, annunciava che sul teatro di S. Gio. Crisostomo si darebbe dopo molti anni di pausa, l’azione favolosa del nostro inimitabile Sig. Goldoni, intitolata Il Genio buono". E in fatti nel n. 6. (21 genn.) si notava la recita della famosa compagnia Battaglia e si lodava la commedia. Altre recite trovo anche più tardi a Venezia: 1 nov. 1801, teatro di S. Luca, comp.ia Fabrichesi e Gnocola (Giorn. dei teatri comici di Velli e Menegatti), 21 luglio 1805, teatro di S. Gio. Crisostomo, comp.ia Goldoni (l. c). 17 marzo 1823, S. Luca, compagnia dei Concordi (Gazzetta Privilegiata di Ven.). Una recita abbiamo nella cittadina di Oderzo, nell’autunno del 1825, da parte della comp.ia Andolfati (Musatti, l. c. sopra). Nel 1827 Ferd. Meneghezzi con strana confusione nominava Il Genio buono accanto al Burbero e alla trilogia di Zelinda e Lindoro, e osava aggiungere "che quantunque appartenga [p. 152 modifica] al genere delle favole teatrali magiche, ha tuttavia in sè di grandi bellezze ed un ottimo fondo morale" (Della vita e delle opere di C. G., Milano, p. 133. — Anche Ignazio Ciampi, La vita artistica di C. G., Roma, 1860, p. 87, pose in vista la "grande utilità" morale di questa commedia allegorica e satirica).

Più tardi scomparve, o finì miseramente in qualche baracca di burattini. Ma ecco, sulla fine del 1911, lo sbarco degli Italiani a Tripoli indusse qualche Veneziano a ristampare la morta favola "a beneficio della sottoscrizione per i feriti e i richiamati della guerra d’Africa"; e la Gazzetta di Venezia annunciava (25 die.): "Due mesi or sono compariva sulla Gazzetta un articolo che richiamava all’attenzione dei lettori una commedia di C. Goldoni, che si svolge per un atto a Tripoli di Barberia, ed ha per titolo Il Genio ecc. — Molte richieste pervennero ai librai Veneziani e Veneti per avere qualche copia della commedia goldoniana, ma tutte le pratiche riuscirono vane, perchè la commedia stessa non venne mai stampata a parte... Lo Stabilimento tipografico Scarabellin ne prepara una edizione correttissima ed a buon mercato... Ci consta anche che alcuni studenti volonterosi vorrebbero metterla in scena... Alla bella iniziativa auguriamo fin d’ora un felice risultato".

Poco dopo il Genio buono ed il Genio cattivo scomparivano di nuovo tra il fumo e le fiamme degli incanti, e la commedia ripiombava nel giustissimo oblio.

G. O.


Questa commedia fu stampata la prima volta a Venezia, nel 1793, nel t. XII della 2a classe dell’edizione Zatta, e una ristampa se ne fece a Bologna, dentro il Settecento (Giuseppe Lucchesini, a S. Tomaso d’Aquino, s. a.). Non si trova nella raccolta del Masi a Livorno e del Bonsignori a Lucca. — Naturalmente abbiamo seguito con fedeltà il testo dell’ed. Zatta, pur tenendo presente qualche ristampa posteriore.