Il contratto sociale/Libro terzo/XVIII

Libro terzo - Cap. XVIII

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Cap. XVIII

Mezzi di prevenire le usurpazioni
del governo.

Da tali schiarimenti risulta, in conferma del capitolo 16, che l’atto il quale instituisce il governo non è un contratto, ma una legge; che i depositari del potere escentivo non sono i padroni del popolo, ma suoi uffiziali; che ei può promuoverlì © destituirli ogni qual volta gli piaccia; che per essi non è questione di contrattare, ma d’abbidire; e che incaricandosi degli uffizii che loro impone lo stato, non fanno altro che satisfare al loro dovere di cittadini senza avere in nessun modo il divritto di disputare intorno alle condizioni. Quando avviene dumque, che il popolo instituisce un governo ereditario, sia monarchico in una famiglia, sia aristocratico in un ordine di cittadini, non è già un impegno che egli si assuma, ma è una forma provvisoria che ci dà alla amministrazione, fintantochè gli piaccia di ordinare altrimenti. [p. 177 modifica]

Vero è, che quei cambiamenti sono sempre pericolosi, e che non bisogna mai toccare il governo stabilito se non quando diventi incompatibile col pubblico bene; ma codesta circospezione è una massima di politica, e non una regola di diritto; e lo stato non è tenuto maggiormente di lasciare l’autorità civile a’ suoi capi, che l’autorità militare a’ suoi generali.

Vero è ancora, che in simile caso non si saprebbe con soverchia diligenza osservare tutte le formalità volute per distinguere un atto regolare e legittimo da un tumulto sedizioso, e le volontà di tutto un popolo dalle grida di una fazione. In questa circostanza sopratutto non bisogna concedere al caso odioso se non ciò, che non gli si può negare in tutto il rigore del diritto, ed è pure da codest’obbligo che il principe trae un grande vantaggio per conservare il suo potere malgrado il popolo, senza che si possa dire che ei l’abbia usurpato: imperciocchè nel mentre che sembra far uso soltanto de’ suoi diritti, gli è facilissimo l’ampliarli, ed impedire, sotto il pretesto della pubblica quiete, le [p. 178 modifica] assemblee destinate a ristabilire il buon ordine; di modo che ei si prevale di un silenzio, che impedisce di rompere o delle irregolarità che ei fa commettere, per supporre a sè favorevole la confessione di quelli che taciono per timore, e per punire quelli che osano parlare. In questa maniera i decemviri eletti in principio per un anno, poi continuando per un’altr’anno, tentarono di ritenere in perpetuo il loro potere, non permettendo più ai comizi di ragunarsi; ed in tal modo facilissimo tutti i governi del mondo, rivestiti una volta della pubblica forza, usurpano tosto o tardi la sovrana autorità.

Le pubbliche assemblee, delle quali feci più sopra parola, sono atte a prevenire 0 differire una tale sventura, massime quando non abbisognano di una formale convocazione; imperciocchè allora il principe non saprebbe impedirle senza dichiararsi apertamente infrattore delle leggi e nemico dello stato.

L’apertura di quelle assemblee, che non hanno altro oggetto fuorchè il mantenimento del trattato sociale, deve sempre farsi per mezzo di due proposizioni, che non si [p. 179 modifica]

possano sopprimere e passino separatamente ai voti.

La prima: «se piaccia al sovrano di conservare la presente forma di governo;»

La seconda: «se piaccia al popolo di lasciarne l’amministrazione a quelli, che ne sono attualmente incaricati.»

Io qui suppongo ciò che credo d’avere dimostrato, cioè che non vi sia nello stato nessuna legge fondamentale, che non si possa rivocare, non eccettuato il patto sociale; perchè se tutti i cittadini si ragunassero per rompere quel patto d’un comune accordo, non vi ha dubbio che sarebbe legittimamente rotto. Grozio opina pure che ciascuno possa rinunciare allo stato di cui è membro, e ripigliare la sua naturale libertà ed i suoi beni uscendo dal paese1. Ora sarebbe assurda cosa, che tutti i cittadini riuniti non potessero ciò che può separatamente ciascun di loro.


Note

  1. Purchè non lo si abbandoni per eludere il suo dovere e dispensarsi dal servire la sua patria nel momento che essa ha bisogno di noi. In tale circostanza la fuga sarebbe criminale e punibile, perchè sarebbe non un ritiro ma una deserzione.