Il continente misterioso/9. Il pugno di mastro Diego

9. Il pugno di mastro Diego

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9.

IL PUGNO DI MASTRO DIEGO


Cinquanta o sessanta selvaggi, più brutti delle scimmie, nudi come Adamo, ma imbrattati di grasso e di colori, e armati di scuri di pietra, di giavellotti adorni di penne di kakatue e di boomerang, balzano attraverso le rocce che ingombrano il terreno, con una agilità di quadrumani e circondano il dray mandando delle grida scordate, che sembrano uscire dalle gole d'una banda di pappagalli in furore. Dinanzi a loro si pavoneggia il capo, facendo ondeggiare le code di cane selvaggio che pendono dalla sua cintura di pelle di opossum, sua unica, ma molto modesta veste — se tale può chiamarsi — e agitando la sua sagoja1 dalla punta d'osso.

Sono tutti di statura superiore alla media, da un metro e sessanta centimetri ad uno e settanta, secchi come bastoni, forse in causa dei loro lunghi digiuni, colle estremità esilissime, il ventre prominente, la testa coperta di capelli neri, le nari larghe, le bocche enormi, le labbra grosse come quelle dei negri, i lineamenti da scimmia e la pelle cuprea. Un odore nauseante di grasso corrotto, di orina e di selvatico, appesta l'aria attorno a quei "pappagalli urlanti" come li chiamava Diego.

Vedendo lo stregone, la loro gioia non ha limiti. Si battono il ventre che risuona come un tamburo, aprono le mascelle mostrando i loro denti acuti e bianchi come l'avorio, scoppiano in risate convulse e si slanciano da una parte all'altra urtandosi, intrecciandosi, urlando e saltando come se fossero impazziti.

Sfiniti, coperti di sudore da quel corrobori2 scapigliato, si lasciano cadere a terra, mentre il loro capo si avanza gravemente incontro allo stregone al quale strofina il naso, e poi verso i tre bianchi che erano scesi dal dray, scambiando lo stesso saluto, con quanto piacere di Diego, lo si può immaginare.

Il dottore che vuole addomesticare quei bruti per non correre qualche pericolo, getta a loro parecchie manate di biscotto che si disputano a pugni e a calci, e regala al capo una bottiglia di gin3 che in tre sorsate viene vuotata con grande disperazione degli altri, che avrebbero ben volentieri dato fondo ad una botte.

— Che stomachi! — esclamò il mastro. — Ci vorrebbe una tonnellata di galletta per saziarli, e una fontana di gin per accontentarli tutti. Ma corpo d'un treponti sventrato, sono ben brutti questi pappagalli urlanti!

— Avanti, — comanda il dottore, vedendo lo stregone mettersi in marcia.

Coco fa scoppiettare la sua gigantesca frusta e il dray s'avanza verso una vallata della catena dei Bagot, circondato dagli australiani che gettano sguardi di ardente bramosia sui cavalli e sui buoi. Senza dubbio pensano che quella carne sarebbe eccellente messa sui carboni, e si meravigliano come gli uomini bianchi non abbiano divorati quei grassi animali. Dopo mezz'ora di marcia, la truppa giungeva nel mezzo di una stretta valle coperta di alberi gommiferi d'alto fusto, del genere eucalyptus, famiglia che conta più specie. Colà, il dottore e i due marinai scorsero un gruppo di capanne o meglio di miserabili tuguri, formati da pochi pezzi di corteccia d'albero sostenuti da bastoni, aperti da un lato e chiusi dall'altro, appena capaci a riparare dal sole e affatto insufficienti a difendere dalla pioggia. Da quei tuguri puzzolenti, dove marcivano insieme pezzi di carne ed ossa rosicchiate, dove dormivano confusamente donne, uomini, bambini e cani, uscirono quindici o venti miserabili creature appena coperte da un gonnellino di pelle di kanguro o di sariga, coi lineamenti più brutti di quelli degli uomini e coperte di cicatrici prodotte, senza alcun dubbio, dai loro poco galanti mariti.

— Chi sono quelle scimmie? — chiese il mastro.

— Le bellezze australiane — rispose il dottore ridendo.

— Puah! Che brutte!...

— Lo diventano in causa delle fatiche che sopportano, della fame che soffrono e dei maltrattamenti che subiscono. Sono le creature più disgraziate che vivano sulla superficie del globo, muli da soma costretti a caricarsi di tutti i bambini e del mobilio della casa, schiave obbligate a servire il brutale marito che le carica di busse, sempre affamate perché il padrone non le tollera alla sua tavola, e si limita a gettare a loro le ossa che non può più rosicchiare.

— Che razza di furfanti, sono questi selvaggi! — esclamò Cardozo. — Ma... si riparte?

— Pare che si riprenda il viaggio — rispose il dottore.

— Ehi, Niro-Warranga, dove si va?

— A maritare la sposa — rispose il selvaggio.

— Dov'è questa ragazza?

— Laggiù, nella grande foresta — diss'egli, additando un bosco di giganteschi eucalyptus amygdalina, che s'alzava in fondo alla valle.

— Che abbiano nascosto la sposa nel bosco? — chiese Diego.

— Nascosta! Probabilmente si troverà là, perché sarà impotente di camminare.

— E perché, dottore? — chiese Cardozo.

— Perché il suo sposo l'avrà bastonata troppo forte.

— Ma come! — esclamò il mastro. — Forse che in questo paese si usa accoppare a metà la sposa, prima d'impalmarla?...

— Mi spiegherò — disse il dottore. — Quando ad un giovanotto australiano salta il ticchio di trovarsi una compagna, senza perdere il suo tempo a fare dichiarazioni o serenate, va nella foresta dove sa che accampa una qualche tribù, amica o nemica, poco importa.

"Sta in agguato finché vede passare per di là qualche ragazza. Senza preamboli, le salta addosso e fa la sua dichiarazione amorosa con una grandinata di legnate, né smette finché non la vede mezza morta e nell'impossibilità di reagire.

"Allora il brutale amante se la carica sulle spalle e se la porta via, fa avvertire lo stregone della tribù, e la disgraziata viene unita al suo bastonatore."4

— Ma l'odierà — disse Cardozo.

— T'inganni, giovanotto. Diventa invece una moglie eccellente, dimentica la sua tribù e si dedica interamente all'allevamento dei suoi figli, alla cucina e alle cure del suo poltrone di marito senza lagnarsi.

— Se queste cose me le raccontasse un altro, lo manderei all'ospitale dei pazzi, dottore, in parola d'onore — disse il mastro. — In fede mia, dal giorno che sono sbarcato qui, io mi domando se passeggio ancora sulla superficie del nostro globo o se mi trovo nella luna. Continente diabolico!... C'è da impazzire!

— E come fanno per sposarsi? — chiese Cardozo.

— Lo vedrete fra poco — disse il dottore. — Avanti, Niro-Warranga.

Il capo e la sua piccola tribù si erano messi in cammino seguiti dal dray e dalle donne che si conducevano dietro un centinaio di ragazzi, secchi come scheletri, brutti come i loro genitori, ma veri demonietti che spiccavano salti e che urlavano a piena gola.

Le donne erano cariche peggio dei muli. La maggior parte portavano un marmocchio entro una specie di sacco sospeso ai loro magri dorsi, un altro più grandicello a cavalcioni delle spalle e che si teneva ben stretto alla capigliatura della madre, un sacco contenente tutti gli oggetti indispensabili alla famiglia, gomma xanthorrea per attaccare le pietre delle scuri dei loro mariti, pietre di ricambio, conchiglie che servono per raccogliere il succo che cola dalla selvaggina arrostita, pallottole di grasso per ungersi, colori per le pitture da guerra o da lutto, ciotole di corteccia d'albero che servono da bicchieri, pietruzze magiche e medicinali, nervi di kanguro per cucire, spine di merluzzo d'acqua dolce che servono da aghi, ossa per ornarsi le narici, ecc. Oltre a ciò, talune portavano dei tizzoni che si sforzavano di mantenere accesi, essendo, per l'australiano, un'operazione un po' difficile quella di accendere il fuoco; preferisce di mantenerlo acceso sempre, ma ne dà incarico alla sua disgraziata moglie, pronto a pagarla con una tempesta di legnate se lo lascia spegnere.

La truppa, attraversata la valle, s'inoltrò sotto il bosco di alberi giganti. Il capo, dopo aver ascoltato attentamente, lanciò il suo bizzarro grido di raccolta:

— Cooomooohooo-èèè!

Un grido simile rispose, e poco dopo si vide uscire da una macchia di mimose un giovane australiano di alta statura, coperto da un mantello di pelle di sariga aperto dai lati e il capo adorno di tre penne di kakatua, recando fra le braccia una giovane donna, dai lineamenti non brutti ma coperta di contusioni e colla fronte rigata ancora di sangue.

— Oh, ecco quel mascalzone di sposo! — esclamò Diego. — Gli darei volentieri quattro pugni, ma di quelli che mi intendo io, per fargli rispettare il sesso debole.

— L'ha conciata per parecchi giorni — disse Cardozo.

— Bel modo di fare l'amore!

— Costumi di selvaggi, amici miei — disse il dottore.

— Di scimmia — corresse il mastro.

Il fidanzato in quel frattempo aveva fatto inginocchiare la sua futura sposa, che pareva rassegnata alla sua sorte.

Il kerredais si fece innanzi tenendo in mano un bastone ricurvo, di legno compatto e pesante, e aprì le labbra della ragazza.

— State attenti — disse il dottore ai suoi compagni, che erano discesi da cavallo per meglio vedere e che si erano uniti agli indigeni.

Lo stregone cacciò le sue dita adunche nella bocca della fidanzata e parve che cercasse qualche cosa. Ad un tratto fece un passo indietro, alzò rapidamente quella specie di mazza che teneva in pugno e percosse furiosamente i denti incisivi della sposa, spezzandoglieli.

La povera donna, vinta dal dolore, stramazzò indietro emettendo un urlo acuto, mentre un largo getto di sangue le irrompeva dalla bocca. A quell'urlo ne rispose subito un altro, ma era di furore, d'indignazione. Il mastro si era lanciato innanzi rosso di collera e il suo pugno robusto e pesante come una mazza da fucina, cadde con violenza sul cranio dello stregone che risuonò come una campana fessa.

Gl'indigeni, stupefatti, rimasero alcuni istanti immobili, poi fuggirono precipitosamente disperdendosi per la foresta, seguiti dalle loro donne, dai bambini, dalla sposa e dallo stregone che si era subito rialzato non ostante quel terribile pugno.

— Imprudente! — esclamò il dottore. — Cos'hai fatto?

— Per mille milioni di fulmini! — esclamò il mastro, che era ancora rosso di collera. — Volevate che lasciassi accoppare quella ragazza?

— Compivano la loro cerimonia.

— Schiacciando il viso alla sposa?

— Ma no, le spezzano solamente i denti incisivi.

— Fa lo stesso. Miserabile stregone! Se mi viene ancora tra i piedi, gli torco il collo come fosse un pollo.

— Ed ora ci hai messo in un brutto imbarazzo, Diego — disse il dottore. — Fra breve li avremo tutti addosso.

— Chi, quelle scimmie? Ma se sono fuggiti.

— Ma ritorneranno per farci pagare lo sfregio fatto al loro stregone. Sono certo che a quest'ora stanno manipolando i loro colori, per la pittura di guerra.

— Li riceveremo colla mitragliatrice — disse Cardozo che non era meno indignato del mastro.

— E le informazioni che contavo di assumere, per sapere dove possiamo trovare il nostro compatriota?

— Diavolo! — esclamò il mastro, grattandosi furiosamente il cranio. — Che bestialità ho commesso. Dovevo lasciarli terminare in pace la loro cerimonia, ma non ho potuto trattenere il desiderio di rompere quella zucca schiacciata. Vediamo, non c'è alcun mezzo per accomodare questa faccenda?

— Con alcune bottiglie di liquore, si potrebbe ottenere la pace — disse Cardozo.

— Sono così ghiotti!

— Proviamo a mandare Niro-Warranga — disse il dottore. — Udremo le loro pretese, e poi vedremo.

— Purché non lo mettano arrosto? — disse Cardozo.

— Non l'oseranno. Andrà come ambasciatore colla pittura della pace.

Niro-Warranga promise di mettersi in cerca dei suoi compatrioti, che non dovevano essere lontani, e di trattare la pace. A suo giudizio, si poteva accomodare ogni cosa con dei regali e una distribuzione di biscotti e di gin.

Si spalmò il corpo di ocra gialla, la pittura della pace, si armò di una rivoltella e partì dopo d'aver raccomandato ai suoi padroni di tenersi uniti e di non lasciare il dray, che poteva servire da fortezza.

Trascorse mezz'ora d'angosciosa aspettativa pel dottore e pei due marinai. Quantunque sapessero di essere bene armati e coraggiosi, temevano quell'assalto, non perché non fossero certi di respingere quell'orda che era poco numerosa, ma perché non ignoravano che, sparso l'allarme nell'interno di quel continente, le altre tribù più potenti non avrebbero mancato di assalirli durante il viaggio, per saccheggiarli, se non per vendicare i loro compatrioti.

Finalmente Niro-Warranga apparve. Era accompagnato dal capo della tribù dipinto da guerra, ossia coperto di pitture bianche che somigliavano ad uno scheletro umano.

— Se era brutta prima, quella scimmia, ora è spaventevole — disse il mastro, scorgendo il capo. — Non avrà però la pretesa di farci svenire col mostrarci quella toletta lugubre. Che sieno dipinti a quel modo anche i suoi sudditi?

— Certo — rispose il dottore. — Vi raccomando anzi di stare in guardia e di tenere pronta la mitragliatrice perché quei furfanti sono traditori.

— Basta che si mostrino e li accomodo io per bene, dottore — rispose il mastro.

Il capo, giunto dinanzi al carro, prese un atteggiamento fiero, impugnando la sua scure di pietra e parve attendere la risposta degli stranieri.

— Ebbene, cosa chiedono? — domandò il dottore a Niro-Warranga.

— Quattro dei vostri buoi — rispose la guida.

— Furbo l'amico! — esclamò il mastro. — Ma se crede di fare una scorpacciata coi nostri animali, s'inganna.

— Infatti, non possiamo privarci dei nostri animali che ci sono necessari per continuare il viaggio — disse il dottore. — Se si accontenta di uno, sia pure, e non gli rifiuteremo un po' di biscotti e qualche bottiglia.

— Non accetterà — disse Niro-Warranga. — Conosco i miei compatrioti e so che non cedono nelle loro pretese.

— Allora dirai che venga a prenderseli colla forza — disse il mastro. — Vedrai che marmellata faremo, di quei pagani.

— Cosa ci consiglieresti di fare? — chiese il dottore alla guida.

— Di cedere — rispose l'australiano, senza esitare.

— Ma possiamo compromettere il viaggio.

— Otto buoi sono sufficienti per condurre il dray.

— E se muoiono? — chiese Cardozo.

— Possono egualmente morire anche tutti dodici — rispose l'australiano.

— Va', — disse il dottore, — e dirai al capo che se si accontenta di un animale, accettiamo la pace. Se rifiuta, gli dirai che noi non siamo uomini da lasciarci derubare, e che possediamo tali armi da annientare la sua intera tribù.

— Badate, padrone, che potreste pentirvi di aver rifiutata la pace.

— Non mi cale.

— Pensate che la via è lunga, e che le tribù dell'interno possono crearvi dei gravi imbarazzi.

— Le combatteremo.

— Fate male a pensarla così.

— Ehi, Coco! — gridò il mastro. — Mi pare che tu vada troppo d'accordo coi tuoi confratelli dal muso di scimmia! Per mille boccaporti!... Si direbbe che tu conti su un grosso premio e che quel gaglioffo pitturato ti ha corrotto!...

Niro-Warranga guardò il mastro senza rispondere, ma nei suoi occhi guizzò uno strano lampo.

— Va' — disse il dottore.

— Vado, padrone — rispose egli.

S'avvicinò al capo australiano che aspettava pazientemente la risposta, conservando sempre il suo atteggiamento bellicoso e parlò a lungo con lui, ma in una lingua che né i due marinai, né il dottore comprendevano. Aveva riportato fedelmente la risposta dei viaggiatori e cercava di persuadere il capo a modificare le sue pretese, o cercava di intimorirlo spiegandogli la potenza delle armi degli uomini bianchi? Nessuno potè saperlo, perché, come si disse, parlava una lingua a tutti sconosciuta.

Il colloquio durò una buona mezz'ora, poi il capo australiano gettò a terra il suo boomerang in segno di pace, cancellò la sua pittura di guerra strofinandosi il corpo con un pezzo di corteccia tenera e umida, strappata ad un albero della gomma, e avvicinatosi al dray con un terribile colpo di scure fracassò il cranio al bue più grosso, esclamando:

— Quest'animale è mio!

Indi volgendosi verso il bosco lanciò il suo grido di raccolta:

— Cooomooohoooèèè!


Note

  1. Specie di lancia, ma assai corta.
  2. Danza australiana.
  3. Bevanda assai spiritosa fatta con ginepro.
  4. Storico.