Il continente misterioso/10. Il Finke

10. Il Finke

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9. Il pugno di mastro Diego 11. I primi sospetti

10.

IL FINKE


A quel grido che poteva venire interpretato come un appello per assalire il dray, gli australiani che si erano avvicinati strisciando fra i cespugli come i rettili, balzarono fuori dai loro nascondigli empiendo l'aria di urla selvagge, intraducibili, agitando le loro scuri di pietra e le loro sagaje dalla punta d'osso e facendo volteggiare i boomerang.

Il mastro, temendo un tradimento, puntò rapidamente la mitragliatrice su quella banda di scimmie urlanti pronto a tempestarla di palle, mentre Cardozo e il dottore afferravano gli sniders, ma ad un cenno del capo la tribù intera gettò a terra le armi, fece sparire le lugubri pitture e si mise a danzare un corrobori scapigliato, mentre le loro donne, sopraggiunte assieme al kerredais, si mettevano a far raccolta di legna e a scavare una buca immensa per deporvi il monumentale animale che doveva essere cucinato intero. Il dottore, per meglio calmare quei pericolosi vicini, regalò alcune bottiglie di gin che vennero in un istante vuotate dai danzatori e dal capo, e distribuì alcuni chilogrammi di biscotti che in un baleno sparvero in quegli stomachi senza fondo.

— Carramba! — esclamò il ciarliero mastro. — L'antipasto è un po' magro per quei divoratori, ma si rifaranno coll'arrosto!

— Daremo anche noi un colpo di dente, marinaio? — disse Cardozo.

— Vi consiglio di non lasciare il dray — disse il dottore.

— Temete qualche cosa? — chiese Cardozo.

— Non mi fido, amici. Lasciamoli a divorare il loro arrosto e poi andiamocene. Si dice che l'appetito viene mangiando e non vorrei che restando qui, quei divoratori pretendessero un altro bue.

— E le informazioni che contate di chiedere sul nostro compatriota?

— Ho incaricato Niro-Warranga di interrogare il capo, amico Cardozo — rispose il dottore. — Eccolo che ritorna; speriamo che rechi qualche buona nuova.

Infatti la guida ritornava, dopo d'aver avuto un animato colloquio col capo della tribù.

— Buone nuove? — chiese il mastro.

— Ha veduto l'uomo bianco — rispose Niro-Warranga.

— Quando? — chiesero ansiosamente il dottore e i due marinai.

— Quattro mesi or sono.

— Dove? — domandò il dottore.

— Sulle rive del Finke.

— Era solo?

— Aveva con sé quattro uomini, un australiano e tre dalla pelle giallastra.

— Aveva un dray?

— Due, ma tirati da animali grandi, con delle gobbe.

— Che bestie erano? — chiese il mastro.

— Dei cammelli — rispose il dottore. — Dimmi Niro, quale via teneva?

— Saliva verso il nord-est, dirigendosi ai monti James e Waterhnousen.

— Non lo ha più riveduto?

— No.

— Non sa cosa sia accaduto di lui?

— Teme che sia prigioniero delle tribù del nord. Mi ha parlato del lago Wood, almeno credo che intendesse di parlare di quel bacino paludoso, ma non so cosa volesse dire.

— Vi sono delle tribù feroci, presso quel lago?

— Sì, signore — rispose Niro-Warranga.

— Non hai visitato quelle paludi con Wright?

— Mai padrone.

— Andremo a visitarle noi — disse il dottore, dopo alcuni istanti di riflessione. — Forse colà troveremo le sue tracce e potremo sapere qualche cosa.

— Sperate di ritrovarlo vivo? — chiese Cardozo.

— Lo spero, amico mio — rispose Alvaro.

— Era partito con due soli compagni?

— No, conduceva con sé quattro birmani e tre australiani. Non so come avesse quattro soli uomini quando fu incontrato dal capo di questa tribù.

— Lo avranno abbandonato o saranno stati uccisi.

— È possibile, Cardozo.

— Siamo molto lontani da quelle paludi?

— Sei o settecento miglia.

— Che passeggiata! — esclamò il mastro. — E questi selvaggi volevano mangiarci mezzi i buoi!... Ma...

Un clamore spaventevole soffocò le sue parole. Gli australiani si erano precipitati come un solo uomo sul bue ammazzato dal loro capo, e afferratolo per le zampe, per la coda, per le corna e per gli orecchi, lo trascinarono verso l'immensa buca che doveva servire di forno. L'animale, malgrado il suo peso, fu precipitato sui carboni senza scuoiarlo e senza sbarazzarlo degli intestini, poi venne coperto con cenere calda e sopra vi accesero un gigantesco fuoco.

I ghiottoni, che dovevano essere a digiuno da parecchi giorni, non attesero molto. Non era trascorsa un'ora che disseppellivano il colossale arrosto, il quale tramandava un profumo non certo aggradevole con quel po' di materie che rinchiudeva nel ventre. Allora i clamori raddoppiarono; quei selvaggi non si erano mai assisi dinanzi ad un simile arrosto, e non avevano di certo mai fatto un'orgia simile di carne.

Si provarono a tirarlo fuori dalla buca, ma fu fatica inutile. Sarebbero stati necessari due paranchi per levarlo di là.

Non importa. Il capo, a rischio di abbrustolirsi le palme dei piedi, balza sull'arrosto, e a colpi di scure lo sventra; afferra il cuore e lo addenta con una voracità da lupo affamato da tre settimane. I suoi sudditi si precipitano come una valanga nella buca ardente, e senza badare alle scottature, massacrano, spezzano, dilaniano l'arrosto e si mettono a divorarlo con un appetito mai più veduto.

I loro denti solidi come l'acciaio lavorano senza posa, e pezzi enormi spariscono in quegli stomachi che pare non si riempiscano mai.

Le donne si trascinano accanto agli uomini ma vengono respinte. Quelle disgraziate sono bandite dalla tavola del marito e devono accontentarsi degli avanzi, se ne rimarranno. Intanto rosicano le ossa che essi gettano dietro le loro spalle.

Il dottore, Cardozo e il mastro, dall'alto del dray assistono a quell'orgia di carne, senza prendervi parte. Il capo ha offerto a loro il cervello, il pezzo d'onore, ma lo hanno rifiutato con gran piacere del ghiottone che tuffa l'intero viso dentro la materia cerebrale semicruda.

I due marinai, nauseati e indignati nel vedere quei bruti divorare come tigri e dimenticare le loro donne, gettano ad esse manate di biscotti. Alcuni ghiottoni vorrebbero privarle anche di quelli, ma il mastro balza dal dray col fucile in mano, e con un gesto molto espressivo fa a loro intendere che se osano toccare un solo biscotto, fracassa le loro zucche con una palla conica.

I ghiottoni capiscono quel latino di nuova specie e tornano all'arrosto. Son pieni da scoppiare, ma continuano a lavorare di denti; si battono il ventre, che è diventato d'una rotondità eccezionale, per affrettare la digestione, poi tornano a sedersi e ricominciano.

— Ma quei furfanti vogliono scoppiare! — esclama Cardozo.

— Approfittano dell'abbondanza, ben sapendo che dopo patiranno dell'altra fame — disse il dottore.

— Che bruti! — esclamò Diego. — Non ho mai veduto degli esseri più ributtanti di questi! Guardate un po', se si degnano di dare un pezzo di carne alle loro donne e ai loro figli! Questi sono peggiori di tutti i selvaggi, e sono certo che mai si potranno civilizzare.

— I tentativi fatti, hanno dato dei risultati negativi — disse il dottore.

— Si è cercato di civilizzarli? — chiese Cardozo.

— Sì, si sono provati i missionari, ma invano.

— Eppure, colla pazienza...

— Non si giungerebbe a nulla, Cardozo, poiché non sanno adattarsi a coltivare le terre, né ad allevare il bestiame. Alcune tribù avevano cominciato a coltivare e a seminare, ma appena spuntati i raccolti, si affrettavano a divorarli; altre, occupate nell'allevamento del bestiame, preferivano divorarlo piuttosto che condurlo nei pascoli.

— Ghiottoni! — esclamò il mastro.

— Provarono anche a convertirli, ma fu peggio che peggio. I selvaggi accorrevano volontieri alle prediche dei missionari, ma ad un certo momento interrompevano il predicatore dicendo:

"Tutto ciò che narri sarà vero, ma noi abbiamo fame. Vuoi darci da mangiare? Se non ce ne dai, noi andiamo a cercare il kanguro e la sariga".

"E piantavano lì il missionario. Se voleva vederli a ritornare, bisognava preparare prima il pranzo e dispensarlo a tutti. Non rifiutavano nemmeno di andare ad ascoltare la messa, ma non comprendevano nulla, e interrogati dicevano che il missionario si era divertito a modo suo e che aveva fatto il suo jasan, ossia una danza religiosa.

"Dopo questi insuccessi, considerato che i selvaggi costavano delle belle somme, e che si lasciavano battezzare solamente per mangiare, pronti a lasciare i missionari appena venivano meno i viveri, abbandonarono ogni idea e li lasciarono alla loro sorte."

— E credo abbiano fatto bene — disse il mastro. — Sarebbe stata fatica sprecata.

— Hanno però fatto alcuni proseliti, ma lasciano molto a desiderare anche quelli. Vi basti sapere, che uno di quei cristiani di nuovo genere, disse un giorno al suo missionario: "Quando tu morrai, io ucciderò in tuo onore otto persone!..." Andate ora a convertire questi selvaggi!...

Mentre chiacchieravano e gli australiani divoravano, tramontò il sole. Le donne improvvisarono parecchie capanne staccando dagli alberi gommiferi larghi pezzi di corteccia che sovrapponevano a dei bastoni incrociati. I loro mariti, che si erano rimpinzati di carne al punto da non essere più capaci di muoversi, si trascinarono sotto quei meschini abituri per digerire tranquillamente il troppo copioso pasto, pronti però a ricominciare all'indomani coll'egual ardore e appetito, se vi fosse stato un altro arrosto da far sparire. Le donne approfittarono di quel riposo per gettarsi sul carcame, ma non trovarono che le ossa con pochi brandelli di carne che si affrettarono a inghiottire, poi si sdraiarono dinanzi alle piccole capanne, mentre i loro indolenti ed egoisti mariti, russavano sonoramente nell'interno.

Il dottore attese alquanto; poi appena fu certo che l'intera tribù dormiva profondamente, diede ordine a Niro-Warranga di salire a cassetto e di lasciare l'accampamento. Con somma sorpresa di tutti, l'australiano, per la prima volta, si oppose a quel comando.

— È una cattiva azione quella che commettete, padrone — disse. — Questi indigeni potrebbero considerare la nostra partenza come un segno di diffidenza ed inseguirci.

— Oh diavolo! — esclamò Diego. — Forse che dobbiamo chiedere il permesso a queste scimmie, per andarcene? Ohe! Coco mio, vaneggi?... O di nascosto hai tracannato qualche bottiglia di gin?

— Vi dico che partire in questo modo, è un voler recare offesa alla tribù. Io conosco i miei compatrioti e so...

— Lo sappiamo, Coco, e io dirò ancora che i tuoi compatrioti sono fiori di canaglie.

— Prendano la nostra partenza per una offesa o no, lasceremo egualmente questo campo — disse il dottore. — Noi non siamo prigionieri qui, e siamo padroni di andarcene quando vogliamo e per dove ci piace. Orsù, sali a cassetta e spingi i buoi.

— Domani ci assaliranno, padrone.

— Non vi è alcun motivo per assalirci. Abbiamo pagato la pace e questo basta.

— Ma è una offesa, e...

— Al diavolo le tue offese! — esclamò Cardozo; impazientito. — Si direbbe che ti premono assai i tuoi compatrioti.

— Coco ha preso qualche regalo — disse Diego. — Che abbia intascato qualche coda di cane del capo o qualche collana di denti?...

— A cassetta! — disse il dottore con voce che non ammetteva replica.

L'australiano, vedendo che nessuno avrebbe ceduto, salì sul dray di molto cattivo umore e sferzò i buoi, cercando di produrre colla frusta più rumore che era possibile. Si avrebbe detto che cercava di svegliare i suoi compatrioti, ma questi non si mossero e continuarono a russare e a digerire. La pesante macchina si mise in movimento attraverso il bosco, dirigendosi verso l'uscita della vallata. Il dottore, Diego e Cardozo, temendo un improvviso attacco, si tenevano sul dray coi fucili in mano, aprendo bene gli occhi e tendendo gli orecchi. La foresta però era deserta, e non si udiva alcun rumore.

Avevano già percorso mezzo chilometro e stavano per lasciare quegli alberi giganti, quando videro un'ombra nascondersi rapidamente dietro ad un grosso tronco.

— Oh! Oh! — esclamò il mastro, mentre Niro-Warranga arrestava bruscamente i buoi e i cavalli.

— Un indigeno? — chiese il dottore.

— Senza dubbio — disse il mastro. — Chi sarà?

— Lo sapremo — rispose Cardozo.

Balzò dal dray e girò attorno al tronco tenendo il fucile puntato. L'ombra stava curva verso terra, come se spiasse qualche cosa.

— Chi sei? — chiese Cardozo.

— Il kerredais — rispose.

— Ah! Sei lo stregone! Cosa facevi qui, vecchio volpone?...

Il kerredais rispose alcune parole che il giovane marinaio non comprese e gli additò l'albero a più riprese.

— Che stia evocando gli spiriti dei boschi? — si chiese Cardozo. — Lasciamolo divertirsi a suo agio.

Ritornò al dray, informando il dottore e Diego dell'incontro fatto.

— Caccerà qualche sariga — disse il dottore. — Avanti, Niro.

— Hum! — fe' il mastro. — Quello stregone ci serba rancore per quel famoso pugno, ma se lo trovo solo, torco il collo a lui e al suo struzzo.

Il dray lasciò la foresta, attraversò la vallata, tornò a passare lo Stevenson presso l'unione dei suoi due affluenti, il Lindsay e il Ross, e proseguì verso il nord dirigendosi verso i monti Anderson, le cui cime spiccavano nettamente sul fondo del cielo illuminato dall'astro notturno.

Durante l'intera notte i viaggiatori marciarono attraverso quell'arida pianura, bruciata dal sole, priva di vegetazione e sparsa di enormi macigni. All'alba attraversarono l'Adminga, breve corso d'acqua che si perde nelle pianure sabbiose dell'est, nei pressi del 135° meridiano, e alle otto del mattino si accampavano sugli ultimi contrafforti dei monti Anderson, i quali si estendono lungo il 26° parallelo.

La loro fermata però fu breve. Temendo un brutto giuoco da parte dello stregone e della sua tribù, si rimisero in marcia onde frapporre fra il dray e gli indigeni il maggiore spazio possibile. Malgrado il calore fosse torrido, si spinsero verso il nord, stimolando i buoi e i cavalli che erano pure stati aggiogati al dray.

Attraversarono successivamente i fiumi Will e il Coglin, rasentarono il monte Daniel che si erge affatto isolato come un immenso cono, superarono poscia il fiume Dufried, e verso le sei di sera, dopo una marcia forzata di ben sessanta leghe, si accampavano sulle rive del Finke.