Il clima sulle Alpi ha mutato in epoca storica?/2

Il limite superiore del bosco

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Il limite superiore del bosco.


È noto che l’altitudine a cui arriva naturalmente il bosco varia sensibilmente da regione a regione e talora anche da bacino a bacino come pure da un versante all’altro nello stesso bacino sia per cause orografiche sia, anzi sopratutto, per effetto della varia esposizione. È stato pure constatato che qualche abbassamento si è verificato qua e là per cause non climatiche, specialmente nelle località accessibili al bestiame e per conseguenza meglio sfruttabili come pascolo, e ciò talora in modo lentissimo senza l’immediato e diretto intervento dell’uomo. Ciò nondimeno, fatta astrazione di queste variazioni locali, il suo limite superiore si presenta relativamente ben netto e fisso: per conseguenza la constatazione di un qualsiasi abbassamento come pure di un innalzamento non può che venire ricollegata a cause climatiche.

Già verso la metà del secolo scorso [62, 63], durante alcuni lavori eseguiti per facilitare lo scolo delle acque nella piana dell’alpe Bett nell’Oberteil dell’alta valle di Gressoney, erano venuti alla luce parecchi grossi ceppi di pino cembro del diametro di oltre 50 cm. e di cui alcuni sono ancora visibili sul lato occidentale di detto pianoro. La località in cui furono trovati questi ceppi trovasi a circa 2200 metri e al di sopra del limite attuale del bosco. Infatti attualmente gli ultimi larici isolati compaiono a m. 2150, e, si noti bene, non soltanto in corrispondenza della citata alpe — il che potrebbe far dubitare che si abbia potuto verificare un abbassamento non naturale — ma anche tanto a monte che a valle, dove, per le particolari condizioni orografiche, è da escludersi in modo tassativo l’intervento più o meno diretto dell’attività umana.

Pochi anni or sono all’alpe Gabiet a m. 2350, che trovasi proprio di fronte all’alpe Bett, ma sull’opposto versante, nel fare lo scavo per la costruzione di una nuova casera, venne pure trovato un enorme ceppo di pino cembro del diametro in corrispondenza dell’inizio del tronco di circa 60 cm. Tutta la regione dell’alpe Gabiet trovasi per intero al di sopra del limite [p. 5 modifica]attuale del bosco e, data la sua particolare ubicazione molto addentrata nella catena spartiacque Lys-Sesia, anche molto lontana in senso orizzontale dagli ultimi larici, che su questo versante in nessun punto superano i 2180 metri.

È bene far notare che alcuni dei vecchi ceppi trovati alle alpi Bett e Gabiet avevano ancora le proprie radici infossate naturalmente nel terreno e per conseguenza è da escludersi che essi siano stati portati così in alto per qualche uso, ad esempio come legna da ardere.

Una diecina d’anni fa, allorchè venne abbassato il livello del Lago Gabiet (m. 2340), per la costruzione della diga di sbarramento, con grande meraviglia di tutti venne trovato immerso nella melma un grosso ceppo di pino cembro. Indubbiamente esso doveva provenire dal versante orientale del Seehorn (= Corno del Lago Gabiet) donde era stato sradicato e trascinato giù nel lago da una valanga o da una frana che sono molto frequenti su questo versante. Tale supposizione, che sembra la più logica, sarebbe confortata dal fatto — riferitomi da parecchie persone degne di fede — che verso la fine del XVIII secolo era stato trovato, beninteso morto, un ceppo di pino cembro ancora radicato nel terreno verso la vetta del citato Seehorn e per conseguenza ad una altitudine di oltre 2500 metri. Se un pino cembro ha potuto allignare ad una altitudine così elevata bisogna ammettere che il clima sia stato sensibilmente più mite nei secoli che precedettero i grandi sviluppi glaciali del XVII secolo e della prima metà del XIX.

Per la valle di Gressoney debbo ancora ricordare un altro fatto non meno singolare e sintomatico allo scopo e che è tuttora visibile e controllabile. Sul versante di Gressoney della catena spartiacque Lys-Evançon e precisamente tra le Punte Taille e Taf, si estende il secolare e magnifico bosco a conifere di Cialvrina, il quale, anche per la sua particolare posizione, è uno dei pochi casi nei quali lo sviluppo si presenta ancora allo stato naturale senza le restrizioni dovute all’opera diretta o indiretta dell’attività umana e ciò particolarmente nella parte più elevata che d’altra parte è per noi la più interessante.

Il bosco continuo s’arresta in media verso 2150 metri mentre gli alberi isolati non si spingono oltre i 2200 m. Ora poco sotto il Furkelte (= colletto) per il quale di consueto si passa per portarsi ai Laghi di Frudière o per salire al Marienhorn, ad una quota di circa 2300 m. si trovano, frammisti ai materiali di una frana rocciosa, numerosi ceppi e tronchi interi di alberi dei quali alcuni hanno delle dimensioni tali che a mala pena possono venire abbracciati. Evidentemente essi dovevano far parte di un bosco cresciuto almeno una cinquantina di metri più in alto e portati in basso per il distacco della frana. Ne consegue che l’antico limite del bosco rado doveva essere non meno di 200 metri più elevato di quello attuale. [p. 6 modifica]

Tutti i fatti suesposti mi sembrano tali che nessun altra giustificazione si potrebbe dare per essi se non ammettendo in precedenza un più elevato limite del bosco, seguito successivamente da un abbassamento del medesimo.

Un rilievo del tutto particolare menta la presenza dei ceppi trovati nelle alpi Gabiet e di Bett, non solamente per la loro elevata altitudine, ma sopratutto per la prevalenza della specie dell’essenza a cui appartengono i detti ceppi: ossia del pino cembro che ora è del tutto scomparso, esistendo attualmente un solo rachitico esemplare in tutta la testata della Valle di Gressoney. Eppure nel XVI e nel XVII secolo esso doveva essere ancora piuttosto abbondante ed in grossi esemplari — come anche l’abete rosso del quale pure tuttora si trovano soltanto pochissimi esemplari — perchè nei vecchi stadel (granai e fienili) di quell’epoca, parte dei tronchi sono di pino cembro e della medesima essenza, oppure di abete, sono talora anche le porte, i grossi cassoni per la conservazione delle granaglie, nonchè il pavimento a steppe per la battitura della segala e dell’orzo.

Nell’alta Valtournenche e precisamente all’alpe Cignana (m.  2110) una diecina di anni or sono, durante i lavori di scavo per la costruzione della nota diga di sbarramento, vennero a giorno numerosi e grossi tronchi di conifere di alto fusto. Sebbene in tutta la regione circostante attualmente il bosco risulti scomparso, ad ogni modo — considerato che sull’opposto versante della valle verso Cheneil e Chamois il bosco si spinge tuttora verso i 2200 metri — rimane alquanto dubbio se in questo caso l’abbassamento del limite del bosco sia stato un fenomeno naturale oppure dipendente dall’alpeggio, che in questo bacino ha avuto in passato uno sviluppo piuttosto notevole.

Di un caso alquanto interessante ho avuto notizia dal prof. Valbusa per l’alta valle del Po a monte di Crissolo. Durante alcuni scavi che egli fece eseguire nella soglia del Lago Fiorenza (m. 2110), onde ricercare la roccia in posto sottostante per l’eventuale costruzione di una diga di ritenuta, venne trovato un grande accumulo di secolari tronchi di larice. Il Valbusa ritiene che essi abbiano fatto parte di un bosco che in epoca indeterminata doveva esistere anche sui pendii del versante orientale sino ad un’altezza media di 2300 m. circa e che di lassù siano stati portati in basso nel lago probabilmente da una valanga e non caduti per vetustà, nonostante le loro rispettabili dimensioni.

Attualmente nella Valle del Po propriamente detta il bosco arriva al Pian Melzè (m. 1761) che, come dice il nome stesso, doveva essere un tempo coperto da una gran foresta di larici. Anche nelle regioni circonvicine, come ad esempio nella conca di Oncino, il bosco non supera i 1800 m. (Si tenga all’uopo presente che nelle Alpi Cozie il limite climatico del bosco è molto meno elevato che nelle Alpi Pennine). Questo limite è [p. 7 modifica]indubbiamente più basso di quello naturale, quale comporterebbero le attuali condizioni climatiche. Comunque anche volendo ammettere che, per effetto di vari fattori antropogeografici — soprattutto in dipendenza del disboscamento operatosi all’epoca dell’intenso commercio del sale dalla Provenza in Piemonte — abbia potuto subire un abbassamento di 200 metri e che per conseguenza il limite naturale debba trovarsi verso i 2000 metri, ossia all’altezza del Pian del Re, all’epoca in cui esisteva l’antico bosco del Lago Fiorenza il limite superiore dovette essere di ben 300 metri più elevato.

Già il Venetz (op. cit.) aveva pure elencati alcuni ritrovamenti di tronchi d’alberi al di sopra del limite del bosco. Riporto i casi più importanti: verso il ghiacciaio della Valsorée nella Valle d’Entremont era stato veduto da persone degne di fede, molto al di sopra delle foreste più elevate, un tronco d’albero di straordinaria grandezza. Pure all’alpe di Sanetsch era stato trovato un grosso albero, adoperato poi per legna da ardere, mentre in nessuna parte di detta regione, anche nelle più inaccessibili, crescono degli alberi a quell’altezza. E così ancora nella Valle di Bagnes vennero trovati un tronco di larice ed uno di pino cembro in località differenti al di sopra del limite del bosco di allora. Ricorda per ultimo il Venetz che allorquando fu aperta la strada del Sempione alla sommità del colle vennero disotterrate delle radici di alberi, mentre a quell’altezza non se ne trovano più.

I predetti ritrovamenti citati dal Venetz come quelli ricordati prima da me sono indubbiamente molto importanti perchè rilevati dopo il grande sviluppo glaciale della prima metà del secolo scorso. Per quanto essi non possano spiegarsi se non come conseguenza d’una variazione delle condizioni climatiche, tuttavia non la comprovano in modo diretto. Torna quindi quanto mai di particolare interesse il reperto da me fatto nella scorsa estate, e di cui dirò ora, perchè esso viene a comprovare direttamente l’avvenuta variazione nelle condizioni climatiche.

Negli ultimi giorni del settembre scorso ho trovato adagiato ai margini della fronte del Ghiacciaio Grande di Verra nell’alta Valle d’Ayas, un tronco di conifera lungo poco più di 5 m. ed avente nella parte mediana un diametro di 16 cm.

I due estremi del tronco apparivano rotti accidentalmente, così dicasi pure dei rami in corrispondenza delle rispettive inserzioni al tronco. La superficie di questa risultava quasi ovunque liberata della parte corticale; dove ancora sussisteva essa si presentava abbondantemente impregnata di finissimo limo serpentinoso. Nessun indizio rilevai che facesse presumere che il tronco abbia comunque subìto delle forti compressioni.

Segata una sezione nella parte mediana, il legno si presentava ancora sanissimo, soltanto in qualche punto verso la periferia denotava un [p. 8 modifica]principio di decomposizione, dimodochè dopo una accurata levigatura, tutta la struttura e particolarmente i cerchi dei successivi accrescimenti annuali dell’alburno e del durame apparvero nitidissimi. Questi però, specialmente alla periferia, si fanno talmente minuti e ravvicinati fra di loro da risultare individuabili soltanto con una lente a forte ingrandimento. Ho così potuto conteggiare ben 540 cerchi complessivi di durame e di alburno, regolarmente alternantisi dimodochè il nostro albero avrebbe una età di ben 270 anni.

Io lo ritenni un larice, però per maggiore sicurezza parvemi opportuno richiedere il parere di un botanico e precisamente del prof. Negri, dell’Università di Firenze, il quale gentilmente ebbe a comunicarmi che si trattava di un abete e più propriamente dell’abete rosso = Picea excelsa. Tale determinazione ha notevolmente aumentata l’importanza del reperto soprattutto in rapporto all’altitudine della località in cui venne trovato che è di m. 2250 in cifra tonda.

Ciò premesso si presenta il non facile problema di precisare la sua origine ossia di determinare la probabile località in cui ebbe a crescere. Molteplici ragioni ci permettono di poter escludere in modo sicuro che esso sia venuto a trovarsi là per l’intervento diretto od indiretto dell’uomo, come ho cercato di dimostrare in una mia comunicazione all’Accademia delle Scienze di Torino.

Del resto si può prescindere a priori da ogni possibilità al riguardo per i due seguenti fatti incontestabili: prima di tutto per la grande sproporzione fra il numero dei cerchi corrispondenti agli accrescimenti annuali, rapporto che comprova che la pianta dovette essere cresciuta in una zona molto elevata dove il periodo vegetativo era molto ridotto e per conseguenza ad una altitudine più elevata di quella ove fu trovato e comunque giammai più bassa. In secondo luogo l’impregnazione di limo serpentinoso ci dimostra che il tronco era rimasto per un determinato periodo di tempo, e non certo breve, ricoperto dalla massa glaciale o immerso nel minuto limo glaciale.

Faccio ancora rilevare che a monte della sezione passante per il Lago Bleu e la fronte gli alberi scompaiono completamente: nessun albero è visibile in tutta questa regione superiore, nè sui due versanti, nè sul fondo valle. Del resto nulla esclude che in passato il bosco, anche se rado, abbia potuto sussistere più a monte di detta sezione, tanto sul fondo valle quanto sul versante sinistro: meno probabile invece su quello destro (versante di testata dei banchi serpentinosi) perchè la roccia è tutta fratturata ed in continuo sfacelo. Ma tutto ciò non ha importanza per riguardo al nostro abete, perchè il ghiacciaio (e così anche il punto in cui fu trovato il tronco) si trova sopraelevato rispetto al fondo vallivo già d’una diecina di metri in corrispondenza della fronte, aumentando gradatamente fino a un centinaio di [p. 9 modifica]metri nel bacino superiore di Verra. In conseguenza il tronco non può esser venuto da uno dei due versanti vallivi, tanto meno poi per la ragione che il ghiacciaio si trova chiuso fra le sue alte morene laterali.

Premesso, come si vedrà meglio in seguito, che i ghiacciai a partire dalla metà del XVI secolo non ebbero mai uno sviluppo minore all’attuale, si potrebbe ammettere che il nostro abete, prima di tale epoca, sia cresciuto nella regione ora occupata dal ghiacciaio. In tal caso però il suo punto d’origine avrebbe dovuto essere tra i 2500 ed i 2600 metri, perchè per rimanere nascosto entro la massa glaciale poco più di 3 secoli, ricomparendo solo ora, avrebbe dovuto percorrere circa km. 2,5, dato che la velocità di discesa della massa glaciale sia stata di 80 metri all’anno come ho misurato al ghiacciaio del Lys (m. 2500:80 = 301 anni).

Ma questa eventualità dev’essere pure scartata perchè il tronco si presenta intatto, nè dimostra di aver subìta qualsiasi forte compressione, il che certamente si sarebbe verificato qualora avesse dovuto compiere un così lungo tragitto immerso nella massa glaciale per la durata di 3 secoli.

Non rimane quindi altra possibilità che quella di ammettere che esso sia cresciuto poco a monte dell’attuale fronte e ben inteso, dopo esser stato abbattuto dal ghiacciaio sopravanzante, e che non sia rimasto inglobato nella massa di questo, perchè in tal caso, data la velocità di discesa di quella, sarebbe stato rigettato già da qualche secolo, ma bensì entro il minuto detrito della morena di fondo, dove è rimasto per tanti secoli e donde solo ora è ricomparso alla luce per l’enorme ritiro di questi ultimi anni.

Al riguardo si potrebbe obiettare che per effetto dell’erosione glaciale il tronco avrebbe dovuto venire fortemente frantumato e comunque riportato a giorno già da molto tempo. La natura litologica, ma soprattutto le condizioni orografiche del bacino dimostrano che la mia ipotesi è pienamente fondata.

Premetto, lasciando da parte tutte le concezioni unilaterali dei fautori e degli oppositori intransigenti dell’erosione glaciale, che questa si esplica quasi esclusivamente in corrispondenza alla base delle rotture di pendenza dell’alveo, come del resto ammette il Rovereto nel suo classico trattato di Geomorfologia. Essa può invece essere quasi nulla nelle parti pianeggianti e debolmente inclinate soprattutto se il tragitto è molto lungo.

Dalla displuviale Breithorn-Schwarzthor fino al Pian di Verra (m. 2047) l’unica rottura di pendenza è data dal gradino sottoglaciale che dal Schwarzthor corre diagonalmente alla Gobba di Rollin. Già la parte a monte di detta sezione, non offre eccessive pendenze, ma è particolarmente quella a valle della medesima che si presenta a lievissima pendenza. La sua uniformità è tale da determinare per oltre 4 km. la principale caratteristica di questa enorme fiumana glaciale. Ne consegue che l’erosione dell’alveo sottoglaciale per opera del ghiacciaio dev’essere molto lieve per non dire [p. 10 modifica]nulla. Anzi aggiungerò che particolarmente a valle de La Brunecca il fondo sottoglaciale anzichè approfondirsi per erosione va lentamente innalzandosi per il sovraccumularsi del materiale morenico di fondo. Ed è appunto in grazia di questo fatto che la massa glaciale specialmente a valle della fronte del ghiacciaio Piccolo di Verra, risulta sopraelevata rispetto alla doccia valliva.

Anche nei periodi di più attivo progresso i materiali morenici trasportati dalla massa glaciale, e che comunque cadono dai bordi interni o attraverso i crepacci sul fondo, non vengono che debolmente sospinti in avanti, anzi piuttosto scavalcati dalla massa glaciale. Ciò si è potuto verificare molto bene presso la fronte all’epoca dell’ultimo periodo di progresso del 1920.

Infatti ora che la massa glaciale se ritirata di qualche centinaio di metri a monte, tutta la regione interna già occupata dal ghiacciaio si presenta convessa anzichè concava come per il ghiacciaio del Lys, appunto perchè il ghiacciaio ha lasciato in posto scavalcandoli tutti i materiali morenici trasportati sulla sua superficie.

Lo stato attuale di tutta la regione valliva fino ai pressi del Piano di Verra ci conferma che anche in passato si dovette verificare un uguale esagerato accumulo del detrito morenico. I limiti estremi dei massimi di sviluppo del principio del XVII secolo e del XIX secolo non ci sono infatti rilevati da regolari archi morenici frontali come in genere per gli altri ghiacciai, ma soltanto da una enorme dorsale a gradinata rilevata nel mezzo, nel senso longitudinale e degradante verso i due bordi.

La particolare natura litologica dell’intero bacino scavato nei serpentini e serpentinosisti estremamente fratturabili e talora spappolabili, facilita in pari tempo questo enorme accumularsi in sito del materiale morenico. Tenuto conto di tutto ciò ci si rende facilmente ragione del perchè il tronco di abete non sia stato trasportato a valle dal ghiacciaio durante i precedenti periodi di progresso venendo invece soltanto ora alla luce coll’eccessivo regresso di questi ultimi anni. Cresciuto poco a monte della regione frontale del ghiacciaio attuale, allorchè questo dovette avere uno sviluppo alquanto inferiore a quello di oggidì, in seguito al progresso della fine del XVI secolo o del principio del XVII, venne abbattuto ed inglobato entro la massa detritica di fondo. Ed è rimasto pressapoco dove era cresciuto o tutt’al più sarà stato trasportato verso valle di qualche diecina di metri inglobato nel materiale morenico di fondo, che il ghiacciaio nel suo sopravanzare ha scavalcato nè più rimosso di molto.

Considerato che il tronco da me trovato è un abete — ossia d’una conifera, caratteristica d’un clima caldo-umido, che notoriamente alligna di preferenza all’ombra di altre piante ed il cui limite altimetrico attualmente, per quanto ho sempre osservato, è più basso del larice e del pino cembro — è da presumersi che tutta la regione frontale fosse un vero bosco più o meno [p. 11 modifica]fitto ed il cui limite superiore doveva trovarsi molto al di sopra dell’attuale fronte glaciale. Molte piante coll’avanzarsi della massa glaciale saranno state trasportate a valle, altre inglobate entro l’enorme ammasso morenico nel quale si troveranno tutt’ora.

Dell’esistenza di questo antico bosco abbiamo una prova diretta in quei numerosi larici, ormai morti, che tutt’ora si vedono sporgere fuori in mezzo alle acque del Lago Bleu sul fianco destro. La loro posizione mette fuori di dubbio che essi crebbero allorchè il lago non esisteva ancora. L’origine di questo è relativamente recente e collegata ad una dei grandi progressi glaciali dei secoli scorsi.

Il ghiacciaio che all’epoca dei suoi massimi sviluppi del XVII e XIX secolo, aveva spinta la fronte fino al ponte del Pian di Verra, deve aver avuta una notevole potenza allargandosi enormemente all’altezza dell’attuale lago verso occidente, fino a raggiungere e risalire di alcune diecine di metri il fianco vallivo. Per effetto di questo allargamento del ghiacciaio anche la relativa morena di destra subì una brusca svolta ostruendo il regolare deflusso delle acque di scolo del versante vallivo e di quelle filtranti attraverso la morena e determinando per conseguenza la formazione dell’attuale tipico lago di sbarramento morenico. Il grande arco morenico che racchiude a valle e ad oriente il lago contro il fianco vallivo ha un aspetto molto fresco, il che potrebbe far credere senz’altro che esso corrisponda al massimo sviluppo del 1820. Nulla esclude che detto materiale sia soltanto superficiale e che ricopra la preesistente morena del massimo sviluppo del principio del 1600, come ad esempio si osserva molto bene per la grande morena di Salzen al ghiacciaio del Lys in Val di Gressoney. E per conseguenza è probabile che anche la formazione del lago dati da quell’epoca.

Esaminate così sotto i suoi varii aspetti il problema connesso al tronco di abete da me trovato, possiamo senz’altro venire alle conclusioni che da esso si possono trarre e che sono di notevole importanza. Poichè, come ci sembra di aver ampiamente comprovato, il detto tronco è cresciuto pressapoco nella regione ora occupata dall’attuale lingua glaciale, bisogna logicamente venire alla conclusione che in quell’epoca i ghiacciai delle Alpi abbiano avuto uno sviluppo sensibilmente inferiore all’attuale e che per conseguenza anche il limite superiore del bosco fosse più elevato rispetto al presente non meno di 300 metri. Questa cifra deve considerarsi come un minimo assoluto, poichè, non potendosi stabilire nemmeno una cifra approssimativa, nulla esclude che il limite climatico del bosco possa anche essere stato più elevato del doppio.

E siccome risulta in base ai cerchi di crescita annuale che il periodo vegetativo della pianta è stato di poco inferiore ai 300 anni e tenuto conto che qualche diecina di anni saranno pur trascorsi prima che il terreno si presentasse in condizioni biologiche adatte per l’attecchimento dell’abete si [p. 12 modifica]deve dedurre che il periodo corrispondente alla riduzione delle masse glaciali ebbe una portata ben diversa dalle comuni oscillazioni essendo stato di una durata di parecchi secoli. In conseguenza si dovettero avere delle condizioni climatiche un po’ diverse, venendo a confermare le conclusioni alle quali eravamo pervenuti a proposito degli antichi ceppi trovati in zone poste al di sopra dell’attuale limite superiore del bosco.


Non è la prima volta che presso le fronti glaciali vengono trovati dei legni. Già fin dal 1901 il Correvon trovò al ghiacciaio di Aletsch i resti di una foresta di larice. Dice il Correvon: «Nous venons de découvrir sur les confins du glaciers d’Aletsch et sur les deux rives de ce glacier, dans sa partie terminale les vestiges d’une belle forêt de mélèzes...» [35].

Al riguardo torna quanto mai interessante l’osservazione fatta da E. Eugster di Briga alla fronte del medesimo ghiacciaio e comunicata al dott. E. Hess [49]: «Am Aletschgletscher traten beispielsweise an Stellen, die 1920 noch mit Eis bedeckt waren, Lärchenstöcke hervor, die in der Erde verwurzelt sind, also vom Gletscher nur oberflächlich abgerieben, nicht aber entwurzelt wurden».

Pure alla fronte del ghiacciaio di Findelen nella valle di Zermatt durante le consuete misure di controllo delle oscillazioni, vennero trovati fin dal 1931 dei legni rigettati dal ghiacciaio. Altri esemplari furono ancora trovati in tutti gli anni successivi. Trattasi in prevalenza di resti di pino cembro con una piccola percentuale di campioni di larice. Tali ritrovamenti furono oggetto di un accurato studio critico del Dr. E. Hess comparso su «Die Alpen» (op. cit.). A differenza del tronco trovato da me al ghiacciaio di Verra, i legni del ghiacciaio di Findelen presentano delle deformazioni dimostrando di aver subìto delle forti compressioni durante la loro permanenza nell’interno della massa glaciale. In base alle indagini eseguite sull’intera regione, l’Hess viene alla conclusione che in passato il limite superiore del bosco doveva realmente essere di circa 200 metri più elevato del presente. Aggiunge però che «Das Verschwinden dieser Wälder ist auf menschliche Einflusse zuruck-zuführen».

Non escludo che per certi versanti e per il bosco di Findelen in particolare si sia potuto verificare un abbassamento per ragioni antropo-geografiche, però il fattore umano non ha avuto alcun rapporto col tronco di abete da me trovato al ghiacciaio di Verra il cui abbattimento è stato provocato unicamente da un maggior sviluppo della massa glaciale.

Come già si è detto e meglio si vedrà in seguito i maggiori progressi glaciali dei quali si ha notizia in epoca storica sono quelli che si sono succeduti dal principio del XVII secolo alla metà del secolo scorso. La grande espansione delle masse glaciali in questo lungo periodo fu necessariamente provocata da un sensibile peggioramento nelle condizioni climatiche, [p. 13 modifica]peggioramento che contemporaneamente ebbe pure a determinare l’abbassamento del limite superiore del bosco come ben comprovano i resti di alberi trovati qua e là sulla catena alpina in zone più elevate dell’attuale limite superiore.

Per quanto questo abbassamento si sia svolto lentamente, ciò nondimeno esso non era neppure sfuggito all’osservazione dei nostri montanari. Infatti da una relazione del 1783 di Vignet des Etoles sulle condizioni delle foreste nella valle d’Aosta apprendiamo che «dans quelques localités, comme Cogne, La Sale, Courmayeur, on s’etonne de ce que les bois ne repoussent plus sur les sommités mème après un siècle. On attribue cela à l’augmentation des glaciers...» [93] Questa testimonianza ha tanto maggior valore essendo stata fatta verso la fine del XVIII secolo e quindi in epoca anteriore ai grandi massimi del 1820 e del 1855.

Se il limite superiore del bosco di conifere ha subìto un abbassamento per il peggioramento nelle condizioni del clima è verosimile che si sia pure verificato un abbassamento o comunque una variazione di altre determinate specie vegetali molto sensibili alle influenze climatiche. Nel mio citato studio sulla valle di Challant [62] avevo già fatto rilevare come il ciliegio, il noce e la vite si spingessero un tempo molto più in alto. Così ceppai di viti vennero trovati a S. Valentino (circa 1300 m.) sotto Brusson durante i lavori della costruzione della strada carrozzabile. Radici di viti sono venuti inoltre alla luce anche in questi ultimi anni nel dissodare alcuni terreni di Curien a m. 1250 mentre attualmente il limite superiore della vite nella valle di Challant non supera gli 800 metri.

Il Peola nel suo studio sulla coltivazione dell’olivo in valle d’Aosta [69] ricorda che da documenti storici risulta che in tempi anteriori ai nostri, l’olivo fu coltivato in questa valle ed ha fruttificato, mentre attualmente non può essere coltivato se non come albero di ornamento.

Del resto già il Venetz (op. cit.) oltre un secolo fa ebbe a rilevare che nel Vallese il ciliegio subì un notevole abbassamento. Detto autore ha ancora ricordato molte altre località del Vallese poste molto al di sopra del limite normale della vite e del noce, dove al principio del secolo scorso non davano frutti nemmeno i ciliegi, mentre molte vestigie e testimonianze comprovavano che in passato esistevano dei vigneti e dei noceti. Così presso Taerbel nella Valle di Viège, una proprietà detta Zur Stapfen doveva annualmente alla chiesa principale di Viège una certa quantità di olio di noce proveniente da detta proprietà, dove all’epoca del Venetz (1821) esisteva soltanto uno striminzito ciliegio.

I vari elementi portati a conforto d’un abbassamento del limite superiore della vita vegetativa sono talmente tanti e per di più così concordanti fra di loro che mi sembra fuor di luogo il mettere in dubbio la reale esistenza d’un periodo a clima più mite nei secoli che precedettero il grande sviluppo delle masse glaciali iniziatosi verso la metà del XVI secolo.