Dialogo secondo Errata
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Dialogo terzo.


Ritornati il seguente giorno all’hora solita, nel solito luogo, senza molte ceremonie, ne molte cose da dire, ci posemo à sedere: Et ciascuno aspettando che’l cavallier Prospero desse principio al suo ragionamento, così prese à dire.

P.
Nella conclusione vostra di hieri Messer Claudio, ci sarebbe assai che disputare, ma perche il tempo è breve & noioso per il caldo grande, che assai più hoggi di quello che fu hieri & l’altro, voglio che lasciamo le dispute; & seguitiamo l’ordine cominciato, per fine il nostro cavallarizzo. Al quale non volete voi aggiungere altro, per metterlo vivo vivo, in carne & ossa, bello vestito, la su nel cielo empireo fra i beati?
C.
Voi cavallier Prospero burlate, et io vi dico da vero (per farmi ancora meglio intendere) che il cavallarizzo che haverà le parti che non havemo racconti; havrà ancora tutte le tre cose, le quali si possono havere, & si desiderano in questo mondo comunemente; oltra le quali il nostro desiderio non trapassa.
P.
Et quali sono queste tre cose? ch’io per me ne desidero più di quaranta cinque; et pareriami bona cosa si risolvessero tutte, in tre sole.
C.
Tutto quello che pò arrichire, desiderare, & felicitar l’homo in questa vita, cade nell’utile, nel diletto, & nell’honore.
P.
Piano di gratia, & l’honesto dove lo lasciate voi?
C.
A voi lo lascio honestissimo Messer Prospero, che honestamente vivendo studiate Panetio in Marco Tullio de gl’offitij; ma utile è quello (al parer mio) che anco è honesto; fuor del quale non giudico che sia utile vero. Hor se il nostro cavallarizzo havrà quest’utile, non havrà egli ancora una gran parte del gioco guadagnata? che quest’utile habbi già, vi si è provato di sopra nel Proemio del primo libro; & vi si è detto che quest’arte dignitissima che fa un vero cavallarizzo, reca utile quanto à i beni di Fortuna; di che ve ne furono dati essempi antichi & moderni; & parmi di voi ancora. Quanto à beni del corpo dimostrassemo quanto fosse giovevole, confermando ciò con ragioni & auttorità. Et quant’utile rechi all’animo vi fu esposto. Perche non accade hora, ch’io m’affatichi in provar cosa si manifesta; et che da me fu provata prima.
P.
Fermatevi che quà vi voglio, che utile ha [p. 128r modifica]fatto à voi? il quale noi veggiamo pur sempre povero; & del quale si potrebbe ben dire quel verso, Povera & nuda vai filosofia; & veggiam anco deboluccio, & spesso infermo.
C.
Al verso che appropriatamente dite per me, rispondo, che ben ne l’attacca il Petrarca da parte mia, quando sottogiunge, Dice la turba al vil guadagno intenta. Per che se ben pare à gl’occhi vostri, & di molt’altri ch’io sia povero de i beni di Fortuna, non è però ch’io non habbi, & ch’io non habbi sempre havuto tutto quello che al viver humano et moderato s’apartiene. Et questo non con altr’arte ho aquistato sempre che con questa, che voi vedete del cavalcare. Ma forse ancora io sono più ricco assai di quello che vi pensate voi; & più di voi, & di molt’altri cavallarizzi grandi pieni di robba: perche io mi contento di quel poco ch’io ho, & mi guadagno con le mie fatiche; & lo dispenso (credo) come si conviene; che voi altri divitiosi forse non state saldi col desiderio in quello ch’avete; ma à guisa di vani uccelletti saltate di frasca in frasca, & più oltra desiderate sempre; per il che non satij mai, sempre si pò dire che vi moriate di fame; & essendo nelle acque delle richezze infin’al mento, à guisa di Tantalo, vi moriate di sete; & siate nudi se ben coperti di ricchi vestimenti; & per questo vi si conviene assai leggiadramente quel detto, che alli avari riconi si suol dire, per rassimigliarsi al rospo, che alli avari così manca quello che hanno come quello che non hanno. Circa poi al mio essere debile di corpo, & infermaccio, già nel luogo allegato dissi, che dalli studi era causato questo; & che per li studi havendo lasciato l’aggitar de’ cavalli, m’havea guasto la complessione; dove riasumendo queste tali aggitationi, me la sono se non in tutto, in bona parte racconcia. La onde se ben sono alquanto debile, & sogetto ad alcune infermità, & m’infermo spesso, non è cagion quest’arte utilissima; la quale consumando gli humori cattivi, & allegrando l’homo, & acuendo i sentimenti, non pò cagionar ne debilità, ne infermità; ma la causa di questo viene in me da quella prima causa ch’io vi ho detta degli studi: la quale non si havendo potuto gia mai del tutto lograre ha lasciato ancora alcuni residui nel corpo mio, che lo rendono debile; & alle volte et spesso infermo. Si che non viene dal cavalcare nessuna di queste cose; come voi forse credete.
P.
Tutto questo c’havete risposto non conclude altro, se non dell’utile che vi ha fatto & quanto à beni di fortuna, & quanto à quelli del corpo: ma ditemi per cortesia, che utile sentite voi nell’animo per quest’arte?
C.
Grandissimo veramente perche me ne sento (com’ho detto, alleggerire, & acuire) i sensi, li quali così divengono dal ben stare del corpo, & da questi poscia veggio che l’intelletto parte principalissima dell’anima, intende, & contempla meglio; così il giuditio fa l’offitio suo del giudicare, & la memoria del conservare; non vi parlo della volontà, perche quando à questa è proposta alcuna cosa dall’intelletto come buona, non pò fare che accettarla; essendo oggetto proprio della volontà il bene apparente, overo [p. 128v modifica]essistente & vero. Ma volete voi vedere ancora meglio di quant’utile mi sia stato, & sia quest’arte eccellentissima? mirate che mentre ch’io non l’ho essercitata non solo i studi, alli quali allhora dava opera, ma etiandio gl’altri essercitij ancor che piacevoli mi facevano danno evidente; per il che non potei, ne seppi già mai comporre (à modo di dire) quattro parole insieme; dove hora dall’essercitio continuo di quest’arte, ritirandomi (come à diporto) alli studi, & da questi poscia continuando à quella, son venuto à tanto, che pur (merce di Dio) ho fatto la fatica che voi vedere di haver composto quest’opera; comunque ella si sia, la quale (essendo parto dell’intelletto) non pò fare che l’animo mio non se ne allegri, & godi. P. Havete ragione in effetto di allegrarvene, che in vero anco i corbi si allegrano de i suoi corbicelli, & le Simie dei soi simiotti, & massime perche l’havete portata in corpo quattr’anni, à quel ch’io ho inteso, prima che l’habbiate partorita; et in questo sete stato più valente assai de gl’Elefanti, che porteno in corpo dieci anni, & di poi partoriscano. C. Havreste detto meglio due; ma sapete che differenza è da essi à me? che loro partoriscano una sol volta in vita: & io spero di partorirne dell’altre; che di già mi sento pregno. P. L’intermedio del burlare del nostro ragionamento in questi caldi fa certo che noi passiamo più leggiermente, & con men noia ma seguitate pur ne gl’utili che vi reca l’arte del cavalcare, se pur ci havete altro che dire. C. Un’altro giovamento maggiore assai ancora all’anima mi porge; & è questo, che conoscend’io veramente di saper nulla, & che ogni cosa procede di sopra dal Padre vero della verità, & de i lumi, son costretto et nel secreto del cor mio, et nel publico appresso à ciascuno, rendernegli gratie immortali; confessando che veramente nell’agitar cavalli io del tutto mancarei, ne saprei ciò che mi fa fare se la mano del suo favore non favorisse questa mia; & se la virtù della sua gratia non mi donasse modo di sapermi governare & non solo in quest’arte, ma in ogn’altra mia attione. Deh come falliscano & come s’ingannano quelli li quali altramente pensano. Da qui vien poi che havendo sì salda & costante opinione, & cognitione di me medesimo, mi humilio insino in terra, & mi pare veramente di non saper ne cavalcare ne altro, & per questo non mi reputo, ne mi estoglio, anzi mi avilisco con ciascun professor di quest’arte: parendomi certo che ciascun d’essi se sappi assai, & io poco ò niente. Da qui vien anco, che prima ch’io cavalchi chiamo Iddio in mio favore, & con ginocchi in terra gli confesso l’ingnorantia, & impotentia mia grande. Et mill’altri beni da qui procedono, che vengono nell’animo. Non vi par dunque che senza specular nella natura del cavallo, l’anima da quest’arte ne cavi ottima Filosofia, & giovamento? Et che senza le tante ragioni ch’io addussi nel primo libro, nel capitolo dell’honore & ornamento che il cavallo da all’huomo, queste ch’io hora vi ho racconte sieno bastanti? P. Non passiamo più oltra di gratia, che già intendo quel che voi anco più oltra vorreste [p. 129r modifica]dire circa tal’utile. Intendo ancora per concomitantia del diletto che reca quest’arte; & di sopra nel primo libro ne ragionaste assai bastevolmente; così dell’honore, & ornamento, c’havete detto. Ma circa l’essere del vostro cavallarizzo, & l’officio suo, diteci in cortesia come si ha à governare; che ispediti di questo, vi dò la sententia in favore; & ne girete à riposare. C. Circa l’officio, & essere suo, oltra quello che di sopra dissemo, sarei di parere che fosse maritato. P. Hor questo sì che è da ridere; che ha egli à fare la luna con i gambari, & l’essere maritato ò no col cavallerizzo? Voi dite alcuna volta le gran cose. Non vediam noi quasi in tutti i boni cavallarizzi il contrario? Anzi per me io sarei di parere tutto diverso. Eh. C. Lasciatemi dire, & non m’interrompete, vi dico che ben dimostrate di non haver à mente, ch’io vò dipingendovi le parti che un perfetto cavallarizzo devrebbe havere; & sianosi mò di quelli senza moglie, come voi sete, & altri infiniti, ch’io non niego che in quest’arte non siate consumatissimi; nondimeno il mio cavallarizzo voglio che sia maritato, per fuggire molti inconvenienti, che dal non essere maritato seguitano; & non sì vi sto à dire, che in troppo tempo si consumarebbe il nostro disputare, basta che li considerate mò da per voi; sì come ancora credo che parte ne isperimentate in fatto. Brutta cosa è veramente che un giovine governi cavallarizza d’importanza, over che è molto peggio un maritato, il qual bene spesso sarà costretto far cose, per questo, che forse à cavallier christiano non stanno bene. Ligurgo legislatore principalissimo tra Greci, havendo riguardo à questo, & à molt’altre cose, commandò che i capitani di cavalleria & delli esserciti, & i sacerdoti ancora fussero maritati. Et i Romani voleano che questi cinque ufficij, cio è Dittatore, Pretore, Censore, Questore, & Maestro di cavallieri fussero ad ogni modo maritati; tenendo per fermo (come creder si deve) che l’homo che non ha moglie, ne figlioli in casa, poca auttorità possi havere nel governo d’importanza. Et in vero gran riputatione reca all’homo l’haver moglie. I Romani antichi medesimamente non permettevano che i giovini senza moglie, sedessero ne i tempi, ma insieme con i vedovi oravano inginocchiati; essendo lecito solo à maritati orare ascesi, over appoggiati. Ma per esser noi hora nella legge di Christo, vi dico che se bene (da un gran tempo in qua) le leggi della nostra santa catholica, & universale Chiesa hanno prohibito, & vietato, & vietano & prohibiscono santissimamente à persone clericali di maritarsi, non è però che nella primitiva Chiesa non fosse permesso à ciascuno indiferentemente; ma di questo sia detto assai, veniamo al resto. Vorrei che fosse ancora bel parlatore; perche un muto ancora che cavalchi bene, non dev’essere ne cavallarizzo, ne altro, in corte del Prencipe; per che la lingua si move per i concetti dell’anima; & colui che non ha lingua, non ha anima, & chi non ha anima, egli è una bestia, & chi è bestia se vi pare che debbia conversare tra cavallieri, & homini di credito, & non più tosto andare [p. 129v modifica]à vivere nelle montagne là tra le bestie, giudicate mò voi. Gran dono è non esser muto, maggiore parlare come gl’homini, et senza comparatione è assai maggiore parlare come gli eloquenti. Gran lode acquistò Filone architetto per l’architettura sua in Athene, ma molto più per havere reso ragione facondamente nel theatro dell’institutione sua; & più dal savio popolo fu attribuito di lode all’eloquentia sua che alla sua arte. Per il che non dubito punto che ciascuno nell’arte sua non solamente dev’essere bono artefice, ma ottimo disputatore. Platone si rise di colui che così assignatamente & bene faceva girare intorno i cavalli & per non altro, che per non saperne poi ottimamente disputare. Ma sopra tutto, non vorrei che fusse lusinghiere, ne adulatore: per che così essendo si assimigliarebbe al pesce Polipo, & al Camaleonte; li quali variano il suo colore; così egli mutando le parole col gesto alla volontà dell’auditore. Et quanto questo abominevole vitio sia hoggidì cresciuto nelle corti di Prencipi, non è di mestieri ch’io dimori in dimostrarvi. Dev’essere il nostro cavallarizzo molto svegliato, & sentito, & massime in servire il suo Prencipe, & in conoscere la sua volontà sì nell’aggitar de cavalli, come in ogn’altra cosa; & secondo quella andarsi accomodando. Ma non crediate però per questo, che mi piaccia che il cavallarizzo facci cosa, che sia men che honesta e giusta; ne ch’io vogli che stia sempre cacciato in camera del suo Signore, ch’io non voglio: perche con l’una cosa si levarebbe dal dritto sentiere, nel quale è sempre obligato caminare; & con l’altra uscirebbe dall’officio che tiene; il quale non richiede che corteggi tanto in camera; ma sì bene richiede che spesso riveda la cavallarizza, aggiti i’ cavalli, & massime quelli che più giudica opportuni per la persona del Prencipe. Bastarà ben à lui farsi vedere alcuna volta il giorno dal suo Signore, & massime la sera; acciocche se gl’ha à ordinare alcuna cosa per il dì seguente, gli la possi commodamente ordinare; & egli con ogni diligentia essequirla. Devesi trovare sempre al cavalcare del Prencipe presente, & sforzarsi di mai metterlo à cavallo se prima non ha riveduto di tutto punto il cavallo, et ogni cosa; & cavalcato prima anc’esso il medesimo cavallo.
P.
Voi volete che questo vostro cavallarizzo dormi poco così à vedere, da che l’obligate ad essere sì risvegliato; se così volete insegnargli a tener una palla d’argento in mano, attaccata al braccio, come dicono che faceva Alessandro magno, et il braccio fuor dal letto quando dorme, con un bacil di rame sotto, accioche cascandoli quella palla di mano facci rumore nel bacile, & lo discedi.
C.
Voi siete ancora sulle burle, se così farete non la finiremo ancora prima di due hore.
P.
Hor seguitate dunque & finianla presto, ch’io imprometto di non più interrompervi.
C.
Molt’altre cose si potrebbeno dire pertinenti tutte all’ottimo Cavallarizzo, et di ciascuna parlare minutamente, ma lascio il campo ad altri, ch’io non voglio più prolungarmi, sol dico finalmente che il Cavallarizzo dev’essere affabile, & comandare nella cavallarizza con amore, & piacevolezza, per ciò che colui [p. 130r modifica]che comanda con superbia, & con minacce vuol’esser ubbidito, non pò mai essere amato, ne servito come si deve, ne vivere senza sospetto. Io per me so considerare per che alcuni vogliono più tosto essere serviti con timore che con amore; sapendosi che Iddio vuol l’amore dell’homo, & non il tremore; & che i rei & cattivi servi odiano il peccare per paura della pena, & i boni per amore della virtù. Ne darò migliore essempio in questo al cavallarizzo, che il cercare di rasomigliarsi à Dio; percioche sì come vorrebbe che Iddio fusse verso di lui benigno & cortese, così egli dev’esser verso di coloro che gli sono sottoposti. Comandarà adunque il cavallarizzo al Mastro di stalla, à cavalcatori, à garzoni, à marescalchi, à morsari, & sellari, che tutti questi sono ordinati sotto al suo governo, con quella modestia & dolcezza di parole, che vorreb’egli che ’l suo Signore comandasse à lui. Et nel suo essercitio, & officio sarà diligentissimo; verdadero, & di poche parole; & massime col suo Prencipe; ricordandosi che la loquacità, & il lungo parlare dispiace à ciascuno non che à grandi; & che essendo lungo nel parlare gli potrebbe incontrare quel che ad un fastidioso avenne nel dire, il quale discorrendo non so che con il patrone assai più lungamente di quello che la cosa in se non comportava, & ascoltato fin al fine, in risposta gli fu detto; Il principio delle tue parole mi ho dimenticato, il mezzo non intesi, & il fine mi dispiace. Potrebbe anco avvenirgli quello che ad un cuoco molto loquace intervenne, il qual fu ripreso dal patrone con questo detto, ho io tolto à pigione le tue mani, & non la lingua. Deve poi il cavallarizzo ben conoscere se medesimo, & regolarsi secondo la conditione che tiene, & quanto più cresce ne gl’anni, & in favore tanto più deve guardarsi da vitij; & spetialmente se sarà vecchio. Che così come il vecchio è tenuto di ragione essere uno specchio à gl’altri, così all’incontro diviene un morbo quando sia vitioso. Et così come per legge fu, & giustamente, ordinato da Ligurgo, che quando i giovini passavano presso i vecchi fossero obligati riverirgli; & che dove loro parlavano devessero tacere i giovini; & che se un vecchio fosse caduto in povertà fosse dell’Errario publico sovenuto, & non solo di tanto che potesse sostentare la vita, ma agiatamente ancora viverci; così per il contrario gli furono anco ordinate le pene se erano tristi; & mal essemplari. Porta seco veramente la vecchiezza honore & senno; & però i vecchi deveno sempre essere rispettati; & in questo i giovini si devrebbero ricordare di quel detto, che sempre è da essere riverita la senetù. Et in somma studiasi di conversare tra boni, & tra gentilhomini più che puote; fuggendo come peste la conversatione de’ cattivi, & singolarmente fugga da quella de bilingui; & pigli essempio in questo dal Satiro, che ito per scaldarsi in casa del povero contadino, per che vidde che faceva due contrari effetti col fiato, se ne fuggì, non curandosi di patir freddo. Et mandi alla memoria che Pitagora non per altro vietò le rondine stantiare in casa, che per il lor garire, & adulare. Insegni la sua virtù [p. 130v modifica]à gl’altri verdadera & sinceramente, con gran diligentia & discretione; fuggendo com’io ho più volte detto, le affettationi, & il gridare insegnando, & massime fugga del tutto le biasteme & le parole men che honeste; le quali sogliono essere pecoliarissime hoggidì a quasi infiniti cavallarizzi nell’amaestrare i giovini in quest’arte. Et consideri che se le parole dishoneste corrompono i boni costumi, & le biasteme fanno adirar con esso noi Iddio, quanto più lo faranno i fatti cattivi. Però Ornisi del suo santo timore et amore. Che così farà ogni cosa bene, & da cavalliero Christiano honorato; & gli riusciranno le sue cose felicemente, sì come felice sarà lui; & felice si potrà dire il Prencipe à cui servirà cavallarizzo tale.

IL FINE.