Il cappello del prete/Parte seconda/VII

VII. - Non si fa luogo a procedere

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VII.


Non si fa luogo a procedere.


L’egregio cavaliere Martellini era veramente imbarazzato a trovare il bandolo del suo processo. Dopo che le varie testimonianze e la contraddizione stessa dei fatti avevano dimostrata l’innocenza di Giorgio della Falda e la esistenza di un secondo cappello, che veniva in certa qual guisa ad escludere il primo, non rimaneva che un’ombra irreperibile, quella del famoso cacciatore, che molti avevano veduto, è vero, ma che era sfumato in aria come uno spirito.

Il bravo e solerte funzionario si trovava dunque in mano un processo ipotetico, con un morto non constatato, e un assassino «volatilizzato».

Un giorno disse ridendo anche a don Ciccio:

— Caro don Ciccio, io lodo il vostro zelo, ma auguro che le vostre specifiche e i denari dei [p. 243 modifica]vostri clienti sieno meno ideali dei vostri processi. Io tenterò ancora qualche ricerca, ma non posso tenere in prigione un poveraccio colpevole d’aver dato da bere a un cacciatore.

— Ma questo cacciatore esiste.

— Se esiste, ditemi dove si trova, di grazia.

— E prete Cirillo che non si è fatto più vivo?

— Non basta, bisogna dimostrare ch’egli è morto.

— E il cappello trovato nei dintorni di Santafusca con delle ammaccature, con traccie di calce e di mattoni?

— Cose da nulla. Il cappello fu trovato dal vecchio Salvatore, portato in casa, preso da don Antonio, mandato al cappellaio.... Voi vedete che pochi ragionamenti di avvocati vanno tanto diritti come questo cappello.

— Quale interesse aveva il cacciatore a presentarsi a nome di don Antonio?...

— E dalli col cacciatore.... Questa è l’araba fenice:

                              Che ci sia ciascun lo dice.
                              Dove sia nessun lo sa.

Io direi di cercare prima il morto, se è morto: e poi cercheremo il vivo, se è necessario. Per un eccesso di zelo sentirò domattina sua eccellenza il barone di Santafusca, col quale ho già parlato alle corse, e che mi ha promesso qualche schiarimento di luogo, e qualche notizia intorno a Salvatore suo castaldo. Ma è proprio per andare fino [p. 244 modifica]in fine. E quest’oggi lascerò in libertà l’imputato e i testimoni.

A don Ciccio non parea vero che tutto il gran processo così stupendamente architettato dalla sua istruttoria in casa di Filippino, dovesse finire come una bolla di sapone.

Secondo lui le cose erano state condotte pessimamente, col solito sistema bislacco delle procedure nostre, con troppo intervento di giornalisti, con troppo pettegolezzo, dando tempo al vero colpevole (ed egli sentiva che c’era un colpevole) di mettersi in salvo e di deludere le ricerche della polizia.

Fu nella direzione del «Popolo Cattolico» che egli sfogò la sua bile:

— Sempre la solita insipienza! e non vedono che se il delitto era probabile con un cappello in mano, è doppiamente probabile ora che se ne hanno due. E quella sacca di cuoio non grida vendetta in cielo? e non abbiamo due contadini, tre muratori, un casellante e un oste che dicono d’aver veduto un cacciatore il giorno tale, l’ora tale? ebbene no, questi non sono segnali eloquenti, e, perchè si tratta di un povero prete, non si pensa nemmeno che valga la pena di vedere se è vivo o morto.... Ma se Dio mi dà vita e lena, scriverò io un opuscolo sulle «Magagne della nostra procedura». Ci vuol altro che parlare di delinquenti nati, di forza irresistibile, di lipemania, di pazzia ragionante, di scuola positiva e scuola classica; ciarle! bisogna che i [p. 245 modifica]bricconi siano pigliati e che lo spavento del malvagio sia conciliato colla sicurezza dell’innocente. Ecco quel che bisogna a questi liberaloni del codice penale, pei quali Romagnosi, se vivesse, non sarebbe che un cretino ragionante.

Don Ciccio questa volta era più ispido del suo cilindro bianco.