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in fine. E quest’oggi lascerò in libertà l’imputato e i testimoni.
A don Ciccio non parea vero che tutto il gran processo così stupendamente architettato dalla sua istruttoria in casa di Filippino, dovesse finire come una bolla di sapone.
Secondo lui le cose erano state condotte pessimamente, col solito sistema bislacco delle procedure nostre, con troppo intervento di giornalisti, con troppo pettegolezzo, dando tempo al vero colpevole (ed egli sentiva che c’era un colpevole) di mettersi in salvo e di deludere le ricerche della polizia.
Fu nella direzione del «Popolo Cattolico» che egli sfogò la sua bile:
— Sempre la solita insipienza! e non vedono che se il delitto era probabile con un cappello in mano, è doppiamente probabile ora che se ne hanno due. E quella sacca di cuoio non grida vendetta in cielo? e non abbiamo due contadini, tre muratori, un casellante e un oste che dicono d’aver veduto un cacciatore il giorno tale, l’ora tale? ebbene no, questi non sono segnali eloquenti, e, perchè si tratta di un povero prete, non si pensa nemmeno che valga la pena di vedere se è vivo o morto.... Ma se Dio mi dà vita e lena, scriverò io un opuscolo sulle «Magagne della nostra procedura». Ci vuol altro che parlare di delinquenti nati, di forza irresistibile, di lipemania, di pazzia ragionante, di scuola positiva e scuola classica; ciarle! bisogna che i bric-