Il buon cuore - Anno XIV, n. 49 - 4 dicembre 1915/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIV, n. 49 - 4 dicembre 1915 Religione

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FIGURE DELLA GUERRA

Carmen Sylva


Se la Rumenia entrerà nel conflitto europeo, il popolo rumeno troverà nel cuore della regina Elisabetta quello stesso tesoro di virtù che gli italiani hanno trovato nello slancio caritatevole delle due loro Sovrane e delle principesse agi Casa Savoia: uno slancio senza limiti, che ha dell’eroico e conforta più d’ogni altra cosa gli spiriti.

La Regina di Rumenia, nota, come tutti sanno, in arte cqn lo pseudonimo di Carmen Sylva, ha già lasciato un caro ricordo dell’opera benefica che svolse durante la guerra del 1877, da cui la Rumenia ebbe quell’indipendenza che la portò al mirabile sviluppo odierno. Allora essa si guadagnò il titolo di Mama ramitziler (madre dei feriti), per l’affettuosa abnegazione con la quale alleviò le loro sofferenze. La sua magnifica reggia di Controceni fu trasformata in un vastissimo ospedale e l’infermiera che più di tutte le altre vi passava le giornate intere, sempre attiva, sempre pietosa, sempre forte, era proprio lei, la Regina Elisabetta.

Ben a ragione i rumeni hanno una specie di culto per la loro oramai veneranda Sovrana, che, nata sui gradini di un trono, seppe mettersi a livello d’ogni cuore e sorreggere, con la parola e con l’opera, qualunque sventura; che, chiamata a reggere le sorti d’un popolo, seppe affermarsi anche nel campo dell’arte una delle scrittrici più squisite d’Europa.

Nata principessa di Wied nel 1843, Elisabetta manifestò giovanissima ancora il suo ingegno e la sua attitudine particolare per la poesia; all’età di dieci anni infatti, ella si esercitava già a comporre versi e racconti in prosa; ma non tardò a preferire le tragedie e i melodrammi, l’azione dei quali era il più delle volte violenta, d’una fantasia libera e originale; e ciò non le impedì di entusiasmarsi per le matematiche, per le lingue antiche e moderne, e di dedicarsi con passione alla musica e alla pittura, senza giungere mai a soddisfare la sua brama artistica e a dar vita ai suoni e ai colori come avrebbe voluto. A 26 anni, il 15 novembre 1869, essa celebrava il suo matrimonio col principe Carlo di Romania, matrimonio in cui la politica non ebbe menomamente a turbare la felicità dei due cuori. E questa felicità matrimoniale è durata fino all’anno scorso, quando Re Carlo, afflitto dagli orrori della guerra europea e dalla sua difficile posizione di principe tedesco, si spegneva lentamente.

Ho detto felicità matrimoniale; ma questo non stgnifica che la vita dell’augusta scrittrice sia stata priva di dolori. Al contrario, essa ne ebbe molti e dal dolore appunto muovono le ispirazioni dei suoi canti più belli.

Due anni dopo le nozze, e precisamente l’otto settembre 1870, una bambina allietava la Casa Reale di Rumenia. Ma per poco tempo. Nel giorno di giovedì santo del 1874, la difterite uccise in poche ore la piccola principessa e la gioia scomparve dalla vita della dolorante madre. Animo forte di donna e di cristiana, Carmen Sylva seppe, tuttavia, sopportare con dignità e rassegnazione il suo strazio. Elia chiuse dolcemente gli occhi della bambina, la prese nelle braccia e ringraziò i medici delle loro cure. Non proferì — ricorda A. Micheli — alcun lagno e restò padrona di sè fino a che la piccola Maria fu deposta nella bara.

«Iddio ama la mia bambina più che non l’abbia amata io stessa - disse - ed è perciò che l’ha presa con se. Lo ringrazio d’avermela data». Null’altro... La tenera bimba fu sepolta in un poggio pieno di fiori e sulla tomba furono scolpite queste dolci parole: [p. 338 modifica]«Non piangete. Essa non è morta, ma dorme». In una lettera alla propria madre, così Carmen Sylva scriveva pochi giorni dopo: «Preferirei esser cangiata come Niobe in una rupe zampillante di lacrime piuttosto che non essere stata mai madre. Sì, la mia era una felicità troppo grande per un solo cuore. La mia bambina è felice ed io m’allieto della sua felicità, poichè il mio amore è più forte della tomba... Essa è con me, malgrado tutto». A freddo’ragionava così; ma narrando un anno dopo alla sua fida dama Flene Vacaresco di un ballo di bambini cui aveva assistito, essa diceva: «Oh, la musica di quel ballo mi risuona ancora nella mente. Tenevo le braccia aperte e i bambini correvano a me e si rifugiavano sul mio petto. Ognuno mi ricordava lei; uno aveva il suo modo di baciare; un altro parlava col suo tono di voce. Ma nessuno aveva la sua grazia, il suo sorriso, la sua vivacità. Oh! io ero nata per essere madre, per amare e sostenere un’anima derivata dall’anima mia». Della bella semplicità di Carmen Sylva e della sua coltura eccezionale, testimonia il capitano dei bersaglieri Pier Emilio Bosi, narrando di una visita da lui fatta anni or sono alla Sovrana. Il Bosi, uno studioso del popolo romeno, un fine poeta egli stesso, ricorda di essere stato ricevuto con tale cordialità da farlo subito trovare come in un ambiente famigliare. «Entrai la sera — scrive -- tutto lucido nella mia uniforme nuova di bersagliere che non avevo mai tanto accuratamente spazzolata, entrai nella prima sala dove alcuni servitori in livrea si affrettarono a togliermi il mantello, e, immediatamente, passai alla seconda. E’ questa una vera meraviglia: una serra più che una sala. Vegliata, direi quasi, da due alti guerrieri in bronzo. Appena s’entra si scorgono palme e fiori dappertutto e le palme sono tante che dan l’illusione di penetrare non già in una stanza, ma bensì in uno di quéi magnifici baschetti verdeggianti che la natura si compiace talora di far sbocciare in qualche oasi meravigliosa. «Ammesso subito all’augusta presenza,.potei parlare con Lei per più di un’ora... Di quante cose parlammo? E’ difficile dirlo. So che le prime parole dettemi furono proferite in italianò e ciò mi fece immenso piacere. L’ho visto trascurato da tanti, nel mio viaggio — e da chi men lo doveva — questo poUna volta la vero idioma! Poi S. M. soggiunse: parlavo bene la vostra lingua armoniosa, ma adesso l’ho un po’ dimenticata, benchè continui a legger libri italiani. Gli è che ho voluto apprendere il romeno e ciò m’ha un poco confusa... — E disse ciò colla sua bella voce timbrata, con bellissimo accento e con grazia inimitabile. — Ciò potrebbe provare una volta di più che le due lingue sono sorelle, Maestà — risposi immediatamente». Carmen Sylva si mostrò, nel colloquio col capitano Bosi, al corrente della letteratura italiana. A un certo punto, pensando alla vecchia madre del capitano Rosi che attendeva da mesi e mesi il figliuolo lontano per quel lungo viaggio di studio, ne discorse al

suo interlocutore. «Questo — conclude il Bosi — non me l’aspettavo. Lo confesso. Mi intenerì».

Tempo fa Carmen Sylva spediva al Segretaria dell’Accademia Francese un suo volume di Pensieri accompagnandolo con la seguente lettera: «Signore, mi trovo molto audace osando pregarvi di gettare uno sguardo su questo piccolo volume. Queste pagine non hanno altro merito che quello di essere pensate, sentite, scritte sotto impressioni reali, spesso dolorose, quali la vita d’una donna e d’una donna sul trono spesso e necessariamente produce. Io son doppiamente timorosa, non perchè io abbia paura d’una critica, che non potrebbe mai essere troppo severa, ma perchè temo la cortesia francese pel mio sesso. Vi prego di dimenticare la mia persona e di non considerare altro che l’opera. E vi ringrazio, signore, pel disturbo che vi dò. Elisabetta». — L’Accademia inviò naturalmente alla Regina una corona d’alloro! Bisogna, però, dire subito che la corona non era inviata alla Regina, sibbene alla scrittrice, non rappresentava un omaggio cavalleresco al trono, ma un tributo al merito. I pensieri di Carmen Sylva, improntati ad alti sentimenti cristiani, sono sani e profondi. Ne spigoleremo qualcuno: «Il vostro tallone d’Achille, è più facilmente scoperto da chi si trova più in basso di voi, che da chi vi è uguale» — Gesù crocifisso, Socrate avvelenato, Fidia accusato di furto!... E’ più che altro un onore l’essere maltrattato dai propri contemporanei». «Il poter fare una buona azione è già da per sè una grande felicità». — «Non lagnatevi di soffrire, perChe solamente soffrendo imparerete a soccorrere. E il soccorrere è una gioia di inestimabile valore!» -«Il dovere non fa aggrottare le ciglia. Solo chi rifugge di compierlo è triste. Seguite il dovere, anche il più difficile e penoso, e quello vi sorriderà!». «Iddio perdona; la natura giammai». «La felicità è come l’eco; risponde, ma non viene». «La felicità è nemica della vera amicizia ma l’infortunio non lo è meno della felicità». Una donna del gran mondo difficilmente appartiene più al suo piccolo mondo, voglio dire alla famiglia». «La mia libertà è nel mio pensiero». Nelle sue poesie — di cui esistono varie traduzioni italiane — • sono espressi i medesimi alti;,entimenti. In un pensiero, essa richiama il suo lutto così: «Questo trono ha potuto, forse, impedire che io evitassi il più terribile dei dolori che possa colpire una persona e pel quale io sono infelice quanto l’ultima donna della terra, la morte dell’unica figlia? No. Questo trono ha potuto farmi dimenticare i patetici ricordi del castello di Newied, le colline del Golleng? No! Ha, invece, contribuito ad accrescere questo tesoro di memorie, di ingenue e serene impressioni, con le nuove meraviglie di cui la natura fu prodiga alla patria adottiva? Sì, certamente 4à. Chiuderò con un brano in cui l’augusta scrittrice [p. 339 modifica]riafferma la sua mistica ascensione verso la preghiera e la pace: «Se fossi milionaria, — essa dice -- erigerei una immensa cattedrale; e, accanto al tempio, una scuola d’arte. Potrei costruire delle case: ma nelle case penetrano il dolore, la miseria, la discordia, il peccato, le malattie, la morte. Non v’è al mondo che!a casa del Signore, dove potete portare i vostri dolori, deporli nel grembo di colui che tutto comprende e tornarvene consolati. Il marito ubriacone non può molestarvi nella casa del Signore, il vostro bimbo malato non viene là a torturarvi coi suoi lagni; quivi il danaro non conta, e se avete fame, un bell’organo vi farà scordare per qualche minuto le spasmodiche contrazioni dello stomaco. La chiesa è l’unico luogo dove tutti fanno il possibile per pensare e«operare il bene, e ciascuno, più o meno inconsciamente, solleva l’anima al disopra delle meschinità della vita». La cattedrale che Carmen Sylva vagheggia, sarebbe di marmo bianco, come quella di Milano, di dentro e di fuori; ma meno carica di ornamenti.... «Disgraziatamente, ella conclude, io non sono una Regina di racconti di fate e il mio sogno non può avverarsi, perchè noi, regine della vita vera, non abbiamo un quattrino, tanti sono i poveri che hanno bisogno del nostra aiuto». A. L.