Il buon cuore - Anno XIV, n. 47 - 20 novembre 1915/Religione

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Educazione ed Istruzione Beneficenza

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DOMENICA SECONDA D’AVVENTO

Testo del Vangelo.

Nell’anno quintodecimo dell’impero di Tiberio Cesare, essendo procuratore della Giudea Ponzio Pi-, lato, Tetrarca della Giudea Erode, e Filippo suo fra- fello Tetrarca dell’Iturea e della Traconitide, e Lisa’ nia Tetrarca dell’Abilene: sotto- i pontefici Anna e Caifa il Signore parlò a Giovanni figliuolo di Zaccaria; nel deserto. Ed egli andò per tutto il paese intorno al Giordano, predicando il battesimo di penitenza per la remissione dei peccati,.conforme sta scritto nel libro dei ’Sermoni di Isaia profeta: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore; raddrizzate i -suoi sentieri, tutte le valli si riempiranno, e tutti i monti e le colline si abbasseranno; e i luoghi tortuosi si raddrizzeranno: e i malagevoli si apkianeranno, e vedranno tutti gli uomini la salute di Dio. Diceva adunque (Giovanni) alle turbe, che andavano per essere da lui battezzate: Razza di vipere, chi vi ha insegnato a fuggire l’ira che vi sovrasta? Fate dunque frutti degni di penitenza e non vi mettete a dire: Abbiamo Abramo per padre. Imperocche io vi dico che può Dio da queste pietre suscitar figliuoli ad Abramo. Imperocchè già anche la scure è alla radice degli alberi. Ogni albero adunque che non porta buon frutto, sarà tagliato e gettato nel fuoco. E le turbe lo interrogavano, dicendo: Che abbiamo noi dunque a fare? Ed ei rispondeva loro: Chi ha due vesti ne dia a chi non ne ha: e il simile Malia chi ha dei commestibili. E andarono anche dei pubblicani per essere battezzati, e gli dissero: Maestro,

che abbiamo da fare? Ed egli disse loro: Non esigete più di quello che vi è stato fissato. Lo interrogavano ancora i soldati dicendo: Che abbiamo da fare ancora noi? Ed ei disse loro: non togliete il suo ad alcuno per forza, nè per frode, e contentatevi della vostra paga. Ma stando il popolo in aspettazione e pensando tutti in cuor loro se mai Giovanni fosse il Cristo, Giovanni rispose, e disse a tutti: Quanto a me, io vi battezzo con acqua, ma viene uno più lossente di me, di cui non sono io degnò di sciogliere le corregge delle scarpe: egli’vi battezzerà collo Spirito Santo e col fuoco: Egli avrà alla mano la sua pala, e pulirà la sua via, e radunerà il frumento nel suo granaio e brucierà la paglia in un fuoco inestinguibile. E molte altre cose ancora predicava al popolo istruendolo. (S. LUCA, Cap.

Pensieri. Fate penitenza! E’ questo il grido che lungo le sponde del Giordano rivolge il precursore Giovanni alle turbe ’che gli si affollano intorno per ascoltare l’annuncio della venuta del Salvatore. Far penitenza spiacque sempre. agli uomini; spiaceva anche quando la fede era viva in mezzo al popolo; quanto più ora che la fede è venuta meno! Il modo diverso di concepir la vita, tra la dottrina della religione• e la dottrina del mondo, porta per diretta conseguenza il modo diverso di concepire la penitenza. Chi mette che la vita dell’uomo finisce colla ‘ita presente, che il fine dell’uomo sulla terra è di godere, potrà mai far buon viso alla penitenza? Più che un dovere, la penitenza apparirà un attentato alla vita, una crudeltà. E non è molto tempo che un assessore dell’istruzione pubblica in un comunello d’Italia, diramava una circolare ai maestri delle scuole elementari e degli asili, invitandoli a guardarsi bene di parlare agli allievi di idee di penitenza o di castigo, di guardarsi bene di imporre loro qualsiasi astinenza: sarebbe un delittà di lesa umanità. Quell’assessore era logico nelle sue conseguenze: solo aveva sbagliato nelle promesse: egli aveva messo per principio: non c’è che la vita presente; nella vita presente non ci deve essere che un solo intento: godere! Ben altro è il concetto vero della vita, il concetto che della vita ci presenta il cristianesimo, concetto che, prende e rafforza la sua verità da tutti gli argomenti che provano la verità del cristianesimo stesso. L’uomo è creato da Dio per il cielo; il cielo non si acquista che colla pratica del bene, aiutata dalla grazia di Dio; Iluomò ha peccato, e non può cancellare il peccato che colla penitenza. La penitenza deve dirsi una pratica arbitraria e crudele di lesa umanità? La penitenza è la condizione della redenzione.del mondo; la redenzione del mondo fu ottenuta e non si ot tiene che colla Croce!

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L’intimazione di Giovanni agli ebrei di. far peni [p. 324 modifica]tenza per prepararsi a ricevere i benefici della redenzione, si estende anche a noi; identiche le condizioni, identici i doveri. La penitenza, per malti titoli è necessaria; è necessaria come virtù, come espiazione, come Sacramento.; la penitenza è perfezione, è" grandezza, è eroismo, è gioia. E’ necessaria come virtù. La virtù della penitenza sta nell’atto interno del cuore che detesta sinceramente le colpe commesse. La volontà ha commesso il peccato; la volontà lo detesti. Questa condizione è assolutamente necessaria a ricevere il perdono dei peccati presso tutti gli uomini, in tutti i tempi: possono mancare altre condizioni, non questa: non potrebbe dispensarvi neanche Dio: Dio non può perdonare il peccato all’uomo nel momento che l’uomo lo commette; e l’uomo commette peccato, quando, avendolo sull’anima, lo tiene, non Io detesta. La penitenza è necessaria come espiazione. L’espiazione è la prova materiale, esterna, che rimane a scontare, anche dopo che del peccato ci siamo pentiti, anche dopo che il peccato venne perdonato. Adant° pecca nel paradiso terrestre; Adamo si pente del suo peccato; Adamo ne riceve il perdono; ma Adamo per espiazione è cacciato dal paradiso terrestre; le lagrime cadranno dalla sua fronte; la terra si, vestirà di spine; cancellata la colpa, resta la pena. Davide pecca; Davide si pente; Davide riceve il perdono dei suoi peccati; ma Davide per espiazione deve coprirsi il capo di cenere, deve sopportare la ribellione di Assalonne, gli insulti di Semei: cancellata la colpa, resta la pena. La, penitenza è necessaria come Sacramento. Cristo, il Redentore del mondo, ha messo delle condizioni per accordare il suo perdono: la grazia del perdono è sua; possiamo noi imporre al Redentore il modo, ili tempo di accordarci il suo perdono? L’accordarcelo è somma bontà da parte sua, è sommo beneficio da parte nostra: qualunque cosa Cristo ci imponga, dovremmo sempre accettarla, con riconoscenza, con trasporto! Qualunque pena sulla terra, non, varrà mai la pena dell’inferno a cui si sostituisce. Quale è la condizione imposta da Cristo agli uomini per la remissione dei peccati? E’ una sola, ma esplicita, ma chiara, ma universale. Egli disse a’ suoi apostoli: coloro ai quali voi rimetterete i peccati, saranno riinessi, coloro ai quali li riterrete, saranno ritenuti. Si voltino e rivoltino queste parole come meglio piace, non si potrà mai togliere loro il senso naturale, spontaneo, che viene subito agli occhi dì tutti: per disposizione di Cristo i peccati non possono essere rimessi che pel ministero dei Sacerdoti! Alla Chiesa toccherà il ben determinare le modalità nell’esercizio di questo supremo potere, ma nessuno, se vuol con sicurezza ottenere; il perdono dei suoi" peccati, può sottrarsi dal ricorrere a questo potere. La Chiesa ha ben definito queste condizioni: è il Sacramento. della, confessione, con tutte le parti essenziali che lo costituiscono, esame, dolore, propo nimento, accusa, soddisfazione. Per ottenere ’il perdono dei peccati, bisogna passare di qui; il pèceato resta con tutte le sue fatali conseguenze sulla nostra coscienza in questa e nell’altra vita; in questa vita come ingratitudine, avvilimento morale, rimorso; nell’altra, vita, come condanna irrevocabile, inferno.

A questo punto, dobbiamo noi sgomentarci dall’obbligo della penitenza? Le turbe accorrevano intorno a Giovanni chiedendo con fervore, con ansia: che cosa dobbiamo noi fare per fare penitenza? Tale dovrebbe essere pure la nótra, sollecitudine. Che cosa dobbiamo noi fare per fare penitenza? Giovanni, che rispose alle -turbe, diventa pure il nostro maestro. La penitenza si riassume in due punti.: togliere il male, fare il bene. Raddrizzate i sentieri storti: le valli si riempiranno; i monti e le colline si abbasseranno; i luoghi tortuosi si raddrizzeranno e i malagevoli si appianeranno. Queste frasi immagino-, se ed iperboliche ravvolgevano un solo concetto: to-.’ gliete dall’anima vostra e dalla vostra vita tutto ciò che si oppone alla venuta del Redentore colla sua grazia; internamente togliete la colpa col dolore; allontanate gli odi, i cattivi desideri, giudizi tenierari, l’orgoglio, l’invidia, l’ira,. la vanità.... Fare il bene bene è vario nel suo esercizio, secondo le varie condizioni degli uomini: il bene è l’adempimento esatto per ciascuno dei doveri del proprio stato. Chi ha due vesti, dice Giovanni, ne dia una a chi non ne ha: è l’esercizio della carità: chi ha, dia a chi non ha. E andarono i gabellieri, i pubblicani, e dissero a Giovanni: e noi, che dobbiamo fare? Non esigete più di quello che vi è stato fissato. La giustizia, ecco un’altra gran norma della penitenza; dare a ciascheduno il suo, moralmente e materialmente; non offendere il diritto di nessuno. Anche i soldati interrogarono Giovanni: che dobbiamo fare anche noi? Non togliete, risponde Giovanni, il suo ad alcuno per forza e per frode, e contentatevi della vostra paga. La mansuetudine, la pazienza, con applicazioni pratiche nella vita di ciascuno della massima utilità ed importanza. Dietro questi riflessi, sotto quale aspetto ci si presenta la penitenza? La penitenza è la perfezione; la penitenza è toglier dall’anima, dalla vita, tutto ciò che è male; è porre nell’anima, è arricchire la vita di tutto ciò che è bene.. La penitenza è grandezza, grandezza morale, nel più elevato senso della, parola: penitenza è reprimere in, noi tutte le basse compiacenze del male, è suscitare in noi tutte le più nobili aspirazioni del bene; è affrontare con coraggio, con costanza, tutte le difficoltà della vita, non lasciarci vincere da esse, non piegare vilmente, ma viocerle: abstine et substine, aveva già detto la sapienza umana antica: astienti dalle cose cattive, sopporta le avverse: il cristianesimo non ripudia nella [p. 325 modifica]sua parte buona, la morale umana: la morale umana sana è figlia della legge naturale, che è’ legge eterna, che è, legge di Dio: S. Carlo, sul suo tavolo, insieme al Vangelo, teneva il libro dei precetti di Eoliato. Il cristianesimo ha un vantaggio sullo stoicismo; la perfezione nel motivo, la completa esecuzione nei doveri., Lo stoicismo poneva per motivo della sua iborale, pur tanto severa, l’orgoglio: era un vizio, posto per base della virtù: il cristianesimo vi pone’ la rettitudine di intenzione, il disinteresse; lo stoicismo poneva la. sua cura principale nel non azioni.diprovevoli, ’nell’ostentare insensiavvilirsi’ bilità: il cristianesimo, alla parte negativa di schivare il male, aggiunge la positiva di fare il bene; e il bene non fa col viso arcigno, non col sussiego cattetratico che spaventa, lo fa con spontaneità, con dolcezza, col sorriso sul volto; fa tutto, come se il difficolà e di sacrificio, fosse fare talvolta, pieno un fare. nulla.

Spaventarci della penitenza, spaventarci del’dolore?, Nell’ordine soprannaturale, nel possesso della grazia di Dio, la penitenza, il dolore, è amore, è eroismo, è gioia. Soffrire, in’penitenza dei nostri peccati, per amor di Dio, si può dare compiacenza maggiore? Quanti benefici ci ha compartito Dio, quanto ci - ha amato, quanto ci ama! Noi non abbiamo nulla a dargli che non sia suo: abbiamo il dolore: solo il dolore è nostro, come sola nostra è la colpa che lo merita e lo fa nascere. Noi prendiamo il dolore - e glielo offeriamo,pere amore. Che contrasto squisito,.sublime! Bossuet ha in proposito un bellissimo pensiero: dice che gli Angeli non «hanno niente da invidiare agli uomini, nè in perfezione nè in feliCità: non lo invi- • diano che in una cosa sola’: gli uoniini possono patire per Dio; essi non la possono! Altro motivo di gioia nel dolore. Qualcheduno ha patito, per noi, prima di noi, più di noi: è Cristo. Noi.soffrendo, con pazienza, con rassegnazione, con fortezza, imitiamo Cristo, ci mettiamo in compagnia di Cristo: nella salita al Calvario, non è solo Maria, non è solo Giovanni, non sono solo le pie donne, che lo accompagnano;’ lo accompagniamo anche noi. Qualche cosa di più noi soffrendo con Cristo, aiutiamo Cristo nel pieno compimento dell’opera massima sua, la redenzione; la compiamo in noi, la compiamo negli altri. E’ questo un pensiero ardito di S. Paolo: nel mortificare il mio corpo, nel sopportare il’do-lore, adimpleo ea qua desunt passionum Christi: col patire io aggiungo quello che manca a Cristo, per rendere, in via di fatto, efficace la redenzione: col soffrire, col far penitenza, io sono redentore con Cristo! A questo punto, c’è ancora bisogno di spingere le anime credenti a patire, a soffrire? Non c’è che un pericolo.solo, quello "chel’amor dei patimenti.non cresca oltre misura, diventi quasi una passione, un delirio: S. Luigi Gonzaga, nell’ultimo periodo della

stia vita, non potè sottrarsi ad un dubbio,, che era quasi un rimorso, di aver sottoposto il suo corpo a ’.troppe privazioni. O beata Crux.... il saluto, il grido che’ sollevò S. Andrea, quando gli fu presentata la croce, sulla, quale doveva. morire, è il grido ripetuto lungo i secoli da cento e cento anime credenti e amanti. Nè solo gli uomini di temperamento più robusto, ebbero. questi slanci. L’ascetica cattolica ha due frasi che rappresentano l’insuperabile, il sublime nell’a ricerca del -dolore: o patire o morire: e un’altra più eroica ancora: non morire, ma patire. La prima è. di Santa Teresa; di S. Maria. Maddalena dei Pazzi la seconda. Fratelli! Avete nei vostri ricordi, nella vostra famiglia, nel vostro cuore, una croce?- Baciatela. L. V.

La strage degl'innocenti (Sonett cont el coin)

Si, l’è roba dé ciod; còrda, e martell!" (*) L’Ancona siltiraa, pien d’innocent! E quand a tir gh’aveven òn battei, Rasaa de - don’z bagai; pieni de spavent, Coni el canon i traven a bordellt Ah che barbaritaa!’ Che infamia o gentl Pensee o quii. sgar,. che andaven fina ai steli: Al nernis.... ch’el rideva’ allegramentt E poen. disirnm, se podom vecch, pietaa De geni, che al postdel,coeur g’han on.gran sass; Che g’han ne lég, ne féd, ne unzanitaa,,;: E sto. Buon Cuore el se scandalizzaa, Perchè impiccà voreva. el Cecco - Beppl Ve par che se le Sia, meritaa coni tutt sii infamitaa;• - A fa col’serpent Boa del sentiment, El rispond.... con velen e strozzament! • •,• FEDERICO

bussi

(*), sc Ancona», transatlantico italiano, recante emigranti, donne. e bimbi silurato e affondate da un sottomarino au-. strisce.

La divozione delle Ss. Quarant’ore

in Duomo e nelle altre chiese della Nella prima domenica d’Avvento, Continuando una antica tradizione,. nel Duomo di Milano ebbe luogo la solenne processione col SS. Sacramento, come apertura del giro. delle Quarantore in tutte le Chiese della città. Intervenne, come al solito, una rappresentanza del clero di tutte le p,arocchie. E’ una delle funzioni pubbliche più solenni che nel corso dell’anno si celebrano in Duomo, sempre con straordinario concorso [p. 326 modifica]di fedeli. Di solito alla funzione interviene l’Arcivesciando eserciti di orfanellí di vedove, col seguito di carestie e malattie contagiose: mancando i rimedi uscovo, che porta il Santissimo, e tiene un discorso di mani, parve aiuto particolarmente efficace la precircostanza; come fu fatto anche quest’anno. ghiera generale e pubblica, sollevata a Cristo, che aMolte cause si riuniscono a dare a questa solenveva detto: se alcuno è afflitto e tribolato, venga nità un carattere di speciale simpatia e grandiosità. a me, ed io lo consolerò. La divozione delle Quarantore ove ha per oggetto E’ incredibile infatti quanto straordinario fosse il il cullo più importante della religione cattolica, Gesù concorso del popolo milanese alla divozione prediCristo in Sacramento. La divozione delle Quarantore cata dal Padre Giuseppe in Duomo, per tre giorni è pratica di origine locale Ambrosiana: essa incoconsecutivi, nel corso non solo del giorno, ma anminciò nella metà del secolo XVI, per opera di San che della notte. Antonio Maria Zaccaria, fondatore dell’ordine dei Ora le circostanze sono sventuratamente molto soBarnabiti, e del padre Giuseppe da Fermo, Capucmiglianti. I fatti guerreschi avvengono in territorio cino. S. Antonio Zaccaria, nella chiesa di S. Sepolcro, non strettamente milanese, ma in territori limitrofi, nel 1525, cominciò, per soddisfare la divozione di nell’alta Valtellina, nel Trentino, e più lontano nelalcune anime pie che si raccoglievano in chiesa per le Alpi Giulie e sull’Isonzo: le conseguenze si fanl’adorazione del Sacramento, ad aprire la porticina no sentire anche presso di noi: sono i nostri figli, i del tabernacolo, per lasciare che si potessero vedere nostr i fratelli che là combattono, cadono feriti, muoiole specie consacrate, raccolte nell’ostensorio e nelle no: ammalati e feriti arrivano tutti i giorni, invadopissidi. Nove anni dopo, nel 1534, il padre Giusepno la città, e riempiono le scuole ed istituti, converpe fece un passo innanzi; non solo aprì il tabernatiti in Ospedali, aperti dalla Croce Rossa e dalla Sacolo, ma espose il Sacramento sull’Altare, come nità militare: e le ostilità, anzichè diminuire, stanno quando vien data la benedizione. Questa esposizione sul crescere, si intensificano, strascinando sul camdoveva durare 40 ore continuate, di giorno e di notte po della lotta, sterminatrice, sempre nuove nazioni. in memoria della quarantena che Cristo col suo corpo Quali disastri ancora maggiori si riserba l’avver divino rimase nel Sepolcro. nire? La processione viene fatta nelle ultime ore del Chi dovrebbe porre un termine a tanti mali? Dogiorno, quando, per la stagione invernale già incovrebbero essere gli uomini, gli uomini che sono quelminciata, le tenebre invadono il Duomo,.che resta li che li producono. illuminato solo dalle candele accese agli altari, e da Rivolgiamoci a Dio, rivolgiamoci a Cristo: questo quelle che vengono portate in processione dai memsoccorso l’hanno chiesto i nostri padri, e furono ebri delle confraternite, dai chierici, dai sacerdoti, sauditi.; speriamo di esere esauditi anche:, no,i, e _noi che formano la processione, e dal gruppo più solenne meglio di loro: essi ottennero una pace, ma una padei Canonici e dei Monsignori che precedono,i1 Balce senza gloria: il dominio spagnuolo: la pace nodachino. E’ una innondazione di luce che invade stra deve essere una pace con onore, ta pace della tutto il Duomo, formata dalle mille candele che se’vittoria, una pace che doni alla Nazione, co’ suoi guono la processione, che appaiono e scompaiono confini naturali riconquistati, non solo la grandezza tra le grandi colonne della immensa cattedrale: c’è al presente, ma la sua forza e la sua sicurezza nel fuun momento in cui tutto il Duomo pare che si muova turo. in una lunga spira di luce, formando. una specie di. La divozione delle SS. Quarantore, iniziata in costellazione terrestre. Duomo, con ordine progressivo dal centro della citA questa impressione di luci mobili, ’si aggiunga il tà, si porterà a tutte le Chiese della p’eriferia. Non suono degli organi, il canto dei sacerdoti, alternato al siamo estranei a questa divozione, almeno quando canto dei cantori della cappella del Duomo, colle noarriva alla nostra parocchia. te e col profumo dell’incenso, che si eleva ed invaE’ divozione da lasciarsi alle donnette? de le navate e le volte, colla moltitudine dei fedeli Dal 1900 al 1913, nelle Chiete in Milano, dove c’eche in doppia fila fanno ala alla processione che pasrano le Quarantore, si vedeva sempre a frequentarsa, e si avrà un’idea dello spettacolo eccezionale che le un vecchio venerando, ritto nella persona, devoto si ha dinnanzi, ’e che lascia nell’animo di tutti una nel contegno. Chi era? impressione solenne, solo possibile nel culto cattoNon crediamo indegna di noi una pratica seguilico. ta per tant’anni da un generale, più volte ministro Gli avvenimenti della guerra attuale dovevano spindella guerra, il Cavaliere dell’Ordine della SS. Angere i milanesi quest’anno ad un maggiore concorso nunziata, cugino del Re, il Generale Thaon di Revel. L. V. in Duomo per la processione delle Quarantore. Questa divozione venne introdotta in momenti di grandi rivolgimenti politici e guerreschi, che desolavano le L’Enciclopedia dei Ragazzi è il contrade lombarde: le guerre che da più lustri si libro più completo, più divertente, più combattevano tra Francesi e Spagnuoli, mescolati a ’Svizzeri, avevano portato orribili conseguenze di carutile, che si possa regalare. neficine, di saccheggi, di incendi, di devastazioni, la [p. 327 modifica]L'ORFANO

S’è spento sa», mi disse la vedetta, spento sotto a’ miei occhi l’orfanello, laggiù, vede, laggiù, su quella vetta; che orrore, avesse visto, che flagello!

donò le file o disertò a vantaggio del nemico spirituale: queste sono le grazie che ci aspettiamo dalla virtù del trionfo del Calvario, dal divino-umano vincitore della Croce. L’inno invoca tutto ciò come grazia peculiare del tempo della Passione, durante il quale ci troviamo in speciale bisogno di questi doni, che aspettiamo dai tesori del Prezioso Sangue.

Al canto di tale inno, il potente esercito dei redenti ecotinua la sua sfilata. L’avanguardia ha già varcato i confini del campo di battaglia, la vittoria è già assicurata. Vi si trovano i martiri, che portano come trofei, nelle loro mani, gli strumenti del relativo martirio; i vergini, le cui bianche vesti e le coro ne di fiori simboleggiano la vittoriosa resistenia alle podestà del male, che avrebbe ben voluto strappare quelle corone ed

E volle ir solo, volle, ad ogni costo, badava a dir: o vo io, non ho parenti, hai figli tu, vo’ morir io piuttosto; per me nessun farà pianti e lamenti. Volò, posò le mine, gli diè Poco, poi lo vidi salir in tra la fiamma, Orfanello, orfanello o, chiamai fioco, con strazio, come fossi la su’ mamma. E’ morto?», chiesi pazzo alla foresta. E’ morto», mi rispose l’eco mesta.

insudiciare quelle bianche vesti; i confessori, il combattimento dei quali, per quanto non tradito al di fuori, non la cedette in asprezza al conflitto dei martiri; vi figurano 2otort) che tennero alto lo stendardo di Dio, quando la speranza pareva perduta, dove il nemico si sarebbe detto prevalente. Tali sono i nostri antenati cattolici dei tempi di persecuzione tale il prode esercito che tenne in alto il sacro stendardo

SAMARITA.

Libriccino confortatore io tempo di guerra (Continua/ vedi num

Quindi noi vediamo la Croce muovere in testa ad interminabile processione, la processione dei redenti di tutte le

per lunghi anni delle più crudeli persecuzioni nel Giappone, sinchè, alla lunga, tutti i capi furono trucidati, e solo un pugno di umili fantaccini, lasciato a guardia dello stendardo per un paio di secoli dopo, finalmente arrivarono rinforzi dall’Occidente per portar oltre, una volta ancora, l’invitta Procede in sua gloria, il poderoso esercito, cantando ad alta voce il ritornello del trionfo. ll vestimento della riarsa guardia è polveroso, lacero, inzaccherato, faccie segnate da

età ’e paesi. La Croce fu lo stendardo sotto cui essi hanno combattuto o stanno combattendo tutt’ora, ed è, o sarà, lo "stendardb della’ l’oro vittoria. Col fare bene la •nostra parte l’in questa guerra; noi stiamo combattendo sotto questo stendardo, e, combattendo così, noi vinceremo. Sulla Croce, Id cicatrici e deperite. Molti guardano, come chi è per cadere

dio onnipotente umiliò sè stesso per pagare il debito di

sguardi vagano per stanchezza, la forza di marciare in avanti sembra abbandonarli; ma come prima gli occhi si rivolgono di nuovo alla Croce, la forza si rinnovella. Spesso la voce si affievolisce, alle volte tace per un istante. Nondimeno so ’morte che stava a carico nostro. Come dunque potremo far disegni di sfuggire i patimenti o mormorare, allorchè la tribolazione ci viene incontro?.0 Re Trionfatore e Condottiero del tuo Israele! il tuo cavallo di battaglia è la Croce: le tue armi, tre chiodi ed una lancia; il tuo elmo, una corona di spine; la tua corazza, il tuo stesso Sangue. Così equipaggiato, tu sostenesti l’impeto della nostra battaglia, e vincesti per noi. Ora tutto il pili gran da fare non è ristretto ad altro che a raccogliere il frutto della tua vittoria. Lo Stendardo glorioso della Croce va innanzi a noi in questi giorni di angoscia e di timori per raccoglierci pel nostro’ spirituale combattimento, ciascuno soldato al suo posto designato. Potessimo aver grazia di combattere da valorosi sotto la nostra bandiera e tenerci nelle file fino al termine! I battaglioni di Satana sono già stati respinti, e la breccia fu già aperta nelle mura della sua cittadella. Questo nuovo tentativo di impedire l’opera della salvazione, col suscitare gli odi delle. Nazioni e col creare dolori difficili da sopportar con pazienza, fornirà l’opportunità di portar anche più oltre l’insegna di lutto vittoriosa del nostro Re. Tale è il voto espresso nella strofa ultima dell’inno della Croce. Novella energia al soldato che già combatte con tutte le sue forze, ma trovasi affranto dalla violenza della pugna; riabilitazione nel regio esercito di Cristo per colui che abban in deliquio lungo la strada. Moltissimi mostrano i segni di crudeli ferite, non anco guarite; ma tutti resistono bravamen sulle orme dei soldati trionfanti che li. precedono. Gli occhi di tutti sono fissi alla potente bandiera del trionfo. Quando gli

stengono l’inno cantato dall’esercito alla avanguardia, l’inno trionfale della Croce. Guardare la Croce e cantare il suo inno è la loro sorgente di conforto e di energie. Possa la vista della Croce ed il cantico suo tornare di conforto e di fortezza a quanti ora sono chiamati a portare la Croce e seguire il Crocifisso, e ciò si prolunghi fino alla morte. «In hoc signo vinces o. Sotto questa bandiera, o anima cristiana, tu vincerai! Tutte le buone battaglie, contro ogni forma di ingiustizia e di insincerità, di cupidigia, di immoralità, non vengono in sostanza che a costituire un’unica battaglia con quella combattuta da Gesù Cristo contro il massimo nemico, contro il male sovrano. Se anche le volontà, le intenzioni dei combattenti vengono a fondersi in una sola, grande, collettiva volontà di bene con quella di Cristo, con Gesù divideremo i rischi, i danni, la morte, ma anche i meriti e la gloria

Conforto della Risurrezione di Gesù. Mors et vita duello conflixere mirando: Dux vitae mortuus, regnat vivus». La Risurrezione fu il principio della esterna manifestazione [p. 328 modifica]della vittoria riportata sulla Croce. Fu la glorificazione del Capo trionfante, colla gloria, nella quale, le sue membra, per opera di Lui trionfante, entreranno più tardi. Fu un pegno visibile di quella vittoria della Croce di cui ho già parlato, e così una base di speranza, di fiducia, e di conforto. Il fatto che la guerra del Re è terminata, e la corona regale cinge la sua fronte, e Lui s’asside sul suo celeste trono con la Regina Madre al suo fianco e d’attorno tutti i beati gloriosi nella bellezza e splendore del loro corpo riassunto, è tal pensiero da recar gioia a noi che dobbiamo. ancora lottare sul campo di battaglia. Trad. di L. Meregalli. (Continua)

Scuola Magistrale Catechistica Si avverte che sono incominciati i Corsi di Religione e di Storia della Chiesa. Al Rev.mo Prof. Dott.- Cesare Ceresani, ora Prevosto a Varese, è succeduto il M. R. Don Giacinto Tredici Dott.re delta Facoltà Teologica e Prof. nel Seminario Arcivescovile. Egli continua la spiegazione del Credo (argomento

avviato dal suo predecessore) dal. V Articolo in avanti e, in queste prime Lezioni, trattando della Risurrezione •cli G. C., ne ha portato le prove e confutate le 4principalGobbiezioni. L’Ill.mo Monsignore Dott..re Cesare Osrenigo tiene, come negli scorsi anni, le Lezioni di Storia della Chiesa e sta cra svolgendo l’interessante argomento dei sette Papi Danteschi, che richiederà parecchie Lezioni, in seguito tratterà di Lutero, della Riforma ecc. Le. Lezioni si tengono nei Mercoledì e Giovedì non festivi, nel locale Via delle Ore N. 1, alle Ore • 16,45 e per intervenirvi non si richiede alcuna tassa.